di Giorgia Monguzzi
Il Giro d’Italia Donne ha infiammato le strade italiane per tutta la prima settimana di luglio, nove giorni intensi di gara durante i quali le atlete hanno attraversato Toscana, Emilia Romagna, Piemonte e Liguria per poi concludersi con due tappe in Sardegna. È stata la trentaquattresima edizione della storica corsa a tappe femminile, la terza e ultima sotto la guida del gruppo Starlight di Roberto Ruini; dall’anno prossimo la competizione di proprietà della Federciclismo infatti passerà nelle mani di RCS Sport salutando quindi la storica presenza di Giuseppe Rivolta che ha dato lustro alla corsa rosa in oltre un ventennio di lavoro.
930 chilometri per un Giro strano dal punto di vista altimetrico, non durissimo, ma privo di tappe effettivamente facili; non c’erano le grandi montagne eppure nel corso di ogni giornata si è infiammata la lotta alla generale con una chiara dominatrice: Annemiek Van Vleuten.
La partenza non è stata delle migliori, tanta sfortuna ha colpito la prima tappa del Giro: una terribile grandinata ha costretto l’organizzazione a procedere con la cancellazione della crono di Chianciano Terme per garantire sicurezza alle atlete. Dopo la prima giornata difficile la corsa rosa à iniziata ufficialmente con la Bagno a Ripoli - Marradi, una frazione interamente nella provincia fiorentina in cui Annemiek Van Vleuten ha immediatamente scavato un divario enorme tra sé e le avversarie dopo un attacco sul Passo della Colla. In Emilia Romagna con la Formigine - Modena abbiamo assistito alla prima volata con Lorena Wiebes praticamente imbattibile. Il giorno successivo a Borgo Val di Taro, invece, Elisa Longo Borghini ha regalato la prima vittoria della nuova Lidl Trek e alla nuova maglia tricolore. C’era tanta attesa per le frazioni piemontesi, le più dure di questa edizione che non hanno mancato di regalare spettacolo e colpi di scena; nella tappa regina di Ceres ha trionfato la tedesca Antonia Niedermaier, mentre proprio Elisa Longo Borghini è stata costretta al ritiro a causa di una caduta. Van Vleuten con la sua maglia rosa non ha mai mostrato segni di debolezza, anzi ha messo a segno due affondo micidiali a Canelli e ad Alassio. Nell’unica tappa in terra ligure si è anche definito il podio finale con Juliette Labous e Gaia Realini che si sono dimostrate le uniche in grado di tenere il ritmo dell’olandese.
Se l’anno scorso la Sardegna aveva dato il via al Giro, stavolta ha ospitato le due frazioni conclusive che, nonostante il caldo, hanno regalato delle belle battaglie. A Sassari la campionessa ungherese Kata Blanka Vas si è presa la prima vittoria della carriera nel World Tour, mentre Chiara Consonni si è portata a casa la tappa finale con una volata imperiale. Ad Olbia Annemiek Van Vleuten ha festeggiato il suo quarto successo nel Giro d’Italia davanti a Juliette Labous e Gaia Realini, conquistando anche la maglia ciclamino e quella verde di miglior scalatrice. Gaia Realini invece è stata la migliore delle italiane e delle giovani.
Annemiek Van Vleuten,
quarta volta regina
Annemiek Val Vleuten era la favorita e nessuno è mai riuscito neppure a mettere in discussione la cosa. La detentrice della maglia iridata si presentava al via da campionessa uscente e ha dominato come una vera cannibale, ogni giornata è stata per lei l’occasione per guadagnare in classifica, spingere sui pedali distanziando le altre o semplicemente, per come ama dire lei, divertirsi.
«Molti dicono che sono la favorita e che gli occhi sono tutti puntati su di me, sinceramente ho imparato a non sentire più la pressione, amo correre e andare in bicicletta, mi diverto e cerco di farlo al meglio, è la mia ultima stagione e non voglio fare una copia di quello fatto negli anni scorsi, ma semplicemente essere me stessa e prendere tutto ciò che viene» ci aveva detto una felicissima, ma emozionatissima Annemiek alla vigilia. Nella prima tappa effettiva del Giro con arrivo a Marradi ha lasciato subito il segno, sul Passo della Colla non ha attaccato, ma ha alzato il ritmo ed è arrivata sola andando ad indossare una maglia rosa che non ha più lasciato. Nessuna frazione è stata mai banale per Annemiek che ha sempre lottato per una vittoria, a Borgo Val di Taro era davanti a giocarsi la tappa con Elisa Longo Borghini e a Ceres per un soffio non è riuscita a riprendere Antonia Niedermaier. L’olandese volante ha rimediato presto già il giorno successivo quando a Canelli ha anticipato le velociste, mentre ad Alassio è stata protagonista di una scalata incredibile con cui ha messo in cassaforte la vittoria finale.
