Il fenomeno Van Aert

di Francesca Monzone

Come una fenice è rinato dalle sue stesse ceneri e proprio al Tour de France, dove la sua carriera ha rischiato di finire nel 2019, ha deciso di stupire nell’unico modo per lui possibile: vincendo da dominatore. Wout Van Aert in questo 2021 ha veramente dimostrato di essere tra i più forti corridori al mon­do. Un anno magico per lui, iniziato con la nascita del figlio Georges al quale aveva dedicato la maglia di campione nazionale nel ciclocross conquistata a Meulebeke e poi ancora a lui e a sua moglie Sarah saranno le vittorie al Tour de France.
Tre vittorie incredibili, conquistate in montagna, a cronometro e per finire con uno sprint sul mitico traguardo degli Champs Elysées a Parigi. Un avvicinamento non facile per lui alla corsa gialla, perché a maggio si era dovuto fermare per essere operato di appendicite. Uno stop di alcune settimane, l’impossibilità di correre il Del­finato e poi finalmente il recupero e la preparazione per la corsa gialla.
Il Tour de France quest’anno non ha solo consacrato Tadej Pogacar tra gli eletti del ciclismo e consegnato la maglia verde del riscatto a Mark Ca­vendish. La Grande Boucle ci ha regalato le immagini di un corridore che, con la maglia di campione del Belgio, ha saputo dimostrare che è capace di vincere su ogni terreno. Wout, il ragazzo che ha passato l’adolescenza a confrontarsi con Van der Poel, in questo Tour ha saputo colpire con la potenza delle sue gambe e la sua determinazione, portando in alto la Jumbo-Visma rimasta senza capitano. È stato lui -  cuore e potenza della sua squadra, capace di non demoralizzarsi per il ritiro di Primoz Roglic - a spiegare ai compagni che quella perdita così im­portante poteva diventare un’opportunità e che sarebbe stato possibile rendere onore al proprio capitano.
Il discorso ha funzionato e la Jumbo-Visma con Vingegaard è finita al secondo posto finale a Parigi.
Noi ricorderemo Van Aert con la sua bici dalla forcella gialla, con lo sguardo dritto sulla strada negli ultimi chilometri del Mont Ven­­toux oppure con la testa bassa a Saint-Emi­lion mentre fa segnare il miglior tempo nella seconda tappa a cronometro, il suo corpo lanciato come un proiettile lungo il percorso tra i vigneti. E poi domenica 18 luglio è sempre lui che taglia per primo il traguardo, con il sole che tramonta alle spalle dell’Arco di Trionfo, con uno sprint veramente regale.
Van Aert quella sera stessa ha salutato velocemente la moglie e il figlio per volare a Tokyo, si è concesso una coppa di champagne in aereo volando a Tokyo per una nuova avventura con la voglia di conquistare una medaglia
Ripercorrere gli ultimi tre anni di questo grande corridore non è facile, perché ci sono state vittorie e sconfitte, ma sempre accompagnate dalla capacità di accettare il risultato e congratularsi con chi si è rivelato stato più forte di lui. Le vittorie sono 25 vittorie e tra queste la Milano-Sanremo, l’Amstel Gold Race, la Gand-Wevelgem e la Strade Bianche , più sei tappe al Tour de France. Poi ci sono tanti piazzamenti e quelle medaglie d’argento che, se da una parte sono un risultato importante, per un campione del suo calibro  in qualche modo sono una sconfitta. In meno di 12 mesi è argento nella prova in linea e nella cronometro ai Mon­diali di Imola alle spalle di Ala­philippe e Ganna, poi ancora se­condo dietro a Van der Poel al Giro delle Fian­dre nel 2020. È secondo anche al Mondiale di Ciclocross a Ostenda sempre dietro al rivale olandes e l’ultimo argento è arrivato a Tokyo quando, da favorito per la vittoria, si è dovuto arrendere all’ecuadoriano Carapaz.
Tornando a quel podio finale del Tour de France, abbiamo visto un Van Aert diverso, salito sul podio con il piccolo Georges e con l’orgoglio del padre che per la prima volta mostra al mondo in­tero il proprio figlio.
«Mia moglie ed io amiamo la privacy ma siamo consapevoli che certi mo­menti sono unici: prima della tappa ho pensato che se avessi vinto avrei portato Geor­ges con me sul podio, perché sarebbe stata un’immagine uni­ca. Dopo aver il tagliato il traguardo ho chiesto a mia moglie il permesso di portarlo con me e lei ha approvato la mia idea, in questo modo avremo una fotografia unica. Ora che tutto il mon­do lo ha visto, vorrei passare qualche minuto con lui prima di partire nuovamente».
Questo è un Van Aert intimo che pri­ma non avevamo mai visto, capace di dormire per un’intera settimana nel camper in attesa della nascita di questo bambino, che avrebbe cambiato per sempre la sua vita, per non disturbare la moglie e poter riposare visto che era nel pieno della stagione crossistica.
Prima di arrivare a quello che è successo alle Olimpiadi di Tokyo, è giusto ricostruire quelle straordinarie vittorie al Tour de France, perché il fiammingo, prima di vincerle sulla strada, le aveva immaginate nella sua testa, percorrendo nei suoi pensieri ogni me­tro di asfalto. Tre vittorie alla Grande Bou­cle che lo hanno consacrato definitivamente e adesso sono in tanti a chiedersi se questo atleta così incredibile potrà vincere, un giorno, un grande giro.
Van Aert la risposta l’aveva già data, spiegando che per il momento non è il suo obiettivo e già all’inizio del Tour aveva detto che avrebbe puntato alle vittorie di tappa e che forse il prossimo anno si sarebbe concentrato sulla maglia verde della classifica a punti.
