Van der Poel: «Da Sanremo al grande Nord»

di Francesca Monzone

L’asfalto di Via Roma a San­re­mo si è tinto con i colori dell’Olanda portati in trionfo da Mathieu van der Poel che, 62 anni do­po il successo del nonno Raymond Poulidor, ha riportato in famiglia la vittoria nella Classicissima.
L’olandese volante ha sorpreso e at­taccato i suoi avversari e, come un giocatore astuto, ha fatto saltare il banco sul Poggio, andando a conquistare la sua terza Classica Monumento.
Lo avevamo visto all’inizio di marzo alla Tirreno-Adriatico, dove era rimasto nascosto sostenendo di non aver raggiunto ancora la forma che voleva, ma il lavoro svolto a favore del compagno di squadra Jasper Philipsen, vincitore di due tappe, lasciava intendere ben altro. Poi alla vigilia della Clas­si­cis­sima di Primavera Van der Poel aveva spiegato che per vincere la San­re­mo non bisogna necessariamente essere i più forti e quelle sue parole do­vevano essere intese come un presagio di quel che sarebbe accaduto l’indomani.
«Il mio non è stato un bluff alla Tir­reno-Adria­tico - ha detto Van der Poel dopo la vittoria -: quella corsa ha avuto la sua importanza, mi serviva per prepararmi bene alla Sanremo. Era la gara di cui avevo bisogno per vincere».
Durante la premiazione in via Roma MVDP, abbreviazione che lo identifica in tutto il mondo, non era da solo: sotto il podio c’erano la mamma Corinne Poulidor e la fidan­zata Ro­xanne Bertels, abbracciate e sorridenti e allo stesso tempo silenziose: non hanno voluto rilasciare dichiarazioni.
Lo sguardo di Mathieu era rivolto verso l’alto mentre l’inno olandese suonava e il pensiero a quel nonno così speciale sicuramente non è mancato.
«Per me vincere questa corsa ha un va­lore importante. La Milano-Sanremo è l’unica Classica Monumento che ha vin­to mio nonno e oggi possiamo dire di avere una vittoria in comune».
Già, quella Sanremo che Van der Poel ha più volte detto di non amare troppo perché troppo noiosa e piatta, adrenalinica solo negli ultimi chilometri.
«Il problema della Milano-San­re­mo non sono gli ultimi 100 chilometri che sono bellissimi, ma i primi 200 durante i quali non succede  mai nulla».
Gli affetti all’interno della famiglia Van der Poel sono sempre stati riservati e raramente sono emersi episodi legati all’infanzia o al rapporto con i genitori, in particolare è sempre stato detto po­co riguardo al legame tra Mathieu e il nonno Raymond Poulidor.
Era il 2014 quando il non­no Poupou decise di por­tare con sé il ni­pote e di fargli vivere il Tour de France da dietro le quinte, sen­za immaginare che un giorno sarebbe stato protagonista della Gran­de Boucle.
«Rimasi sorpreso di quanto mio non­no fosse famoso - ha raccontato poi Ma­thieu - e vederlo muoversi a suo agio in quel grande circo mi fece venire la voglia di correre il Tour».
Quando il giovane olandese iniziò a correre su strada, nella sua testa c’erano il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix, le due corse più affini al suo amato ci­clocross. Anche se il suo so­gno era correre il Tour con il nonno al se­guito in camper. In quel 2014 Ray­mond Poulidor presentava il nipote co­me il fenomeno di famiglia, il grande campione che avrebbe vinto il Tour, mentre Mathieu continuava a ripetere: «Nonno, sei tu il campione».
Il sogno di andare insieme alla Gran­de Boucle si è infranto il 13 no­vem­bre 2019, quando il grande Poupou ha perso la sua corsa più difficile contro una malattia che lo perseguitava da anni.
Come per ogni campione, dietro la forza del vincitore c’è la fragilità dell’uomo e anche Mathieu van der Poel ha dimostrato di avere quelle insicurezze che rivelano il suo lato più umano. La scomparsa del nonno è stato uno dei momenti più difficili della sua vita: in quel 2019 il quarto posto al Fiandre aveva fatto entrare Mathieu in una crisi profonda, tanto che aveva deciso di la­sciare il ciclismo per riprendere gli stu­di.
