di Giulia De Maio
Una settimana prima di laurearsi campione d'Italia aveva persino pensato di smettere. Dopo il Giro d'Italia Under 23 per cui aveva lavorato tanto senza riuscire a raccogliere nulla, Gabriele Benedetti aveva la testa piena di dubbi. Sono all'altezza? Ne vale davvero la pena? Tutti i sacrifici che ho sopportato non sono serviti a niente? Realizzerò mai il mio sogno di passare professionista? La risposta alle sue domande è arrivata forte e chiara sette giorni esatti dopo la fine della corsa rosa, quando ha vestito la maglia tricolore. Il 21enne toscano è riuscito a fare un “numero” nel 65° Giro del Montalbano, disputato tra Seano e Carmignano, nel Pratese, sotto gli occhi dell’iridato Under 23 di Zolder 2002 Francesco Chicchi e di Mark Cavendish, arrivato in Vespa, che ha preparato in Toscana il Tour de France.
Il portacolori della Zalf Euromobil Désirée Fior, in fuga fin dai primi chilometri, ha piazzato l’affondo decisivo a una quindicina di chilometri dal traguardo, regalando il titolo numero 30 tra i dilettanti alla storica società trevigiana e ritrovando la sicurezza in sé stesso, qualità indispensabile per chi vuole fare del ciclismo una professione. Per la cronaca, è la prima volta da quando è stato istituito il tricolore Under 23 nel 1996 che un toscano verace indossa la maglia di campione italiano. Scalatore di razza, già campione toscano Under 23, Benedetti è di Montemarciano, antico borgo del Valdarno Superiore, che ha dato i natali ad altri campioni di ciclismo come Nocentini e Failli, e che ha anche un museo dedicato al ciclismo locale. La bicicletta e il numero 1 erano nel suo destino, fin dalla prima linea di partenza.
Ti aspettavi questo successo?
«No. Dopo il Giro ero deluso, demotivato, addirittura avevo pensato di appendere la bici al chiodo. Mi aspettavo grandi cose, invece non sono riuscito a dimostrare nulla. Ho pagato la tanta pressione: curavo la classifica, ma sono saltato. Quindi ho puntato alle tappe andando in fuga ma sono rimasto sempre nella mischia. Dieci giorni ad alti ritmi però mi sono serviti: al via della sfida tricolore mi sono presentato senza troppe aspettative ma, evidentemente, con buone gambe: “quello che viene, viene” mi ero detto. È arrivata la vittoria, che quando è inaspettata è ancora più bella. Per il futuro, tra corse in linea e a tappe mi immagino più atleta da gara singola».
Che emozione hai provato a vestire la maglia tricolore?
«Incredulità. È assurdo, ancora ora non me ne capacito. L’ho messa accanto al letto così prima di dormire la guardo e alla mattina è la prima cosa che vedo quando apro gli occhi e mi chiedo se ho sognato o se è tutto vero. Questo risultato mi dà più fiducia, mi fa credere maggiormente nelle mie possibilità, mi dà quella marcia in più di cui avevo bisogno. Prima del Giro d’Italia avevo trascorso un sacco di tempo in montagna e sopportato tante rinunce. Il mio impegno non è stato ripagato e mi sono buttato giù, ma pochi giorni più tardi gli sforzi sono stati ricompensati e tutto ha preso un’altra prospettiva».
Grazie a chi hai scoperto il ciclismo?
«Babbo Alessio ha corso in bici, fino all’ultimo anno da Under 23 e ha trasmesso la sua passione a me e a Lorenzo, mio fratello che corre tra gli junior alla Valdarno. All’inizio non volevo andare in bici, mi piaceva il basket, ma a 6 anni da G1 disputai la mia prima gara ad Empoli. Ricordo che il primo numerino che pescai, per stabilire in che griglia sarei partito, era l’1. Partii primo e arrivai primo, mi sembrò un segno del destino. Babbo, che lavora per un’azienda di trattori e li trasporta in tutta Italia, ovviamente fu felicissimo. Tra le mie prime tifose ci sono ovviamente mamma Debora, che lavora per Valentino nel reparto modelleria delle scarpe, e Sara che ho conosciuto alle corse. Studia Infermieristica, ma ha gareggiato anche lei fino alla categoria junior, quindi capisce la “vita d’atleta”».
