di Francesca Monzone
Al Tour de France quest’anno gli italiani sono stati soltanto nove e tra questi Mattia Cattaneo è stato il migliore. Il corridore della Deceuninck Quick Step era partito da gregario, lo abbiamo visto al servizio di Julian Alaphilippe e Mark Cavendish, ma anche davanti per cercare una vittoria di tappa e realizzare così quel sogno che aveva fin da bambino. Mattia purtroppo non è riuscito a tagliare il traguardo per primo, ma tutti ricordano ancora quel suo secondo posto, conquistato sulle Alpi a Tignes, quando con la pioggia e il freddo, è riuscito a lasciarsi alle spalle tutti gli uomini di classifica. Quel 4 luglio chiuse la gara alle spalle di O’Connor e per lui arrivò la consapevolezza che avrebbe potuto fare qualcosa di importante.
«Al Tour sono venuto per aiutare la squadra, in particolare Alaphilippe sulle salite e Cavendish per le volate. Poi c’è stato il colpo di fortuna dopo il primo giorno di riposo. Avevo ottenuto un secondo posto e partivo per la seconda settimana di corsa ben posizionato nella classifica generale e questo senza dubbio è stato un vantaggio e la squadra mi ha sostenuto, rispettando però l’impegno iniziale».
Mattia nelle tappe successive ha cercato di difendere la sua posizione e di aumentare il vantaggio e così, alla vigilia della terza settimana, era nella top ten anche se il suo obiettivo rimaneva sempre la vittoria in una tappa, perché imporsi in una corsa come il Tour de France, oltre ad essere un grande risultato personale, è qualcosa che può cambiarti la carriera. Il lombardo ha continuato la sua corsa cercando di entrare in ogni fuga di giornata per arrivare al successo. Purtroppo dopo quel secondo posto, dovrà accontentarsi della quarta piazza a Quillan nella quattordicesima frazione e poi di un sesto posto nella cronometro a Saint-Emilion. Quel penultimo giorno di corsa Cattaneo è andato forte, perché davanti a lui c’erano tutti gli specialisti più forti al mondo delle prove contro il tempo.
«Non ho vinto una tappa, ma posso dire di aver centrato tutti gli obiettivi che mi ero prefissato con la squadra, ovvero aiutare Mark e Julian e fare bene a cronometro, poi sono arrivati anche i piazzamenti e un dodicesimo posto nella classifica generale. Quindi posso dire che questo mio primo Tour è stato senza ombra di dubbio straordinario».
Il trentenne della Deceuninck.Quick Step a fine Tour era soddisfatto e felice, non solo per i suoi risultati, ma per l’esperienza vissuta con la squadra e le vittorie conquistate con Alaphilippe e Cavendish, che senza dubbio sono per lui i ricordi più belli della corsa.
«La giornata più bella per me è senza dubbio la prima vittoria di Mark. Penso che quello resterà per me uno dei momenti più belli ed emozionanti della mia carriera. Mark è un corridore straordinario che ha attraversato dei momenti difficili e quando è arrivata quella vittoria l’ha veramente condivisa con tutti quanti noi, considerandola una vittoria ottenuta grazie al lavoro di squadra».
Mark Cavendish non vinceva da molto tempo e in questo Tour, oltre ai successi di tappa, per lui è arrivata la conquista della maglia verde della classifica a punti. Il corridore dell’Isola di Man alla corsa gialla ha diviso la stanza proprio con Cattaneo al quale ha lasciato regalato importanti consigli.
«Mark mi ha insegnato tante cose. Visto da fuori la gente magari non riesce a vedere il suo spessore, ma posso garantire che Mark non è solo un grande corridore, ma anche un uomo straordinario. Mi ha insegnato a cogliere il momento che si sta vivendo e questo me l’ha fatto capire attraverso le sue vittorie, la gioia che ha provato e che è riuscito a trasmettere a tutti quanti noi».
Certamente un altro momento indimenticabile per Mattia è stata la prima giornata di corsa, quando la sua squadra ha conquistato la tappa e la maglia gialla a Landerneau con Alaphilippe.
«Per me questo è stato il primo Tour de France della carriera e immaginate quanta emozione ho provato quando nella prima tappa abbiamo preso la vittoria e la maglia gialla. Anche questo sarà uno dei ricordi più belli della corsa per me e ancora una volta ho capito l’importanza di appartenere ad una squadra che considera ogni suo corridore come membro di un branco ed è per questo che noi ci chiamiamo il Wolfpack, ovvero il branco di lupi. Siamo un gruppo unico e anche a Parigi il nostro è stato l’ultimo pullman ad andare via, perché abbiamo festeggiato tanto. Abbiamo avuto la maglia gialla e portato a casa quella verde e poi come squadra abbiamo finito la corsa con tutti i corridori, non è certo una cosa che capita tutti i giorni».
Mattia viene da una famiglia dove tutti amano il ciclismo e fin da piccolo veniva portato alle corse. Tra le tante corse che vedeva da bambino c’era il Tour de France e Miguel Indurain era il suo idolo. In quegli anni tra l’infanzia e l’adolescenza, il lombardo sognava di correre e tra le varie gare in cui si vedeva protagonista c’era proprio la Grande Boucle.
