“I corridori sono matti, masochisti, eroici. E oggi tutti eroici, dal primo all’ultimo”. Parole del primo: Alessandro Fedeli, 22 anni, veronese di Negrar, dorsale numero 112, maglia bianca e azzurra della Trevigiani-Phonix-Hemus. Per spiegare follia, masochismo ed eroismo: 160,7 km, cinque gran premi della montagna più uno non etichettato ma esistente, e anche sei discese che i tecnici definiscono “tecniche” per non osano definirle “tremende”, “pericolose”, “mozzafiato”, perché affrontate non frenando ma pedalando, sotto il sole, il vento, i tuoni, il temporale, la pioggia, il freddo e poi ancora il sole, in quell’agonismo che sotto i 23 anni significa tutti contro tutti, tutti contro tutto, perfino tutti contro loro stessi, le loro paure, le loro debolezze, le loro preoccupazioni, i loro limiti, i loro orizzonti, la loro inesperienza, il loro istinto di sopravvivenza.
La terza e penultima tappa (più il cronoprologo) del Giro della Valle d’Aosta era quella più lunga e dura, da scalatori e fondisti, da discesisti e resistenti, da corridori e uomini veri.
“Il piano era andare in fuga, subito, per farsi trovare davanti quando avrebbe attaccato il mio compagno marocchino Abderrahim Zahiri – racconta Fedeli -. La fuga è andata, ha guadagnato fino a cinque minuti, poi si è crepata, sfaldata, sbriciolata. Tutti ripresi, tranne me. A quel punto ho tirato diritto per vincere”.
Fedeli stava scollinando il quarto dei cinque passi, il Col du Joux, a 118 km dalla partenza, a 42 dall’arrivo. Appunto: follia, masochismo, eroismo. “Ai meno 30 ho pensato che fosse inutile pensarci su, ormai non c’era altro da fare che pedalare. Ai meno 20 non mi ricordo neppure dove fossi e a che cosa pensassi, ma sapevo di giocarmi la carriera e la vita. Solo all’ultimo chilometro ho scacciato incubi e presentimenti, e ho ritrovato serenità e luce. E sotto lo striscione ero finalmente io: con tutta la mia rabbia, con tutta la mia felicità”.
Fedeli – diploma di istituto tecnico linguistico, prima corsa e prima vittoria a sette anni, vittorie in tutte le categorie, quest’anno anche al Trofeo Edil C a Collecchio e al Gran premio della Liberazione a Roma – al Valle d’Aosta aveva già vinto: “L’anno scorso, l’ultima tappa, ma è stato più facile, l’attenzione era più per la classifica generale che per la tappa. Quest’anno è stato più bello perché più drammatico. Alla fine ero stremato”.
Non ha preparatore (“I miei abituali compagni di allenamento sono Mauro Finetto, che corre per una squadra francese, e Nicola Toffali, per una squadra portoghese”), non ha procuratore (“Non mi fido di nessuno”), non ha una salita di riferimento (“Il riferimento sono io”), sostiene che “non so darmi un’etichetta, se da scalatore, se da cacciatore di tappe, se da corridore di classiche, la verità è che se sto bene, di testa e di gambe, me la gioco con tutti”, confessa che il suo forte è “il mio brutto carattere”, il suo debole “l’emotività, sono troppo nervoso, non prima ma durante la corsa, anche stavolta”, spiega che il bello del ciclismo è che “nonostante tutto i valori emergono”, pensa che “il ciclismo degli Under 23 è sacrifici allo stato puro”. E se qualcuno gli dice che ha una testa matta, lui risponde che “è peggio che matta”, forse perché bisogna considerare anche il masochismo e l’eroismo. Adesso ha un pensiero fisso: il professionismo. “Qualche contatto, niente di più. Sarei dovuto già passare un anno fa, invece niente. Questa vittoria ci voleva, e tanto, per dimostrare che esisto, che resisto, che insisto, che se ho vinto qui, così, posso vincere dovunque”.
Tra i matti, masochisti ed eroici c’è anche Kevin Inkelaar, l’olandese della squadra di Alberto Contador, che adesso guida la classifica generale; c’è anche Matteo Bellia, che ha onorato la maglia gialla dando tutto fino ad arrivare vuoto; c’è anche il ruandese Samuel Mugisha, molto brillante in salita, troppo prudente in discesa; c’è anche l’ultimo di giornata, il marocchino El Mehdi Chokri, giunto a 35’03”, e anche l’ultimo della generale, il bresciano Stefano Taglietti, relegato a 1.23’15”. Domani l’arrivo finale ai piedi del Cervino, uno sperone che buca il paradiso.
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