Valverde: «Smetto, ma prima...»

di Francesca Monzone

Ha vinto tanto ed è uno dei simboli di quel ciclismo che appassiona sempre la gente. Ma a fine stagione Alejandro Val­ver­de po­trebbe dire basta e chiudere la carriera. A quasi 41 anni (li compirà il 25 aprile) il murciano, in occasione presentazione della sua Movistar, ha detto chiaramente: «Mi fermo e la Vuelta España potrebbe essere la mia ultima corsa».
È difficile immaginare il ciclismo senza un campione come lui, che ha saputo do­minare le Classiche e lottare nei gran­di giri. Tanti successi fino ad arrivare a quel titolo Mondiale tanto atteso conquistato a Innsbruck nel 2018 dopo due medaglie d’argento e quattro di bronzo.
Valverde parla di ritiro, vuole godersi la famiglia, ma non vuole finire la sua carriera senza vincere ancora. No­no­stante il Covid-19, nel 2020 ancora una volta ha dimostrato di essere uno dei corridori più forti: sempre in testa al gruppo a dire la sua e ad inseguire quella vittoria che purtroppo non è ar­ri­vata. Molti lo considerano il mi­glior corridore dell’ultimo ventennio, capace di cadere, rialzarsi e stupire.
«Il 2020 stato un anno complicato per tutti, non solo per chi fa ciclismo - spiega Valverde - e anche questo nuovo anno sembra essere iniziato allo stesso modo. È difficile tenere la testa sempre concentrata per correre, ma dobbiamo sforzarci di farlo».
Valverde pensa al ritiro, parla senza tristezza, ma forse quelle parole lasciano una porta ancora aperta, la convinzione non dà l’impressione di essere totale mentre lo ascolti: Alejandro vuol capire quel che potrà ancora dare al ciclismo.
«Devo correre con questa idea, pensando che questo sarà il mio ultimo anno. Poi, se dovesse arrivare una vittoria si­curamente il mio cuore si riempirebbe di gioia, ma il pensiero che mi accompagna è questo».
Il ciclismo è la vita di Valverde che, nonostante un anno devastato dal Co­vid-19, ha fatto segnare un record di presenze in corsa: sono stati 65 i suoi giorni di gare, non pochi se si considera il lockdown e tutto quello che ne è scaturito.
Ma mancherà il ciclismo a Valverde?
«Per ora no, ma è vero che col passare del tempo mi sentirò un po’ strano. Sto vivendo un anno diverso dal solito e questo si sente in molteplici aspetti».
Il murciano è stato uomo da grandi giri, ma è nelle classiche che ha dimostrato una potenza straordinaria. Alla Liegi-Bastogne-Liegi ha ottenuto quattro vittorie, mentre nella Freccia Val­lone i successi sono cinque, come mai nessun altro ha fatto nella storia.
I primi obiettivi della sua stagione saranno anche quest’anno le Classiche?
«Freccia e Liegi su tutte, come sempre. Questo è il piano iniziale, anche se poi tutto potrebbe cambiare, non lo sappiamo. Con la testa sarà difficile essere sempre concentrati per affrontare tutti gli obiettivi, ma ci proverò».
Un anno senza vittorie, ma le motivazioni non sono cambiate e la sua voglia di vincere non è mai diminuita. Di anni ne sono passati da quel 2002 in cui è approdato al professionismo con la Kelme, ma l’entusiasmo è quello di sempre.
«Non sono preoccupato per la mancanza di vittorie nella scorsa stagione. È stato un anno molto strano per me e per tutti. In più, è normale che per me sia sempre più difficile vincere perché c’è l’età che avanza. Non mi do più scadenze, non ho paura e neanche incertezze per quelli che sa­ranno i prossimi risultati. Quello che deve venire verrà: al momento penso a divertirmi. Mi sto davvero godendo la squadra nel ritiro di Almería, i miei compagni e il bel tempo. Natu­ral­mente spero che il lavoro fatto in que­sti giorni dia i suoi risultati».
Valverde vuole guardare lontano perché sa che questo 2021 sarà speciale. Il Mondiale di Leuven non sarà adatto a lui ma nella sua carriera manca la medaglia olimpica, che potrebbe essere il coronamento di una carriera.
