L'affaire Pantani, una tragedia italiana

| 26/10/2007 | 00:00
UN LIBRO appena uscito, di Philippe Brunel, riapre il caso Pantani. L'affaire Pantani, visto che il libro (Vie et mort de Marco Pantani) è uscito in Francia. Brunel, 51 anni, è un giornalista dell'Equipe, di quelli cresciuti nel solco di Pierre Chany. Ha seguito molti Giri, molti Tour, parla un discreto italiano. Siamo amici. Non è un dettaglio fondamentale, lo ammetto, ma serve a chiarire che non potrei essere amico di uno sparapalle (e neanche Philippe, del resto). Sapevo dell'idea di questo libro, Philippe ci ha lavorato sodo negli ultimi tre anni, come se avesse un debito da chiudere con quel ciclista morto. Morto di che? Di overdose, questa è la risposta della Legge e noi ci abbiamo creduto subito. Tutti, o quasi. Forse era la risposta che faceva più comodo, l'ultimo atto di un campione osannato e poi piombato nella polvere. Dopato e drogato. La droga dello sport, per andare più forte, e quella da sballo, per sballare. Brunel accompagna l'ombra di Pantani dal 5 giugno 1999 al 14 febbraio 2004. A differenza di altri libri usciti in Italia, questo non si occupa delle grandezze delle miserie di una vita finita molto presto: il Galibier, l'Alpe d'Huez, tutto questo è risaputo. E' la zona d'ombra, quel vortice sempre più cupo e vasto che attrae Pantani, ad attrarre Brunel, dopo la definitiva discesa agli inferi di Pantani. La chiave per capire tutta la storia è da cercare negli ultimi mesi o sta tutta in quella mattina del 5 giugno a Madonna di Campiglio? Perché l'inchiesta ha scartato quasi subito le alternative, il suicidio e l'omicidio, o anche semplicemente la possibile presenza di altre persone accanto al campione nella notte della tragedia? Confesso che la mia prima reazione, finito il libro, è stata questa: a porre domande anche scomode, ad aprire qualche falla nella versione ufficiale, doveva proprio pensarci un francese? O un belga, uno spagnolo, avrei avuto la stessa reazione. Perché non uno di noi, un giornalista italiano, di quelli che hanno seguito Pantani nel bene (apparente) e un po' meno nel male (reale)? E mi sono risposto che a noi andava bene così, un po' a tutti andava bene così. Un incidente, via. Per ricostruire i fatti, Brunel è stato a lungo nella Romagna d'inverno, e ne racconta i toni lividi, lo squallore, l'assenza di turisti ma la presenza di spacciatori, di hostess che fanno le puttane o viceversa, e questo era un passaggio obbligato. Ma ha anche visto foto e filmati dell'autopsia, ha scoperto particolari macabri, come quello del perito che, per timore che il cuore di Pantani fosse trafugato dall'ospedale, se lo porta a casa, in un contenitore apposito, e lo nasconde in cucina, senza dire nulla alla moglie. A un certo punto mi son messo a pensare che l'inchiesta sulla morte di Pantani assomigliava un po' a quella fatta per Luigi Tenco, 40 anni fa a Sanremo. Un morto scomodo, da qualunque parte lo si prendesse. Un'indagine da chiudere alla svelta. E che restasse chiusa. Ma, scrive Brunel, tutti i testimoni che hanno visto la stanza del residence Le Rose hanno descritto in modo diverso i mobili spostati. Ma, aggiunge, sono state trovate due scatole con resti di cucina cinese, che non risultano ordinati da Pantani (che non amava quel cibo) né dalla reception. Ma, insiste, dalle foto scattate al cadavere risultano ferite al naso, al collo e alla testa non giustificate dall'autopsia. Ed è abbastanza improbabile che un uomo solo, non al comando ma inchiodato alla solitudine, timoroso di essere riconosciuto, abbia letteralmente ribaltato un appartamento, bagno incluso, senza neanche rompersi un'unghia, senza che nessuno udisse i forti rumori che senza dubbio provocava. In questi giorni è ancora in corso il processo agli spacciatori, cioè agli ultimi che avrebbero visto vivo Pantani, e sui giornali (sportivi e no) non si trova una riga. Nessun avvocato Taormina, nel caso Pantani. E noi pensiamo a Garlasco o addirittura all'Olgiata, ad altre morti misteriose. Quella del campione più popolare degli ultimi 30 anni non sembra avere più motivi d'interesse. Tutto chiaro, nessun mistero. C'è stato anche un film in tv e, tra i tifosi, ognuno s'è tenuto la sua idea. Uno che ha barato. No, un grande. Un cattivo esempio per i bambini. No, un perseguitato. Ci sono monumenti per Marco Pantani, e striscioni, e ancora ce ne saranno, perché il ciclismo è lo sport più ricco di memoria ed effettivamente il modo di correre di Pantani (più ancora delle sue vittorie) prendeva il cuore, dava emozioni forti . E anche le sue parole, anche quelle definite del suo testamento, liquidate alla svelta come vaneggiamenti di uno ormai fuori di testa, prendevano il cuore. Era diverso, Pantani. Più profondo della media dei ciclisti, e dava la sensazione di avere dentro un grumo di rabbia per qualche violenza patita, qualcosa che non avrebbe mai detto a nessuno. Il mio cuore, mi disse una sera con una metafora da ciclista, dalla fiamma rossa (l'ultimo km) ai 200 metri si può avvicinare, poi basta, non un metro di più. Ho pensato, leggendo Brunel, a quel suo cuore chiuso in una scatola, nascosto in una cucina, e a quanti sogni poteva ancora contenere, l'ultimo giorno, San Valentino, o quante illusioni, quanti rimpianti. Il libro di Brunel è una controinchiesta da cronista vero, con tanto di date e orari. Così lo si può leggere, come il racconto di un'agonia molto lunga e poco chiara. Ho chiuso il libro con un brutto pensiero: se Marco Pantani era molto solo da vivo, molto più solo è stato lasciato da morto. di Gianni Mura da Repubblica del 26 ottobre 2007 «Vie et mort de Marco Pantani" è il libro-inchiesta che l'inviato del quotidiano sportivo L'Équipe Philippe Brunel ha dedicato al campione romagnolo, uscito ieri in Francia per l'editore Grasset (266 pag, 17,90 euro). Brunel, che ha seguito tutta la parabola professionale e umana di Pantani, ne ha ripercorso febbrilmente, in tre anni di ricerche, gli ultimi anni di vita: dallo choc del controllo sanguigno che lo portò all'esclusione dal Giro ’99, alle ore disperate nel residence di Rimini in cui fu trovato morto. Per poi mettere sotto accusa, svelandone le sorprendenti contraddizioni, l'inchiesta giudiziaria.
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