Facendo seguito alla nota che abbiamo pubblicato ieri sull'incidente di Davide Ballerini, la multa e la successiva sentenza che l'ha rimossa (leggi la news relativa), approfondiamo l'argomento ciclabili-ciclopedonali che può interessare a chiunque usa la bicicletta per allenamento o svago. Ci aiuta a capirne di più l'avvocato Filippo Martini, che ha aiutato il corridore dell'Astana a risolvere questo caso.
«L’eterno scontro tra ciclisti e automobilisti è arrivato nelle aule di giustizia grazie a un giovane professionista. Un anno fa Ballerini è rimasto coinvolto in un incidente stradale, fortunatamente senza gravi conseguenze, nei pressi del lungolago di Como. Il corridore non solo ha subito l'impatto contro un veicolo che improvvisamente davanti a lui effettuava una inversione ad “U”, ma oltre al danno la beffa ha rimediato una contravvenzione per essersi trovato a circolare fuori dalla ciclopedonale fiancheggiante la strada. Davide ha deciso di impugnare la multa, non tanto per l’importo esiguo della sanzione, o per salvaguardare la successiva azione di danni contro l’automobilista negligente, quanto per impedire che si potesse affermare come precedente il principio sancito dalla contravvenzione (dunque nell’interesse non solo proprio ma anche di tutti i colleghi)» racconta il legale di Bologna.
«Almeno quattro, sono i cardini di illegittimità della contravvenzione:
1) A livello normativo, l’art. 182 comma 9 del codice della strada stabilisce che “I velocipedi devono transitare sulle piste loro riservate quando esistono, salvo il divieto per particolari categorie di essi, con le modalità stabilite nel regolamento”. Si noti: le piste “loro riservate”. Andrebbe aggiunto l’avverbio, “esclusivamente” loro riservate e presto capiremo perché. Molte altre norme richiamano tale concetto di uso e destinazione esclusiva: l’art. 3 del regolamento attuativo del C.d.s. e l’articolo 122. La legge n. 2 dell’11.1.2018 (disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica) che è una legge quadro molto importante in quanto finalmente sancisce l’obbligo di creare una rete viaria ciclopedonale italiana (ma ancora non si scorgono all’orizzonte, i decreti attuativi della stessa). Infine, il DM 557 del 20/11/1999. Da ultimo, vi è anche un’importante circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 19.01.2009 che in risposta ad un interpello per chiarimento normativo, precisava espressamente che nel caso di pista ciclopedonale (dunque ad uso promiscuo) non sussiste l’obbligo di circolazione per i velocipedi di cui al comma 9 art. 182 Cds.
2) Oltre al dato normativo, va evidenziato un dato logico. Pretendere che un ciclista, per di più professionista (cioè che lo fa per lavoro) si alleni utilizzando una ciclopedonale, rappresenta una forzatura estrema con forti tratti di incostituzionalità. Il ciclista in questione che ha corso e correrà gare importanti (Giro d’Italia, Giro delle Fiandre, Tirreno-Adriatico, Milano-Sanremo, Paris-Roubaix ecc.) è abituato a percorrere tratti dai 100 ai 200 km, per 6 – 7 ore di allenamento giornaliere. Comprendiamo che non è possibile vincolarlo a salire e scendere per piste ciclabili ogni volta. Azzardiamo un parallelo: un calciatore lavora e si allena in uno stadio o in un campo; un cestista o un pallavolista, lo fa in una palestra, mentre un nuotatore sfrutta le piscine. Un ciclista, in carenza di una rete nazionale di piste ciclabili esclusive non può che allenarsi in strada. Violerebbe ogni diritto costituzionale di uguaglianza e diritto al lavoro degli sportivi una norma che gli imponesse di utilizzare sempre e comunque le ciclabili specie se ad uso promiscuo».
3) Senza considerare che, un ciclista (specie professionista) viaggia ad una media di 40 – 50 km orari, con un veicolo performante, munito di casco e soprattutto una capacità di dominio sul mezzo che lo rende paragonabile più ad un motociclista che ad un semplice “ciclista della domenica”. Con la conseguenza che percorrendo con tali caratteristiche una pista diverrebbe pericoloso per se e per gli altri utenti (pedoni o ciclisti lenti) ancor più che circolando in strada. Ammesso e non concesso che la pista sia pienamente idonea a ciò (molte ciclabili, in realtà, sono dei marciapiedi “travestiti da piste”, con tanto di fermate di bus che vi si affacciano, ingressi di case e ville che vi si aprono ai lati, presenza di moto, bici o addirittura autovetture parcheggiate, vasi e fioriere, nonché pali che le ingombrano e le rendono più equivalenti ad un percorso ad ostacoli che ad una vera e lineare pista ciclabile).
«Esito del ricorso è stato il pieno accoglimento (sentenza Giudice di pace di Como n. 1027 del 13.11.2018), fondamentalmente per gli assorbenti motivi esposti al punto n. 1. Si auspicherebbe tuttavia, che il legislatore ripensasse in modo più attento e risoluto a tutta la specifica normativa concernente i ciclisti e la loro tutela senza pensare solo a relegarli in percorsi loro destinati. - conclude l'avvocato. - Non dobbiamo purtroppo andare troppo lontano nel tempo per ricordare vere e proprie tragedie verificatesi nel mondo del ciclismo che avvalorano l’impegno di enti e associazioni, in testa a tutti l’ACCPI (Associazione corridori ciclisti professionisti italiani) che da tempo si batte per l’approvazione di norme a piena tutela dei ciclisti, e si fa promotore di campagne salvaciclisti divulgative per focalizzare l’attenzione anche sulle “best practice” da tenere in allenamento: luci fronte retro sempre accese, anche di giorno per rendersi ben visibili. E per gli automobilisti, obbligo di sorpassare le biciclette osservando uno spazio di sicurezza di almeno un metro e mezzo».
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