Amadori: «È un'Italia che sta crescendo»

di Carlo Malvestio

Per vedere un italiano vincere il Giro d’Italia U23 dovremo aspettare ancora un po’. Da quando la prestigiosa corsa a tappe è stata riesumata da Marco Selleri e Marco Pavarini nel 2017, nessun azzurro è ancora riuscito ad iscrivere il suo nome sull’albo d’oro dei vincitori. Addirittura, in cinque edizioni gli italiani contano un solo podio, il terzo posto di Kevin Colleoni dell’anno scorso alle spalle di Tom Pidcock e Henri Vandenabeele. Mai come quest’anno, però, i ragazzi di casa nostra hanno vinto così tante tappe, ben 4 su 10, visto che finora si erano fermati al massimo a tre. Di questi successi, tre sono arrivati con attacchi da lontano, andando a premiare la verve offensiva delle formazioni italiane: Andrea Cantoni del team #inEmiliaRomagna è arrivato in solitaria a Riccione, indossando per un giorno anche la prima maglia rosa, Alessio Bonelli della Biesse Arvedi ha regolato in una volata ristretta un gruppetto di fuggitivi a Cesenatico, e Ric­cardo Ciuc­carelli, sempre della Biesse Arvedi, che si è imposto con autorità nell’arrivo in quota ad Andalo. Nel mezzo la performance monstre di Fi­lippo Baroncini della Colpack Ballan nella divertente cronometro di Gua­stal­la, che ha battuto per meno di un se­con­do l’irlandese Ben Healy dopo una rimonta incredibile nella seconda parte di gara e i tanti piazzamenti - alcuni mal digeriti - nei primi giorni di corsa.
In classifica generale, invece, era lecito aspettarsi qualcosa di più: il bravissimo Alessandro Verre (Colpack Ballan) ha chiuso sesto nonostante non fosse lui il capitano, Omar El Gouzi (Iseo Rime Carnovali) ha chiuso nono con prestazioni convincenti nell’ultimo trittico di tappe in montagna, e il primo anno Da­vi­de Piganzoli (Eolo Kometa) ha subito fatto vedere di che pasta è fatto piazzandosi decimo.
A prendere appunti a bordo strada c’era il CT della Nazionale Italiana U23 Marino Amadori, che ha seguito tutta la seconda metà di Giro, visto che nella prima era impegnato in Repub­bli­ca Ceca nel guidare Filippo Zana e compagni alla conquista della Corsa della Pace.
Marino, quattro vittorie di tappa ma niente Top 5 in classifica generale. Qual è il bilancio per i colori azzurri?
«La cosa che mi è piaciuta di più è la mentalità delle nostre squadre, sempre all’attacco, cosa che fino a un paio di anni fa non si vedeva. Questo ci ha permesso di portare a casa qualche bella vittoria di tappa, anche se il rovescio della medaglia è che non siamo riusciti a lottare per il podio finale. C’è da dire che qualcuno ha corso al di sotto delle aspettative».
Chi in particolare?
«Prima del via da Cesenatico si facevano i nomi di Andrea Pietrobon, Edoar­do Zambanini e Marco Frigo per la classifica generale, che invece non sono riusciti ad essere protagonisti. Di­rei che era lecito attendersi qualcosina in più da loro, che saranno senz’altro i primi ad essere delusi».
Alessandro Verre ha tenuto alto l’onore italiano col suo sesto posto.
«Ha fatto davvero un bel Giro; considerando che in Colpack Ballan il capitano era Ayuso e ha dovuto mettersi a disposizione direi che i segnali sono stati più che incoraggianti».
Qualche bella notizia è però arrivata dai primi anni, i classe 2002.
«Esatto, Davide Piganzoli ha chiuso in Top 10, Gianmarco Garofoli si è speso tanto in appoggio a Vandenabeele e Lorenzo Milesi è apparso pimpante nel­le ultime giornate. La cosa che mi lascia ben sperare è che tutti questi corridori hanno chiuso in crescendo e non è un fattore banale visto che era per quasi tutti la prima esperienza in una gara a tappe così lunga».
Riccardo Ciuccarelli è l’unico italiano ad aver vinto in salita. Se lo aspettava?
«È un ottimo scalatore, che ha vinto una tappa in salita di forza staccando corridori molto quotati. Anche lui avrebbe dovuto curare la classifica ge­nerale, ma una brutta caduta nella pri­ma tappa lo ha quasi costretto al ritiro. Ha avuto una grande reazione, prima chiudendo in Top 10 la tappa regina e poi vincendo ad Andalo».
Ci manca sempre il grande scalatore…
«Sì, ci manca il fenomeno in grado di dominare, tipo Ayuso. L’anno scorso Pidcock e quest’anno lo spagnolo han­no monopolizzato la gara. Ma nel complesso credo che il nostro movimento stia bene, ci sono tantissimi corridori validi e bisogna continuare a lavorare come stiamo facendo. Un passo alla volta e credo che le soddisfazioni arriveranno».
La categoria U23 ha ormai poche differenze rispetto a quella professionistica.
«Sì, ormai le corse U23 sono molto si­mi­li a quelle dei grandi. D’altronde le squadre sono quasi tutte Continental oppure vivai di team WorldTour. C’è più controllo in corsa, anche se in questo Giro con soli cinque effettivi per squadra non è stato così facile tenere la gara chiusa. Poi si può sicuramente di­scutere sulle tattiche, alcune formazioni sembrano ancora acerbe da questo punto di vista...».
Consiglia sempre ai corridori di fare esperienze all’estero?
«Assolutamente sì. Abbiamo visto co­me sono venuti su bene corridori co­me Dainese, Affini oppure Batti­stel­la e Sobrero, anche se la Qhubeka ha li­cenza italiana. Quindi se hanno la possibilità di andarci, come hanno fat­to Frigo o Garofoli, è giusto che colgano l’occasione. L’attività internazionale è fondamentale, ormai lo diciamo da anni, e sono contento che anche tante squadre italiane si stiano adoperando per farla. La licenza Continental è senz’altro un plus importante e a ciò si unisce l’attività che facciamo noi come Nazionale, portando i giovani corridori a confrontarsi coi professionisti oppure nei più prestigiosi appuntamenti internazionali a livello U23».
Si è già fatto un’idea sulla squadra da portare al Tour de l’Avenir?
«Ci sarà tempo per pensarci, intanto abbiamo scoperto che ci sarà anche Ayuso con la Nazionale spagnola... Vediamo di allestire una bella squadra per provare a mettergli il bastone tra le ruote».

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