Tu con gli studi come te la cavavi?
«Mi sono diplomato al Liceo Scientifico a Montevarchi (Arezzo), poi mi sono dedicato al ciclismo. Sono stato tentato di iscrivermi a Scienze Motorie, ma sinceramente “da grande” mi sono sempre e solo immaginato corridore. La mia unica altra grande passione oltre alla bici è rappresentata dal tennis, quando ho del tempo libero gioco una partita con gli amici e, quando devo riposare, mi godo un match di Novak Djokovic alla tv. Per me è il migliore. Idoli nel mondo del ciclismo non ne ho, ma mi ispiro a Pogacar. A Tadej sembra venga tutto facile, mi piacerebbe essere come lui. Anche se ci divide solo un anno, non mi è ancora mai capitato di correrci insieme».
Chi devi ringraziare per dove sei arrivato?
«Oltre alla mia famiglia, la prima persona a cui sono riconoscente è Francesco Zarri, che è stato mio direttore sportivo alla Olimpia Valdarnese e alla Work Service. Mi ha seguito da allievo fino ad under 23, mi ha insegnato come gestirmi. Mi ha cresciuto facendomi apprezzare questo sport, che mi auguro diventi presto il mio lavoro a tutti gli effetti. Quando arrivi al successo dopo tanto impegno è una emozione impagabile. Spero sempre che arrivi questa sensazione e che duri il più possibile, in realtà dura pochissimo. La vittoria è tanto veloce, quanto i sacrifici per raggiungerla sono lunghi».
Qual è quello che pesa di più a un ragazzo di 21 anni?
«Il non potere essere spensierato e anche un po’ superficiale come un coetaneo che il sabato sera può uscire a far festa con gli amici. Stare attento a tutto, stare a lungo lontano da casa e soprattutto rispettare la dieta a volte risulta pesante. Io sono una buona forchetta, amo mangiare di tutto, di pizza e gelato ne mangerei a volontà, ma per essere performante in salita bisogna curare il peso. Uno sgarro o due dopo l’Italiano però me li sono meritati, eccome».
Quali obiettivi ti sei posto per il prosieguo della stagione?
«Voglio ottenere la convocazione da parte della Nazionale per il Campionato del mondo di Lovanio, nelle Fiandre. Il percorso sarà da classiche, sulla carta non è disegnato per uno scalatore come me, ma non si sa mai. Tutto può succedere in una gara di un giorno. Lo ha dimostrato il Campionato Italiano, che ho dedicato alla squadra che ha creduto in me e mi ha supportato al meglio. Colgo l’occasione per ringraziare nuovamente i miei compagni di squadra, i tecnici e i patron Gaspare Lucchetta ed Egidio Fior che mi sono sempre stati vicini anche quando le cose non giravano come avremmo voluto».
La maglia azzurra l’hai già indossata, anche di recente, nella massima categoria.
«Ho avuto questo privilegio al Giro di Toscana 2019 e al GP Larciano 2021. Rappresentare la propria Nazione è sempre un orgoglio, correre tra i grandi una bella “botta”. Spero, a un certo punto, di riuscire ad abituarmi al loro ritmo. Quando arriva il momento clou della corsa, quando la gara si accende, il gruppo si divide nettamente tra i più forti e gli altri. Io finora sono rimasto sempre dietro ma lavoro a testa bassa per un giorno essere tra i primi».
Con la maglia tricolore non sarai inosservato. Hai avuto contatti per passare?
«Sì, già l’anno scorso, però ho voluto trascorrere un altro anno tra gli under perché sentivo il bisogno di ottenere risultati in questa categoria e crescere ancora un po’. Il mio procuratore Massimiliano Mori è all’opera, spero di passare nel 2022 visto che le vittorie che avevo in mente sono arrivate (a inizio stagione si è imposto nel Gran Premio La Torre di Fucecchio, sua prima gara dell’anno e prima in maglia Zalf Euromobil Désirée Fior, ndr) ma ad oggi non c’è nulla di definitivo e sicuro. Il mio sogno è di fare il grande salto in un team World Tour con il quale poter iniziare una lunga e felice carriera».