La vittoria al Fiandre del 2020 gli ha ridato coraggio e determinazione e ha animato nuovamente la sua volontà di rendere giustizia al nonno che, scomparso da pochi mesi, nn era mai riuscito ad indossare la maglia gialla al Tour. La sua squadra, la Alpe­cin Fenix, alla Grande Boucle del 2021 ha deciso di rendere omaggio a Poulidor con una maglia commemorativa - perfetta replica di quella che il campione francese ha indossato per gran parte della sua carriera - che l’Uci non ha gradito e cercato di contestare. La Francia, però, è un Paese che difende i propri eroi e Pou Pou era l’ambasciatore del ciclismo na­zionale, anche se per un destino beffardo non era mai riuscito a indossare il simbolo più amato del Tour. Nella seconda frazione della Grande Boucle, grazie d uno splendido numero sul Mûr de Bretagne, Mathieu ha realizzato quello he aveva sempre so­gnato. «Non avevo parole, avevo dato tutto quel giorno perché sapevo che era la mia ultima occasione per conquistare la maglia».
Quel giorno sul palco Mathieu guardava il cielo con il pensiero fisso al non­no, certo che sarebbe stato orgo­glioso di lui.
«Volevo veramente quella maglia e ho fatto di tutto per averla. Fin dall’inizio sapevo che sarebbe stato il mio giorno. È un vero peccato che non abbia potuto vivere quei momenti con me».
La vita di un campione non è mai semplice e quando nasci in una famiglia nella quale il ciclismo viene sempre al primo po­sto, allora resta poco tempo per ami­ci e svaghi. Mamma Corinne in una delle sue rare interviste ha raccontato che tutto l’anno era scandito dai calendari delle gare prima di ciclocross e poi di mountain bike. E ancora oggi la vita del campione olandese si snoda dalla strada al ciclocross, senza tralasciare la mountain bike con la quale sogna di vincere l’oro olimpico a Pa­rigi2024.
Le Classiche Monumento sono l’essenza del ciclismo per Mathieu Van der Poel: per il momento ha conquistato due volte il Giro delle Fiandre e una la Milano-Sanremo, ma la sua sete di vittoria di certo non si è placata. Il campione aspetta di ritrovarsi sulla strada a duellare con il suo rivale di sempre, Wout van Aert, il belga con il quale deve fare i conti da quando era un ra­gazzino. Le loro sfide sono nate nel ci­clocross e sono poi continuate sulla strada. A gennaio al Mondiale che si è svolto a Hoogerheide, nei Paesi Bassi, il ragazzo di Ka­pellen ancora una volta ha stregato il pubblico, battendo nuovamente Van Aert. Le battaglie tra l’olandese e il fiammingo hanno fatto impazzire il pubblico di tutto il mondo e gli organizzatori dei grandi cross ogni anno offrono premi sempre più alti per averli entrambi ai loro eventi.
«Wout ed io ci scontriamo da oltre die­ci anni e sono convinto che abbiamo regalato al pubblico momenti unici. So­no sicuro che un giorno con il sorriso riguarderemo alle nostre carriere e sa­remo soddisfatti per quello che ab­biamo fatto».
Van der Poel è un attaccante nato che non vuol mai mollare di fronte all’avversario e che, quando la forza fisica non basta più, riesce a trovare strategie perfette che mettono in trappola gli avversari. Nelle volate ristrette è implacabile: dopo un rapido sguardo sorprende e colpisce l’avversario, senza dargli possibilità di replica. Così è stato al Giro delle Fiandre 2020 e così è stato a Hoogerheide, dove la sconfitta è toccata a Van Aert: «Quando ho vinto quel Fiandre, non riuscivo a crederci. Ri­cordo di aver chiesto conferma almeno 10 volte perché non capivo se stavo vivendo un sogno o se era tutto vero».
Ad Harelbeke quest’anno van Aert si è preso una bella rivincita battendo il rivale e Pogacar in una volata stellare. Ma la stagione delle Classi­che è appena iniziata e per l’olandese figlio e nipote d’arte è arrivato il momento di combattere su quelle strade che hanno reso im­mortali i nomi di tanti corridori. Al Giro delle Fiandre ritroverà Van Aert e poi la battaglia si sposterà in Francia per la Parigi-Roubaix, corsa nella quale è arrivato terzo nel 2021 quando Sonny Colbrelli vinse la battaglia nel fango.
«Nella mia mente ci sono due obiettivi: il Fiandre e la Roubaix, le due corse che amo di più e che voglio vincere nello stesso anno».

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