Editoriale
Spirito olimpico. Ogni quattro anni è sempre la stessa storia: ci raccontano la favoletta dello «spirito olimpico». Ma a chi vogliono darla a bere? Provate a chiedere quanti sono stati alloggiati nel villaggio olimpico, quanti hanno veramente vissuto il fantastico «fascino olimpico».
Tanto per incominciare i nostri azzurri, quelli della strada, erano a ben 120 chilometri dal villaggio. Tutti a Bowral, la cittadina che ha adottato Michele Bartoli, Paolo Bettini, Francesco Casagrande, Danilo Di Luca e Marco Pantani e che è nota per il Festival del tulipano: i giardini sono tavolozze di fiori colorati. Insomma, una bomboniera, lontano da occhi indiscreti e dallo spirito olimpico.

L’importante è partecipare. È bellissimo, perché anche questo luogo comune - che fa certamente rivoltare nella tomba il barone Decoubertin - è entrato nel terzo millennio. Difatti, la spedizione azzurra ha pensato bene, su dodici specialità, di correrne soltanto sei. Fuori in campo femminile dalla velocità e da 500 metri e in campo maschile da km con partenza da fermo, velocità individuale e velocità olimpica, è stato cancellato all’ultimo momento anche l’inseguimento individuale. Perché «l’importante è partecipare»: in quelle specialità dove si può vincere.

Sport pulito. Quelli di Sydney saranno ricordati come i Giochi più puliti della storia (questo è quello che vorrebbero farci credere), e per l’Italia le vittorie più prestigiose non potevano che arrivare dal nuoto, dalla piscina «purificatrice». Per il ciclismo qualche soddisfazione e qualche amarezza: tutto come da copione. E a cavalcare questo «leit motiv» Silvio Martinello, che si è schierato al fianco del CONI per uno sport pulito, privo di sotterfugi e giochi di prestigio. «Anch’io non sono immune da errori nel passato - ebbe modo di dire qualche settimana fa -, ma è giunto il momento di dire basta. La musica è cambiata e c’è gente che non l’ha capito». Questo è vero, ma Silvio dovrebbe anche ricordarsi che ha 37 anni, e se lui è riuscito a capire qualcosa, l’ha fatto certamente fuori tempo massimo.

A tempo di record. Sarà anche vero che i primati sono fatti per essere battuti, ma questa volta si è battuto ogni record in fatto di tempismo. Via tutto, si torna al passato, si torna a Eddy Merckx. Anno domini 1972, record di Città del Messico. Per Moser, Indurain, Rominger, Obree e Boardman solo un messaggio da parte dell’UCI: scusateci, abbiamo scherzato, i vostri record contano poco più di nulla. A quasi trent’anni da Città del Messico (il 25 ottobre ’72 con 49,431 km) il record dell’ora torna a Eddy Merckx. L’Unione Ciclistica Internazionale d’ora in avanti riconoscerà solo i record con biciclette tradizionali, considerando «migliore prestazione mondiale» quelle con biciclette dalla tecnologia avanzata. L’ultima è quella di Chris Boardman (56,375 km il 6 settembre ’96). Di fatto l’UCI, con questo provvedimento, ha riposto l’uomo al centro dell’universo ciclistico, ma ha cancellato di fatto dal libro dei record la ricerca, che da sempre va a braccetto con lo sport, specialmente quando si tratta di tecnologia. Ma ve la immaginate la IAAF che decide di invalidare i record di Michael Johnson perché stabiliti con scarpette diverse da quelle di Jessie Owens? E magari perché il fondo sul quale ha corso era in materiale sintetico e non in terra battuta. Per non parlare delle canoe, delle racchette da tennis, dei body utilizzati dagli atleti: anche i nuotatori. E la cosa curiosa è che, nell’epoca della lotta al doping, si toglie al ciclista la principale scorciatoia lecita per migliorarsi. Basta con la tecnologia avanzata, basta con i sofismi tecnologici, si torna al passato. Proposta: perché non decidiamo di correre tutti i record solo a livello del mare, con maglie di lana, con biciclette uguali uguali a quelle di Coppi, magari in un Vigorelli avvolto dai boati dei bombardamenti? Anche il record di Merckx non ha nulla a che vedere con quello di Coppi.

Trasparenza e privacy. Espressioni come «ha valori al limite» sono tremende. I limiti li hanno messi apposta: chi sta sotto è in regola, chi è sopra se ne sta a casa. Le mezze misure non sono previste. Invece per Pantani sono previsti dei trattamenti tutti particolari. Per lui si possono bisbigliare le percentuali di ematocrito, emoglobina e ferritina a proprio piacimento. Mantenendo la privacy, ma non troppo. L’impressione è che il CONI abbia voluto mettere le mani avanti, per tutelare se stesso. Il mese scorso avevamo già toccato questo problema. Se Pantani è un personaggio così scomodo perché portarlo a Sydney? Forse proprio perché a qualcuno faceva comodo creare un po’ di clamore. Come è possibile che un anno fa Pantani era considerato il «mostro» del ciclismo italiano e adesso invece viene eletto a portabandiera? Chi ha convocato il romagnolo: Fusi? Oppure è stata davvero un’autoconvocazione? L’impressione è che Pantani sia certamente uno dei grandi simboli del ciclismo mondiale, ma anche uno dei simboli da sacrificare sull’altare di giochi politici molto poco chiari. Per un Rosolino e un Fioravanti «dopati» solo di pastasciutta, c’è un Pantani simbolo di uno sport sempre al limite. Il Coni è stato chiaro: questi Giochi hanno prodotto solo medaglie pulite. Fino a prova contraria. Come sempre.

Pier Augusto Stagi
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