«Vincere un Mondiale è difficile e ripetersi lo è molto di più, poi in Bel­gio il percorso non è proprio adatto a me, mentre ho più possibilità per i Gio­chi. Penso che una medaglia olimpica sia anche meglio della vittoria ad un Mondiale, è qualcosa che capita ogni quattro anni. Abbiamo già iniziato a studiare il percorso, so che è adatto a me. Certo, sarebbe stato meglio disputare le Olimpiadi lo scorso anno, avevo un anno di me­no, ma Tokyo rimane comunque il mio obiettivo. Sarebbe interessante poter vedere il percorso prima della gara, ma è troppo difficile viaggiare. Comunque, dopo le classiche, i Gio­chi e la Vuelta saranno gli obiettivi della mia stagione».
Tante sono le certezze dello spagnolo e tra queste c’è la decisione di non disputare il Tour de France, che in carriera ha affrontato tredici volte: in sette occasioni è arrivato nei primi dieci e nel 2015 è salito sul terzo gradino del podio.
«Non farò il Tour quest’anno, è un capitolo della mia vita ormai chiuso. La vita è fatta di cicli e questo per me si è concluso. La Grande Bou­cle è una corsa che mi è piaciuta mol­to, ma mi concentrerò sulla Vuelta, un’altra corsa nella quale mi so­no sempre divertito».
In realtà Valverde ha un contratto aperto con la Movistar e, se la stagione non an­dasse come lui la immagina, potrebbe de­cidere di correre ancora. Sarà il Co­vid-19, in qualche modo a decidere tutto.
«Se la stagione dovesse essere come quella passata, allora sarebbe in qualche modo noiosa. Se saltassero tante gare, ovviamente sarebbe difficile vincere e mi dispiacerebbe finire la mia carriera in questo modo. Non so se e quando saremo vaccinati, esistono dei protocolli e non siamo noi a decidere. Correremo nuovamente con restrizioni e non possiamo abbassare la guardia».
Alejandro è consapevole del cambiamento generazionale, sa che il ciclismo è diverso rispetto a quando ha cominciato e che i giovani stanno conquistando spazi sempre più importanti. Per lui tutto questo rientra nei cicli della vita, ma sa che può es­serci ancora spazio per i corridori di esperienza come lui.
«Noi abbiamo Lopez che potrà fare tan­to. Ci sono poi i giovani come Ber­nal, Pocagar ed Evenepoel, che difficilmente lasceranno qualcosa agli altri. Ma non bisogna dimenticare il valore dei corridori di esperienza, mi viene in mente Froome, che sta lottando per tornare ad essere competitivo. Sulla strada possono succedere veramente tante cose».
Lei ha già compiuto 40 anni, ma rimane uno dei migliori corridori del momento: qual è il segreto della sua forza?
«Non direi che ci siano altri segreti ol­tre a quello di amare questo sport. Non ho mai visto il ciclismo come un do­lore o qualcosa che si avvicina al lavoro, piuttosto come uno dei piaceri più forti, senza dubbio è una delle cose che mi piace di più al mondo. Il fatto che io prenda la vita nello stesso modo in cui prendo la mia bici, come fonte di divertimento, potrebbe essere la ragione per cui sono ancora in giro. In real­tà, adoro correre e gareggiare con la bicicletta. Ho sempre lavorato duramente come gli altri, ma è sempre stato relativamente facile per me raggiungere una condizione buona e mantenerla per lunghi periodi di tempo. In più, forse sono nato con un po’ di talento naturale: tutti possono migliorare, puoi lavorarci sopra, ma hai bi­sogno di quel qualcosa in più che solo la natura ti dà».
Nella sua carriera ha avu­to anche momenti difficili: qual è stato uno di questi momenti e cosa le ha permesso di superarlo?
«Non posso negare che l’infortunio alla gamba nel 2017 sia stato sicuramente uno dei momenti più difficili. Al­meno i primi giorni, fino a quando non sono stato rassicurato di poter intraprendere un percorso verso un pieno recupero. È stato difficile tornare dove ero, ma avere quel riferimento, sapere che avrei potuto ri­prendermi, mi ha davvero dato speranza e probabilmente mi ha portato a raggiungere il titolo mondiale».
