di Pier Augusto Stagi
Pensavano che alla fine potesse smarrire la strada, ma non sapevano che Pollicino, al secolo Domenico Pozzovivo, in gruppo è conosciuto per essere corridore esperto e attento. Fino a qualche anno fa lo chiamavano “dom dom”, a ricordare il noto navigatore satellitare, proprio perché il piccolo scalatore lucano non smarrisce mai la strada maestra. Lui sa sempre dove arrivare, e come fare per arrivarci. Pollicino era al Giro come vice-Nibali, il capitano della Bahrain Merida che correrà il Tour e avrà il 35enne corridore di Montalbano Jonico al proprio fianco sulle strade di Francia.
«Domenico è un professionista esemplare - ci ha sempre raccontato il campione siciliano -: poche parole, ma tanti fatti. Non è un personaggio? Fino a prova contraria un corridore deve saper andare forte in bicicletta. Il resto sono solo chiacchiere».
È vero, Domenico parla poco, anche se a domanda risponde sempre con cognizione di causa. È tipo riservato e mite, per certi versi anche timido, ma se c’è da dire come la pensa, non ha mai problemi.
Pollicino ha studiato per tutto il Giro il Garibaldi, il grande libro di viaggio della corsa rosa, nel quale sono segnate tutte le tappe, con tanto di altimetrie. Fino alla terz’ultima tappa è stato in corsa per il podio, poi ha pagato dazio - ma senza naufragare - nella tappa del Colle delle Finestre e alla fine ha chiuso al quinto posto, eguagliando il suo miglior risultato di sempre, ottenuto nel 2014.
«Forse quel giorno ho pagato la tensione, è la prima volta che mi succede. Sul Colle delle Finestre ero al gancio, poi ho inseguito praticamente da solo e sul Sestriere ho preso tanta aria in faccia. Ho rischiato di saltare come Yates, ma sono riuscito a salvarmi. In questo Giro siamo andati fortissimo, sin da Gerusalemme. Non c’è stato un solo giorno in cui non ce le siamo date di santa ragione: l’agonismo è stato ai massimi livelli - spiega il primo corridore lucano a vincere una tappa al Giro d’Italia, a Lago Laceno, nel 2012 -. Tutti i giorni è successo qualcosa, anche nelle tappe che sembravano più adatte ad attacchi di corridori che non avevano obblighi di alta classifica. E invece no, è stata battaglia sempre e comunque, e io mi dico più che soddisfatto: ho fatto quello che dovevo fare, anche se forse mi sarebbe piaciuto vincere una tappa, ma a 35 anni un quinto posto resta un risultato eccellente. Certo, sognavo di salire sul podio ma in un giorno questo obiettivo è sfumato».
Qualche anno fa, quando vestiva i colori della Colnago di Bruno e Roberto Reverberi, era stato soprannominato la formica atomica del ciclismo, perché ricordava a livello morfologico tantissimo Sebastian Giovinco, l’ex folletto della Juventus. Qualche anno fa, quando vinse al Giro, fece anche lui il gesto della mano sopra alla testa; quella spanna alla Giovinco, per dire sono piccolo di statura, ma grande come atleta.
Lucano di Montalbano Jonico, Pozzovivo dopo aver conseguito la maturità scientifica, si è laureato in economia aziendale, e adesso gli mancano pochi esami per bissare con quella in scienze motorie. «Mi mancano nove esami - ci ha raccontato -. Mi è sempre piaciuto studiare, e lo faccio con grande impegno e passione, esattamente come la mia professione di ciclista».
Papà Leonardo è agricoltore, mamma Maria Rosanna è impiegata comunale, Domenico oltre a parlare un fluente inglese, ama la musica, suona il pianoforte e adora Chopin. S’interessa anche di meteorologia e dà consigli e anticipazioni al gruppo.
«Se è per questo sono uno che ama anche seguire la politica, e appena posso non mi perdo un talk-show in tv. Cosa penso della situazione italiana? Che è molto complicata: fare questo governo è più duro che scalare lo Zoncolan. Ma nulla è impossibile, e voglio pensare positivo: un atleta deve sempre pensare che qualcosa di buono si può sempre fare. Spero che anche i nostri politici si mettano una mano sul cuore».
Ha scoperto la bici da ragazzino, anche se per un paio di anni ha pensato bene di riporla in cantina. Il calcio gli piaceva molto di più: ruolo difensore, nella squadra allenata da papà. «Però poi sono tornato a pedalare, perché oltre ai libri io amo l’aria aperta e la natura, due cose per me imprescindibili. Il ciclismo mi è entrato dentro nel ’97, quando a Montalbano Jonico è arrivato il Giro di Basilicata. Ne rimasi affascinato, per l’internazionalità della corsa. Ricordo che vinse Allan Davis, ma in quel gruppo c’erano tanti ragazzi stranieri: australiani, tedeschi, francesi, inglesi, russi… Sono da sempre attratto dalle culture. Poi la briscola ce la mise Pantani. Le sue imprese in salita erano gioia pura. Purtroppo, poi, sappiamo come è andata a finire, quale sia stata la parabola oscura di un uomo che sapeva scalare le montagne come nessun altro, ma ha patito la pianura della quotidianità».
Anche lui, come il suo attuale capitano Vincenzo Nibali (che durante il Giro è salito al Teide, per preparare il Tour, ndr) o come Fabio Aru è stato costretto ad emigrare. Per diventare qualcuno ha dovuto lasciare la sua terra, per trasferirsi al Nord: inizialmente in Piemonte, da juniores al Pedale Chierese, poi da dilettante prima in Lombardia alla Zoccorinese, e quindi in Veneto, alla Zalf Euromobil Fior. Arrivano successi importanti che gli aprono nel 2005 il passaggio nella massima categoria, con un quarto posto ai mondiali Under 23.
Pollicino non ha mai perso la strada, ma ci è arrivato vicino almeno in un paio di occasioni: per i troppi incidenti. Soprattutto quello avvenuto al Giro del 2015, quando rovinò a terra picchiando violentemente il volto.
«Di quel giorno non ricordo più nulla - racconta -, e se so qualcosa è perché ho rivisto le immagini della caduta in tv. Però è vero, in carriera ho avuto diversi infortuni che mi hanno un po’ rallentato il cammino: la frattura della tibia e del perone e quel trauma facciale al Giro sono gli incidenti più gravi che ho dovuto affrontare, ma io sono uno che non ama ricordare i momenti bui, sono uno guarda sempre avanti. Il ciclismo ti insegna a non mollare mai. Cadere puoi, rialzarsi si deve».
Senza lasciarsi troppo andare, a Roma ha festeggiato anche lui la conclusione di un Giro molto duro, logorante, spettacolare. Lui che non ama i social, perché preferisce la vita reale a quella virtuale, e gli amici veri a quelli guadagnati con un like, ha twittato tutta la sua gioia. Uno strappo alla regola molto social, molto contemporaneo, prima di tornare a pensare alla sua professione e a quel Tour che dovrà correre al fianco di Vincenzo, per provare a sognare ancora un po’. Fino al prossimo tweet.