di Giulia De Maio
Matteo Trentin ha vinto il titolo europeo nel 2018 e un anno più tardi ha sfiorato quello mondiale, battuto da quel Mads Pedersen che con una volata impeccabile ha strozzato in gola l’urlo di gioia di tutta Italia. Il 2020 è stata la sua prima stagione da prof senza vittorie. «Questo mi fa girare le balle, altro che il mondiale nello Yorkshire» confida il trentaduenne trentino in forza alla UAE Emirates. Finora nel 2021 “Trento” ha collezionato buoni piazzamenti, senza riuscire ad alzare le braccia al cielo. Ci proverà questo mese che presenta due appuntamenti che lo vedranno sicuro protagonista in maglia azzurra: il Campionato Europeo del 12 settembre nel suo Trentino e il Campionato del Mondo di Leuven in programma il 26 in Belgio. Ne abbiamo parlato direttamente con lui mentre è impegnato alla Vuelta a España.
Come stai Matteo?
«Ho buone sensazioni. La prima parte di stagione è andata abbastanza bene, nelle classiche è mancata la vittoria ma mi sono dimostrato consistente, alla Gand-Wevelgem e alla Freccia del Brabante sono salito sul podio, al Fiandre sono stato escluso dai giochi da una foratura, come nelle altre gare in cui ci hanno messo lo zampino dei guasti meccanici. In questa seconda parte, l’obiettivo è andar forte ad Europei e Mondiali, quindi sono partito un po’ in sordina per arrivare in forma nel corso di questo mese. Al Giro di Slovenia sono caduto, grattandomi come il formaggio grana, mi si è infettata una ferita, ho perso una settimana di allenamento e ho dovuto saltare i Campionati Italiani, niente di grave ma nel ciclismo di oggi qualsiasi piccolo imprevisto ha risvolti che possono fare la differenza».
Sei riuscito a vincere un Europeo riprendendoti da botte ben più pesanti.
«È vero. Glasgow 2018 è la corsa di cui vado più orgoglioso perché era il grande obiettivo che mi ero prefissato dopo il brutto infortunio rimediato alla Parigi-Roubaix. Ero ripartito dopo essermi fratturato una costola in allenamento a gennaio, ad aprile all’Inferno del Nord mi ruppi una vertebra. Dopo 8 mesi da incubo fu un sogno riuscire a tramutare in realtà un’obiettivo che mi ero messo in testa quando non potevo nemmeno pedalare. Per me è stato un successo importante e di grande valore. L’Europeo non ha il prestigio né il parterre di un mondiale in cui si presentano al via atleti appunto di tutto il mondo ma quando ho vinto io in gara c’erano Sagan e Kristoff, sul podio con me sono saliti Van der Poel e Van Aert. Come ha detto Cassani, finchè lo vinciamo noi c’è chi lo sminuisce dicendo che conta poco, quando lo perderemo e lo vincerà qualche altra Nazione sarà un dramma».
Tornato dalla Spagna, sarà subito ora di vestire la maglia azzurra.
«La Vuelta si conclude domenica 5 settembre a Santiago de Compostela che è un bel posto ma fuori mano. Lunedì tornerò a casa e giovedì dovrò ripartire alla volta di Trento. Trascorrerò giusto tre giorni a Monaco tranquillo in famiglia, con Claudia e i nostri bimbi. Con Jacopo, il più piccolo, giocherò con le macchinine. Giovanni invece, che ha sei anni, adora i Lego e i giochi da tavolo. Un grande giro è sempre impegnativo e quello che è fatto e fatto. In una settimana non diventi forte o scarso, il grosso della preparazione ormai è in cascina, quindi non ho in programma allenamenti specifici. A luglio sono stato in altura a Livigno 20 giorni, ho svolto un bel blocco di lavoro, poi dopo una settimana al livello del mare sono tornato ad attaccare il numero alla schiena ed ora eccoci qui, pronti per l’Europeo».
Un anno fa hai contribuito al successo di Nizzolo, questa volta corri in casa. Ti piace il percorso di Trento?
«È molto duro, c’è un sacco di dislivello nel tratto di trasferimento che, non si offenda chi l’ha disegnato, non ha proprio senso averlo inserito, mentre il circuito sarebbe perfetto anche per un mondiale. Presenta una salita impegnativa ma non impossibile per la maggior parte dei corridori, uno sforzo contenuto, seguito da una discesa in cui bisognerà spingere. Voto 10 al circuito, 5 al pezzo prima. Ormai da qualche anno abito a Montecarlo, ma in Trentino torno quando sono in pausa dalle gare in estate e in inverno per Natale. Avere il tifo di parenti, amici e tifosi che mi seguono da sempre mi darà un motivo in più per dare il massimo».
A seguire sarai in gara al Mondiale, con il quale hai una questione in sospeso...