«Fin da piccolo ho sempre sognato di poter correre in una grande corsa a tappe e oltre al Giro d’Italia, la nostra corsa, c’era il Tour de France e adesso ho realizzato uno di quei sogni del Mattia bambino: poter essere tra i protagonisti della corsa più importante del mondo. Indurain era il mio idolo, mi piaceva perché era un corridore completo e da grande sognavo di essere come lui».
Il ciclismo è una passione di famiglia e Mattia ha imparato presto l’amore per questo sport, grazie al papà, al nonno e agli zii che lo hanno aiutato a crescere e poi accompagnato fino al momento in cui è diventato un corridore professionista.
Il lombardo ricorda ancora la sua prima bici, quella di quando correva da ragazzino e imparava a gareggiare, era una Bianchi che poi venne venduta, ma Mattia ha voluto cercarla e tra negozi e inserzioni di privati è riuscito a trovare una uguale a quella che lo aveva accompagnato nelle sue prime gare.
«La mia prima bici era una Bianchi che aveva ancora i cambi sul telaio. L’ho cercata per tanti anni tra negozi e mercati specializzati e tre mesi fa sono riuscito a trovarne una identica, sia come modello che come misura e l’ho comprata immediatamente. Per un ciclista la prima bici è quell’amore che non si dimentica mai».
Cattaneo è arrivato nel 2020 alla Deceuninck-Quick Step e anche questo è stato un momento importante della sua carriera, perché nei primi anni da professionista, non è stato fortunato e i problemi non sono mancati.
«I primi quattro anni da professionista non sono stati assolutamente facili per me, poi c’è stato l’approdo alla Androni Sidermec, mi sono rimesso in gioco e sono tornato ad alti livelli. Infine c’è stato il passaggio alla Deceuninck Quick Step, uno dei team più forti al mondo, nel quale ogni corridore vorrebbe approdare. Adesso sono qui e un anno fa non avrei mai pensato di poter fare tutto quello che ho fatto e ci sono dei momenti in cui fatico anche a cederci».
Per Mattia il ciclismo non è sempre stato un luogo felice e solo adesso, come corridore, ha raggiunto la maturità e la serenità che aiutano a superare i momenti negativi.
«Non è stato facile per me e ricordo i momenti di grande difficoltà e oggi posso anche dire che ci sono stati attimi in cui ho pensato di smettere con il ciclismo e ritirarmi dalle corse. Se non mi sono arreso è perché ho avuto vicino a me una famiglia solida e delle persone che mi hanno sempre spinto a non arrendermi, a non mollare e andare avanti e oggi devo ringraziare tutti quelli che hanno voluto credere in me e adesso sono qui anche per loro e correre bene è il modo migliore per ringraziarli».
Mattia ha vestito la maglia azzurra in passato, ma non è stato tra i convocati alle Olimpiadi di Tokyo. In questi giorni tra le critiche che non mancano mai, è stato fatto anche il suo nome, ma il lombardo non si è mai sentito un corridore che poteva affrontare queste Olimpiadi.
«Ho seguito le Olimpiadi perché sono sempre un grandissimo evento sportivo che arriva solo ogni 4 anni. Ovviamente mi sarebbe piaciuto essere tra i convocati, ma sono convinto che questo evento sia concordato con i corridori molto tempo prima e non negli ultimi mesi. Penso che Cassani abbia iniziato a guardare i ragazzi già molti mesi fa o forse già dallo scorso anno, quando io e tanti altri corridori non eravamo brillanti e poi con le regole del Covid non puoi cambiare gli atleti all’ultimo. Capisco perfettamente le scelte fatte dal nostro commissario tecnico e per quel che mi rigurda penso che abbia scelto bene».
Per Mattia esiste la regola che le scelte sono del commissario tecnico e che scegliere non è mai facile ed è inutile fare critiche dopo il risultato della gara.
Per Mattia la stagione non è ancora finita e guarda già al futuro, dove gli piacerebbe poter essere l’uomo di classifica per le corse a tappe di una settimana.
«Come corridore dopo questo Tour non sono cambiato e anche il mio ruolo in squadra è rimasto lo stesso. Dopo la Grande Boucle ho ripreso a San Sebastian, seguiranno quindi altre corse di un giorno, il Giro del Lussemburgo e quindi le ultime corse in Italia con il Lombardia. Il prossimo anno mi piacerebbe provare a vincere qualche corsa a tappe di una settimana, o quanto meno provare ad entrare nella classifica generale. Voglio migliorare ancora, in particolare nelle cronometro, e provare a fare classifica».
Tra le corse del cuore Mattia ha il Giro di Lombardia, la Classica Monumento che ha visto fin da bambino perché passa sulle strade di casa sua. Per il ragazzo di Alzano Lombardo questa classica ha un significato speciale e un giorno gli piacerebbe vincerla.
«Tra i sogni da bambino c’è il Lombardia, una corsa alla quale tengo tantissimo. È la corsa che passa sulle strade di casa mia e ogni anno aspettavo sempre questa gara così speciale per me e sarebbe la realizzazione un sogno poterla vincere. È una corsa non facile e solo i corridori più bravi riescono a conquistarla: non so se un giorno potrò vincerla, sarà difficile, ma nella vita ho imparato che non bisogna mai arrendersi».