«Il Giro ha un posto speciale nel mio cuore, penso che sia la corsa più bella e più dura che esista perché siamo in Italia, un posto unico. Mi ricordo la prima volta che sono venuta al Giro, in una tappa si arrivava in cima allo Stelvio e nessuna corsa femminile aveva mai proposto qualcosa di simile: in quel momento ho capito che il Giro era la mia corsa. Ogni edizione che ho vinto ha qualcosa di speciale, quest’anno ho lavorato duro per avere questa forma, è la mia ultima volta e sono contenta di aver lasciato una traccia, qualcosa di speciale per i tanti tifosi» ha spiegato Annmiek che con l’Italia ha un legame davvero speciale. L’olandese infatti passa lunghi mesi a Livigno, un luogo che definisce magico perché in grado di ricaricarla e di darle la preparazione migliore. Tra un allenamento e l’altro cerca di far sua qualche nostra usanza e di imparare l’italiano, anche se ammette essere piuttosto difficile, ma promette che una volta appesa la bici al chiodo ci si dedicherà in modo più costante. Ma prima ci sono ancora tante occasioni in cui proverà a lasciare il segno.
Gaia Realini, la maglia bianca
della determinazione
Annemiek Van Vleuten è stata imbattibile, ma sulla sua strada ha trovato un osso duro come Gaia Realini che le ha reso la vita veramente difficile.
L’abruzzese era stata la vera rivelazione del Giro dello scorso anno, questa volta si è presentata con l’obiettivo di testare la sua crescita, ma anche di puntare a qualcosa di grande.
«Penso che questo sia stato il mio primo vero Giro - ci ha spiegato Gaia - negli scorsi anni con la Isolmant Premac Vittoria ero praticamente da sola a combattere tra le grandi, ma penso che quell’esperienza mi abbia aiutato davvero tanto. Giovanni Fidanza è stato un punto di riferimento fondamentale perché mi ha permesso di crescere senza pressioni e poi fare il grande salto alla Lidl Trek dove per la prima volta ho trovato compagne che si mettevano a mia disposizione per aiutarmi».
Gaia è giovanissima, ma ha la testa sulle spalle e la mentalità di chi è destinata a fare cose grandi. Già alla Vuelta aveva dimostrato di avere le carte in regola per essere con le migliori nelle grandi corse a tappe e qui è arrivata la conferma definitiva. Per stessa ammissione di Annemiek Van Vleuten, è stata l’avversaria più tenace che l’ha messa in seria difficoltà e che nei prossimi anni può seriamente puntare al bottino pieno. Per Gaia, Elisa Longo Borghini è sempre stato il punto di riferimento, accanto a lei l’abruzzese è maturata ed è riuscita ad esprimersi al meglio. Sempre insieme fin dalla prima tappa, fianco a fianco provando a contrastare Van Vleuten fino al ritiro di Elisa a causa di una caduta.
«Nella discesa che portava all’ascesa finale di Ceres ho visto la sua bici, ma Elisa non c’era, mi sono spaventata - ha proseguito Gaia -: dall’ammiraglia mi hanno poi rassicurato, ma quando il giorno successivo non è ripartita ero dispiaciutissima. Ho imparato tanto da Elisa e un po’ mi spaventava non averla al mio fianco, ma la squadra è stata pazzesca perché mi ha supportato emotivamente spingendomi a non mollare. Il giorno della tappa in Liguria volevo il podio a tutti i costi e le mie compagne hanno lavorato duro per me, poi c’era Elisa che da casa faceva il tifo per noi. Ammetto che la frazione più dura è stata quella finale perché faceva caldo e poteva succedere di tutto, ma sono contentissima di aver difeso la mia posizione. Questo Giro è stata una scuola importantissima, ho imparato a gestire la squadra e che ogni giornata non è mai banale, può succedere veramente di tutto e non si può abbassare la guardia. Soprattutto ho capito che devo fidarmi delle mie compagne, sono il mio sostegno e sono pronte ad aiutarmi, io per loro devo fare lo stesso, è grazie a loro che ho vinto questa maglia bianca che è davvero speciale. E chissà, forse un giorno potrò ambire anche a quella rosa...».
Elisa Longo Borghini,
che zampata a Borgo Val di Taro
La prima ed unica vittoria di Elisa Longo Borghini al Giro era stata nel 2020 a San Marco La Catola: da quel momento la campionessa italiana ci aveva provato diverse volte andandoci solo vicina. Forte del bellissimo successo ai campionati italiani e del terzo posto al Tour de Suisse, la piemontese è arrivata alla corsa rosa con una forma strepitosa anche se alla vigilia era stata piuttosto chiara: «non punterò alla classifica, ma ad una vittoria di tappa». Nonostante le dichiarazioni, Elisa è stata l’unica avversaria che Annemiek Van Vleuten ha temuto e che l’ha messa seriamente in difficoltà. A Marradi aveva provato a lanciarsi al suo inseguimento, ma il capolavoro sarebbe arrivato solo due giorni più tardi. A Borgo Val di Taro, infatti, la campionessa italiana ha tenuto le ruote dell’olandese e si è aggiudicata la vittoria allo sprint.
