Quello che è venuto dopo non conta nè per le statistiche nè per aggiornare i ricordi, come se non ci fosse neanche stato. La stagione sbagliata di Fabio Aru era di fatto finita molto prima, in quel giorno di fine maggio destinato a essere ricordato per l’impresa di Chris Froome sullo sterrato del Colle delle Finestre. In quel momento Fabio si era già arreso, aveva lasciato la corsa prima di arrivare in cima al Lys, la prima salita di giornata. «La testa in tutti questi anni è sempre stata il mio punto forte, il fattore che mi ha spinto a dare in ogni occasione quel tantino in più. Ma quel giorno non poteva farci niente neanche la mia testa: il Giro era diventato un calvario, stavo troppo male». Da quel Giro lasciato incompiuto al prossimo. Ieri la UAE ha ufficializzato il programma di Aru fino a fine maggio, dal debutto nel Trofeo Mallorca (31 gennaio-3 febbraio), passando per Algarve e Catalunya e per un ritiro in altura in Colorado prima del ritorno al Giro d’Italia, «ho il desiderio di ripagare sponsor, tifosi e organizzatori che mi hanno comunque sostenuto negli ultimi mesi».
Torniamo indietro di un anno. Quando si è accorto che era il Giro sbagliato?
«Fin dall’inizio non sono stato contento delle sensazioni che avevo. Cominci subito ad accumulare secondi, però non si può mai sapere come va a finire, anche Froome prima dello Zoncolan era in ritardo, era caduto, non poteva sapere che sarebbe finita bene. Ma io andavo sempre peggio, quando è così entri in un vortice difficile anche da spiegare. Speravo di riscattarmi almeno nella seconda parte della stagione, invece no, è stata davvero durissima».
Si era mai sentito così?
«Mai. Mi erano capitati periodi difficili, ma potevano durare qualche settimana, un mese. Un anno mai».
Come si fa a mettersi alle spalle un anno così brutto? Ci si pensa molto o si cerca di dimenticare in fretta?
«Dimenticare no, non subito. Prima si analizzano tante cose, si cercano risposte: a volte ci sono, come possono esserci degli errori. Quando hai analizzato e capito, poi devi trovare la serenità per ripartire. In squadra abbiamo fatto dei cambiamenti, c’è uno staff nuovo, già nel primo ritiro ad Abu Dhabi ho notato un bel clima. Tranquillità, chiarezza».
Un errore ce lo dice?
«Io pretendo tanto da me stesso, è un’arma a doppio taglio, qualche volta c’è bisogno di riposare un po’ di più».
Si è mai sentito solo?
«No. Ho la fortuna di avere una famiglia bellissima. E poi c’è Valentina. La squadra mi è stata molto vicina, non era semplice, investi su un corridore di primo piano e viene fuori una stagione così... Però una cosa che un po’ mi dispiace c’è: tanti si dimenticano che qualche emozione ogni tanto l’ho data».
Chi è stato a darle il consiglio migliore?
«Alberto Ziliani, il mio procuratore. Mi ha detto di ricordarmi chi sono e quello che posso essere».
Dicono: Aru non si fida di nessuno.
«Non è assolutamente vero. Il mondo dello sport ad alto livello è un po’ particolare: capitano delusioni, persone che si avvicinano nei momenti belli e poi ti deludono, così magari diventi un po’ più attento a dare confidenza. Ma non capita solo a me. Ci sono tantissime persone di cui mi fido, e loro lo sanno».
Si dice sempre che dalle sconfitte si impara: lei cos’ha imparato?
«Che ho un brutto difetto: non riesco a godermi appieno i momenti belli, mi aspetto sempre troppo da me stesso, se vinco di dieci secondi vorrei aver vinto di venti. Questo è un aspetto che devo rivedere».
L’anno scorso si era messo un peso eccessivo addosso, prima del Giro lo aveva presentato come un anno chiave.
«Gli anni sono tutti importanti. Fidati, il problema non è stato il peso: purtroppo non avevo le gambe».
Le pesa il fatto di essere aspettato come il dopo Nibali?
«Non mi sono mai considerato il dopo Nibali, Vincenzo ha vinto le sue corse, ha il suo modo di correre e di essere, io sono Fabio Aru e sono contento, non voglio essere nè il dopo nè il prima di nessuno. Io e Vincenzo siamo persone molto diverse. Lui ha fatto tantissimo, rimarrà nella storia, io guardo a quello che potrò fare come Fabio».
Si ricomincia dal Giro. Cosa prevale: l’emozione, la voglia, o il bisogno di rifarsi?
«Sono contento che quest’anno tanti grandi campioni abbiano deciso di venire al Giro, il Giro merita rispetto. E’ una corsa che dà sempre spettacolo, io magari sono di parte perché sono italiano e perché è al Giro che ho iniziato a farmi conoscere, a Montecampione la mia dimensione è cambiata, mi sono preso tante soddisfazioni. Non voglio dire che l’anno scorso me le ha tolte, però è stata una bella sofferenza. Riparto da lì».
Un po’ a sorpresa. Aveva detto che le piaceva di più il percorso del Tour.
«Confermo, mi sembra più adatto a me. Ma con la squadra - tutti, preparatori, medici - abbiamo preso questa decisione. Vengo da una stagione molto difficile, fisicamente non sono stato bene, c’è l’esigenza di fare passo alla volta e di avere delle risposte: dati, sensazioni. Poi man mano si vedrà».
Quindi è ancora possibile vederla al Tour?
«Non escludo niente, nè il Tour nè le classiche. Ma ad aggiungere corse al programma siamo sempre in tempo. Prima voglio risposte. La voglia non mi manca, ma non sono ipocrita: non basta la voglia di fare».