IL VERO DUELLO È RAI-GAZZETTA

di Cristiano Gatti

Niente da segnalare sul fronte maglia rosa, se non che Teddy confessa candidamente quanto tutti – a parte i duri di cervice – avevano capito: corro poche crono, sfrutterò quella di domani per allenarmi nell'esercizio, in vista di quest'estate. Torno a dire: sta già correndo il Tour, lasciando le fette della torta agli altri, come peraltro gli hanno chiesto da tutte le parti, così dal Giro spumeggiante delle prime tappe siamo passati al Giro normalizzato di queste tappe.

In attesa di ridare una fiammata al pentolone nella sfida di Desenzano, tutto sommato si registra vera battaglia fuori corsa, ai margini e nel contorno. Nel suo genere, è uno scontro tra big: Rai contro Gazzetta dello sport, Gazzetta dello sport contro Rai.

Che il clima dentro al matrimonio (forzato) non fosse più quello di una volta, ai tempi del pucci pucci e delle sviolinate, era percepibile già da tempo. Diciamo che le ruggini cominciano quando la Rai perde la produzione diretta delle trasmissioni, relegandosi al ruolo di semplice acquirente del prodotto, per poi ritrasmetterlo (adesso il prodotto è confezionato da EMG, EuroMedia Group, e già che ci siamo imploriamo la regia di posare il fiasco, prima o poi).

Questo il clima generale, diciamo di reciproca sopportazione, però con nervosismo sottopelle e sottotraccia. Poi si sa, basta un niente e parte la scintilla. Non proprio ai livelli di Allegri, comunque ragguardevoli. Basta ad esempio che improvvisamente il “Processo” ritrovi un minimo di smalto e di mordente, l'altro giorno, a Fano, e la dichiarazione di guerra viene consegnata. E' Alessandro Fabretti ad aprire la danza, con un tema per niente secondario, anzi dominante negli ultimi anni: mostra la prima pagina dell'Equipe, quotidiano sportivo francese, che dedica la prima pagina intera alla vittoria di Paret-Peintre, poi fa vedere subito le prime pagine dei nostri tre quotidiani sportivi, in cui la vittoria di Milan del giorno prima compare solo in un francobollo di fondo pagina sulla Gazzetta, causa vittoria in Coppa della Juve. Ovviamente, bisogna subito rilevare che il confronto non è pertinente al 100 per 100: i francesi non avevano la Coppa di Francia, potevano tranquillamente dedicarsi al Giro. Eppure. Eppure è innegabile che da tempo i tifosi e i lettori di ciclismo reclamino più attenzione, più spazio, e soprattutto dalla “Gazzetta”, che è pur sempre un giornale organizzatore di ciclismo, a partire dal Giro.

Segue dibattito. Purtroppo, viene coinvolto Roberto Reverberi, cioè il diesse di una delle (piccole) squadre invitate dalla “Gazzetta”, cioè l'ultimo che possa permettersi critiche, essendo ospite. In ogni caso, la mina è lanciata. La Gazzetta è sotto tiro. Di sicuro non ne esce bene.

E difatti in casa rosa non la prendono bene. Proprio per niente. Puntuale, il giorno dopo compare improvvisamente un breve resoconto sugli andamenti degli ascolti Rai, tu pensa le coincidenze, in cui sostanzialmente si dice che vanno bene, eccezion fatta per il “Processo”, definito nel titolo un flop. Sotto, si legge: “Netto calo invece per il Processo condotto da Alessandro Fabretti. A partire dalla quinta tappa c'è stato un crollo degli ascolti del 22,8 per cento rispetto al 2023...”.

Prontamente, dalla Rai viene fatta circolare una tabella degli ascolti, in cui si rileva che il calo del “Processo” non c'è, meglio, c'è stato solo alla quinta tappa, ma che come media è buona, anzi proprio la puntata della polemica sui giornali raggiunge il picco del 9 per cento di share.
Giù la testa, volano torte in faccia. E' molto più aspra la battaglia tra i media dominanti che tra i leader della corsa. Che il “Processo” abbia bisogno di un'altra squadra accanto a Fabretti è un fatto. Che i giornali sportivi non siano più così entusiasti di dedicare pagine al ciclismo è un altro fatto.

La mia idea è questa: tocca al ciclismo trovare il modo per obbligare i giornali a considerarlo di più. Il tennis, che aveva problemi molto più seri, li ha risolti con Sinner. Qui ci sarebbe Teddy, il nostro Sinner, ma a quanto pare non serve. Ha un difetto imperdonabile: non è italiano.

 

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