IL SENSO DEL DOVERE DI TEDDY

di Cristiano Gatti

Teddy è un bambino al parco giochi. Sulle montagne russe di Umbria e Abruzzo sta a guardare gli altri, valorosi fino a quanto è possibile, ma poi gli basta lo scatto finale per vincere di nuovo. E siccome in realtà non siamo ai giardinetti, ma ai massimi vertici delle competizioni mondiali, non si tratta di puerili giochetti. E il primo a dirlo chiaro e tondo è proprio lui, che parla apertamente di senso del dovere, di compagni che gli chiedono di vincere, di compagni che lavorano tutto il giorno per lui, di sponsor che lo pagano bene per questo, dunque “anche se i miei avversari si arrabbiano, io devo vincere, quando è possibile”. Su la manina, c'è qualcuno che riesce a dargli torto?

Fossimo su un ring, sarebbe magari il caso di lanciare l'asciugamano, chiudendola qui per manifesta superiorità. Ma invece il Giro andrà avanti imperterrito altre due settimane, per la gioia di Teddy, che di fatto ha cominciato qui il suo Tour de France, allenandosi per bene, spremendosi il giusto, senza affanni e senza stress inutili. Lo sappiamo tutti come stanno le cose: se avesse voluto, arrivando a Prati di Tivo li avrebbe di nuovo randellati pesantemente, andandosene indisturbato ben prima dello sprint. Troppa differenza, troppa superiorità. Invece massimo risultato col minimo sforzo, scatto finale e terza tappa in saccoccia, più qualche abbuono. Cosa doveva fare, tirare i freni e offrire un giro di spitz?

Quanto poi al discorso – già noioso – sulla sua ingordigia, sulla sua prepotenza, sulla sua mancanza di diplomazia, perchè non lascia agli altri neanche l'osso, sarà meglio chiuderla qui: è Teddy proprio perchè della stessa pasta di Eddy, dunque facciamocene una ragione e prendiamolo per come è, uno che se non vince ha le crisi di orticaria. Diplomazia, amicizie, alleanze con qualche regalo? Non sono discorsi che lo riguardino. Chi nasce rotondo non può essere quadrato. E se questo significa diventare antipatici a mezzo mondo, bisogna sapere che certi tipi non si preoccupano molto di essere simpatici agli altri: preferiscono risultare simpatici a se stessi.

E comunque c'è sempre una seconda chiave di lettura, davanti a questa voracità degli Eddy e dei Teddy: può anche leggersi come estrema serietà, come religioso rispetto del pubblico, dei compagni (a Prati di Tivo gli hanno davvero chiesto di fare la tappa per la vittoria) e di chi allestisce lo spettacolo. Di presunti campioni che sono venuti al Giro in gita turistica ne abbiamo visti abbastanza, ben venga Teddy che se lo prende facendo fino in fondo il proprio dovere. Se questo significa andare troppo forte e vincere troppo, il problema non è suo. O vogliamo chiedergli di ritirarsi a vita privata?

Da qui alla fine il Giro sarà più pesante per chi insegue, altro che stress della maglia rosa. Teddy può assistere alla guerra tra poveri, che non attaccheranno lui, ma si attaccheranno tra loro per la posizione podio. Non stiamo a inventarci chissà quali scenari, non facciamoci strani film. Se mai, noi italiani teniamoci stretti i bei progressi di Tiberi, che al confronto non sono ancora niente, ma in prospettiva possono garantirci almeno un nome, un appiglio, una speranza. Se cresce testato da Pogacar, Tiberi cresce prima e meglio. Perdere da Eddy fece grande Gimondi. Perdere da Teddy può essere lo stesso. Prima però bisogna arrivarci.

 

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