Ci parli invece dei momenti più belli della sua vita di corridore...
«Ovviamente, il mio momento più im­portante come corridore è stato il Cam­pionato del Mondo nel 2018. Avevo inseguito quel titolo per tantissimi anni, avevo sei medaglie in bacheca ma nessun oro, quel giorno a Inn­sbruck ho davvero provato una sensazione speciale che non dimenticherò mai per il resto della mia vita».
Il 2020 è stato un anno difficile per il Covid: ha mai pensato di ritirarsi dalle corse, in quel periodo?
«In realtà non ho mai pensato di ritirarmi a causa della pandemia, anzi è il contrario. Il 2020 è stato un anno in cui abbiamo corso poco, un periodo nel quale le nostre gambe non hanno sofferto così tanto. Quindi dobbiamo correre adesso».
Oggi ci sono corridori che a 21 anni vincono i grandi giri: pensa che avranno mo­tivazione per correre fino a 40 anni come è successo a lei?
«Chissà! Anche io ho fatto il mio de­butto giovanissimo ma non ho ottenuto grandi risultati per due o tre anni. Finché saranno in grado di continuare a godersi il loro lavoro, è sicuramente possibile, io stesso sono qui da due decenni, quindi mi auguro che continuino ad avere stimoli per molti an­ni».
Lei ha cinque figli: cosa ha detto loro del suo lavoro? Come condivide il mondo del ci­clismo con i suoi figli?
«Fortunatamente, la maggior parte dei miei cinque figli - Alessandra, la mia quinta figlia, è nata solo pochi mesi fa - mi hanno visto pedalare e hanno potuto godersi dei bei momenti con me, quindi penso che siano abbastanza consapevoli di quello che è il mondo che li ha circondati. Ad alcuni di loro piace lo sport, ma non tanto quanto a me piace il ciclismo. Loro sono più appassionati di calcio, ad esempio Pa­blo, il mio terzo figlio, ha ottenuto dei buoni risultati negli ultimi anni con le squadre giovanili del Real Murcia, la nostra squadra di casa. Si sono divertiti nel mondo del ciclismo, ma io non voglio costringerli a restarci».
Prima di essere padre è stato un figlio:  qual è stato l’insegnamento più importante che hai ricevuto da suo padre?
«I miei genitori mi hanno sempre insegnato a lavorare sodo, perché le nostre sono origini umili, non eravamo ricchi né poveri, solo umili. Mio padre Juan era un camionista, io adoravo il suo la­voro e mi piaceva andare con lui. Ades­so però mi piacciono di più le auto» confessa ridendo.
Lei è uno dei corridori più amati in Ita­lia, cosa rappresenta per lei il nostro Pae­se?
«Sono sempre stato innamorato dell’I­ta­lia, della gente e delle tradizioni e questo vale anche per la mia famiglia. Come posso dimostrarlo? Beh, la più piccola di casa si chiama Alessandra, all’italiana. Ogni volta che ho corso in Italia, mia moglie Natalia e i bambini hanno sempre cercato di raggiungermi alle gare, proprio perché questo è un Paese che a noi tutti piace molto. Ho trascorso momenti meravigliosi da voi, come quando ho vinto la Roma-Ma­xi­ma, l’ex Giro del Lazio, passando proprio accanto al Colosseo; quando ho disputato il Giro d’Italia, vincendo una tappa e salendo anche sul podio, quello è stato un altro momento importante della mia carriera, un ricordo che mi lega al vostro Paese. L’Italia è sicuramente un posto in cui mi piace stare: sia come turista, cosa che purtroppo non possiamo fare per ora, o come ciclista, è uno dei Paesi al quale sono più legato».
Lei ha detto di sentirsi un uomo fortunato, perché ha avuto tanto dal ciclismo...
«È così, lo ripeto. E sono pronto a ri­partire con lo stesso entusiasmo degli altri anni, sotto questo aspetto per me non è cambiato nulla. Voglio fare bene e contribuire il più possibile ai successi della squadra. E se le vittorie dovessero arrivare, beh, sarebbe molto meglio per me».

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