«Non ho delusioni da cancellare, ma da Harrogate 2019 c’è un conto aperto che mi spinge a dare quell’1-2% in più che potrebbe servirmi in un futuro davvero prossimo. È un bel mondiale. Il percorso lo conosco perché sono andato a provarlo e anche perché in Belgio le strade bene o male sono sempre quelle. È molto tecnico. Come Italia ci presenteremo con una squadra molto forte, come sempre in questi anni non partiremo con i favori del pronostico, che lasciamo volentieri a Van Aert che corre in casa e ha compagni competitivi, ma bisognerà vedere se correranno uniti. Noi abbiamo dalla nostra la compattezza del gruppo che, su un percorso in circuito duro come quello che ci aspetta, farà la differenza; da soli non si va da nessuna parte, come ci insegnano le classiche del nord la squadra più forte riesce il più delle volte a fare andare la corsa come vuole. Il bello è che ad un mondiale le carte in tavola si mescolano, l’esperienza e la qualità dei club vengono smistate nelle varie nazionali, per intenderci non avremo una corazzata come la Deceuninck Quick Step al di sopra di tutte e questo farà grande differenza».
È simile al tracciato nello Yorkshire?
«È una via di mezzo tra Harrogate e Glasgow. Il primo circuito dei due di cui si compone il percorso è una rivisitazione della Freccia del Brabante (dove Matteo quest’anno si è piazzato 3° alle spalle di Tom Pidcock e Wout Van Aert, ndr), quello di Leuven dove ci sarà l’arrivo ricalca invece in buona parte il G.P. Jef Scherens che si corre ogni anno in Belgio. Potremmo trovare brutto tempo e così verrebbe fuori una corsa veramente selettiva. Nello Yorkshire fu da tregenda. Freddo e pioggia tutto il giorno. Però abbiamo corso bene, come una squadra. Peccato sia mancata la ciliegina sulla torta. La cosa positiva che mi sono portato dietro da quel mondiale è che so di poter essere protagonista in una corsa lunga, difficile e dura come quella. La medaglia d’argento è stata un’iniezione di fiducia, per me. Ovvio che poi vincere sarebbe stato meglio, ma ormai è acqua passata».
Potresti regalarti e regalare a tutta l’Italia un finale diverso da Harrogate?
«Secondo me sì. Ho dimostrato negli anni e specialmente questa primavera che nelle Classiche quando era ora di limare, di essere al posto giusto nel momento giusto non tradisco. Questo mi dà una certa sicurezza nei miei mezzi. La nostra Nazionale, in questi anni, si è divisa in gruppo degli scalatori e gruppo da classiche. Il secondo, di cui faccio parte, è rimasto sempre invariato, con l’inserimento di qualche corridore ogni volta, ma la base del gruppo è sempre quella, quindi al mio fianco bene o male troverò i compagni con cui ho corso a Bergen, a Harrogate, a Glasgow, ad Alkmaar e a Plouay dove un anno fa ha vinto Nizzolo. Gente abituata al nervosismo delle Classiche del Nord».
I rivali da battere nei due appuntamenti?
«Per il mondiale mi aspetto i corridori che generalmente sono protagonisti alle classiche del pavè: Van Aert, Van der Poel, Pidcock, come sempre Sagan sarà della partita così come il campione uscente Alaphilippe, ma occhio anche a Stuyven e Van Avermaet. All’Europeo ci sarà Tadej Pogacar insieme ad altri atleti più scalatori che cercheranno di rendere la gara più impegnativa di quanto sia già sulla carta. Il percorso di Trento è più complicato da decifrare per il lungo e duro trasferimento che presenta salite più da tappa di montagna di un grande giro che da prova in linea, in questo senso anche fare una selezione per i commissari tecnici non è scontato né banale. La sfida iridata sarà invece una classica belga che potrà riservare meno sorprese. La gara inizierà molto presto e la farà da padrone il meteo, se troveremo una giornata di bello o brutto tempo cambieranno decisamente le cose. Come Italia sono convinto che siamo messi bene».
A quanto pare saranno le ultime gare di Cassani come CT. Chi vorresti come suo successore? Si sono fatti diversi nomi, da Martinelli a Fondriest, passando per Bramati con cui hai lavorato a inizio carriera, e Bugno, attuale presidente del sindacato mondiale dei corridori in cui sei molto attivo.
«Ogni momento si sente un nome nuovo. La politica ha il suo peso in queste scelte e il nuovo presidente federale ci sta che voglia apportare un cambiamento, che prima o dopo, ci deve essere. È fisiologico. Nella sua gestione Davide ha portato tante medaglie, risultati importanti, è una scelta della dirigenza chiudere un ciclo o confermare quello che si sta facendo. Sicuramente chiunque gli succederà andrà a ricoprire un ruolo non facile in un paese in cui siamo tutti CT. La Federciclismo sceglierà se puntare a un tecnico fisso o a uno a gettone ma quale che sia la formula preferita, il nuovo commissario tecnico dovrà avere esperienza, tempo e capacità per mettersi al servizio di tutto il movimento e non solo quello di vertice. Rappresenterà una figura di riferimento per noi professionisti ma anche per tutti i giovani. Io non voglio entrare nel merito di una scelta che non mi compete ed è indubbiamente difficile, trattandosi di una Nazione importante che resta un riferimento in ambito mondiale».