«Ogni vittoria di tappa al Tour ha la sua storia, ma se dovessi scegliere tra la vittoria sul Mont Ventoux, la cronometro e Parigi, onestamente non saprei quale priviliegiare».
Una vittoria in salita, un successo contro il tempo e il giorno dopo ecco lo sprint: sicuramente vittorie che può ottenere solo un vero campione.
«La tappa con la doppia scalata del Mont Ventoux è stata davvero speciale. Anche la cronometro tra i vitigni ha avuto uno sfondo bellissimo, ma l’atmosfera a Malaucène e il modo in cui ho vinto la tappa del Ventoux erano di un altro livello. Ero dav­vero emozionato in quel momento. Poi c’è stata la vittoria a Parigi, una vittoria diversa, perché imporsi sui Campi Elisi è qualcosa di unico, che ti dà soddisfazione e ti ripaga anche a livello mentale».
La sera di Parigi, Van Aert in aeroporto aveva già chiuso il suo capitolo sulla cor­sa gialla e nella sua mente iniziava a prendere forma il sogno olimpico e quello di conquistare una doppia me­daglia. Le due prove di Tokyo era­no difficili e il belga lo sapeva perché, ol­tre alla forza fisica serviva un buon pia­no per conquistare la medaglia d’oro. Purtroppo le cose non sono an­date come il fiammingo aveva previsto e nella gara in linea ha conquistato l’argento alle spalle di Carapaz, con lo sloveno Pogacar bronzo.
«Avevo le gambe per vincere. Sapevo che mi sarei trovato in una situazione difficile dopo il Mikuni Pass - ha detto van Aert dopo la corsa -. Il gruppo dietro prendeva di mira costantemente la mia ruota e quella di Pogacar. Ma questo non mi ha creato nervosismo, potevo prevederlo in anticipo. È stata una raffica di attacchi. Ho continuato a correre cercando di puntare alla medaglia d’oro fino all’ingresso nel circuito. Ci siamo avvicinati, ma poi ho visto in lontananza che Carapaz aveva lasciato McNulty alle spalle e che gli era rimasto qualcosa per andare verso il tronfo. Questo significa che ha meritato la vittoria, da vero campione».
L’argento olimpico per il belga ha un valore importante, perché sa di aver dato tutto quello che poteva.
«Sono arrivato secondo anche lo scorso anno al Mondiale di Imola. Per ben due volte sono salito sul secondo gradino del podio e all’inizio non ero affatto contento. Adesso però le sensazioni che pro­vo sono completamente diverse e sono felice di questo risultato».
Secondo nella prova in linea, Van Aert sa di avere ancora una possibilità per conquistare l’oro olimpico. C’è la gara a cronometro e, dopo il successo del Tour, è lui a partire da favorito.
«Sto davvero bene, sono uscito dal Tour molto bene e ho fatto una buona settimana di allenamento anche qui - spiega Van Aert dopo la prova in linea -. Inoltre non sono stato disturbato dal jet lag e dal caldo. Ora devo mantenere la concentrazione e riprovare nella crono. So che sentirò per qualche ora lo sforzo della corsa in linea, sono arrivato davvero vuoto. Ora ho tre giorni di riposo e spe­ro di avere di nuovo le stesse gam­be mercoledì».
Nella gara contro il tempo però le cose non sono andate come aveva immaginato. Il recupero non è stato sufficiente e la stanchezza in gara si è fatta sentire tutta. La vittoria è andata allo sloveno Primoz Roglic, che di Wout è compagno di squadra alla Jumbo Visma, mentre l’argento è stato conquistato dall’olandese Tom Dumoulin, anche lui suo compagno nel team olandese. Van Aert è partito poco prima di Filippo Ganna, si è dovuto accontentare di un sesto posto, ma senza rammarico.
«Avevo sperato di più, ma presto ho capito che non ero abbastanza forte per raggiungere il podio. È andato bene il primo giro, ma sentivo che non potevo mantenere quella mia velocità così alta nel secondo. Non avevo la for­za per combattere. Primoz è andato davvero forte, io nella parte in falso piano sono rimasto praticamente fer­mo e nella parte ripida sono quasi caduto per un crampo. Non ho avuto bisogno di tanto tempo per capire che questa volta non ci sarebbe stata una medaglia».
Naturalmente la delusione c’è ed è tanta, ma questa volta c’è la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile per raggiungere l’obiettivo. Van Aert però si guarda per un attimo indietro e vede tutto quello che ha fatto in questo an­no, dove i risultati sicuramente non sono mancati. È consapevole il belga delle proprie capacità e nel suo sacco ci sono risultati straordinari. Adesso per Van Aert è arrivato il momento di staccare la spina e di prendersi un periodo di vacanza. La stagione non è finita e a settembre c’è un appuntamento importante per lui, perché sarà il suo Belgio ad ospitare i prossimi Mon­diali. Si correrà a Leuven nel cuore delle Fiandre, su strade che Van Aert conosce benissimo: Wout vuole finire il 2021 con l’oro Mondiale e ci proverà nuovamente, sia nella pro­va in linea che nella gara a cronometro.
«È arrivato il momento di dedicarmi alla mia la famiglia. È qualcosa che desideravo davvero, perché il Tour e le Olimpiadi mi hanno tenuto molto tem­po lontano da loro. Nella seconda par­te di agosto andrò a fare un ritiro, e porterò con me Sarah e Georges, prima di riprendere con il Tour of Britain (5-12 settembre) in preparazione dei Mondiali. Se ripenso alla mia estate, sono orgoglioso di ciò che ho ottenuto. Ho fatto un Tour fantastico e ho conquistato una medaglia olimpica, non cambierei questi risultati con nulla. Sarebbe piuttosto stupido non essere felice di ciò che ho fatto».

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