«Vincere al Giro è un’emozione incredibile, l’avevo provata già tre anni fa ma è sempre qualcosa di speciale, si tratta del primo successo per la nuova Lidl Trek ed è bello inaugurare la maglia in questo modo. Sinceramente era una tappa che non avevo pianificato, credevamo di poterci riposare in vista delle due frazioni difficili in Piemonte e invece Annemiek ha voluto fare corsa dura ed io le sono andata dietro. È strano pensare di aver vinto ancora una volta allo sprint, prima venivo sempre battuta ed ora sono io che batto gli altri, significa che tanto lavoro ripaga sempre».
La vittoria di Elisa Longo Borghini aveva acceso gli italiani e non solo, sembrava essere l’unica in grado di mettere in dubbio la leadership della maglia rosa, ma la gioia è durata poco perché il giorno successivo la piemontese è stata vittima di una terribile caduta nella discesa verso Ceres. Per fortuna nulla di rotto, ma tanta paura e il ritiro per precauzione, lo scontro con la Van Vleuten rimandato al Tour.
Chiara Consonni, il finale perfetto
Spesso si dice di lasciare il meglio per il finale e sembra proprio che Chiara Consonni abbia preso il detto alla lettera per l’ennesima volta. L’anno scorso al Giro aveva lasciato il segno con una zampata finale a Padova e in questa edizione l’ha fatto di nuovo dominando lo sprint ad Olbia e dimostrando di avere ancora energia dopo nove giorni di gara veramente stressanti.
«Questo Giro per me è stato davvero difficile, mi sono staccata spesso ed ho sofferto il caldo. Volevo mollare, ma le mie compagne sono sempre state al mio fianco e mi hanno detto di tenere duro perché sarebbe arrivata anche la mia occasione. Ad Olbia vedevo il traguardo, ho chiuso gli occhi e ho spinto dando tutto quello che avevo, è stato bellissimo» ha detto Chiara che poi si è lasciata andare alle emozioni ringraziando ad una ad una tutte le compagne ed in particolare Marta Bastianelli che per lei rappresenta più di un semplice punto di riferimento, un’insegnante, una chioccia da cui ha imparato tanto e da cui ammette di avere ancora tanto da apprendere. Chiara è esuberante, ma sa quando è il momento di scherzare e quando di fare fatica, a Modena era rimasta delusa dalla sua mancata volata, ma in Sardegna si è fatta veramente un bel regalo facendo anche gioire i suoi numerosi tifosi.
Marta Bastianelli, l’ultima danza
di una campionessa
Marta Bastianelli è una vera e propria bandiera del ciclismo italiano, dall’iride da giovanissima nel 2007 è stata la protagonista di battaglie e vittorie incredibili dimostrando che se si vuole veramente qualcosa nulla è impossibile. L’atleta del team Uae Adq ha scelto il Giro Donne per terminare la sua carriera agonistica, una scelta maturata da tempo, ma che ha messo tristezza in gruppo e tra i tanti addetti ai lavori.
«Sono sempre stata molto serena, la decisione di smettere l’ho presa da tempo e non sono mai tornata indietro sui miei passi, anzi ho sfruttato queste ultime gare per godermi tutto al meglio. Il ciclismo mi ha dato tanto, quando ho vinto il mondiale ero giovanissima, sono diventata mamma e quando tutti mi davano per spacciata ho vinto il Fiandre e l’Europeo, è stato bellissimo, conservo tutti questi ricordi nel cuore» spiega Marta che nel ciclismo ha fatto proprio una piccola rivoluzione diventando la prima mamma in gruppo e ritornando ancora più forte di prima; è difficile trovare qualcuno che non le voglia bene e a Sassari le sue colleghe hanno dimostrato tutto l’affetto nei suoi confronti regalandole un vero e proprio omaggio per la sua cavalcata finale.
Marta voleva una giornata di festa e senza lacrime, ma era difficile trattenerle tra le mille emozioni. «Negli ultimi anni il ciclismo è cambiato tantissimo, noi veterane abbiamo lottato a lungo affinchè il nostro venisse considerato un lavoro, per avere le nostre corse e il giusto riconoscimento, ora è importante che le giovani difendano tutto questo. Me ne vado con il sorriso e con l’orgoglio per la strada percorsa» ha detto Marta molto emozionata. A tenerle la mano c’era la figlia Clarissa che le è sempre stata accanto assistendo alle sue imprese e diventando di diritto la sua tifosa più speciale.