Le Sei Giorni finite di un febbraio triste
di Gian Paolo Porreca
Sarà chi sa, forse l’effetto della mascherina, ma camminiamo - e non solo metaforicamente - con gli occhi bassi, in questi giorni della merla 2021.
Sarà chi sa, ma nel rettangolo del ciclismo che verrà non riusciamo ad inforcare un pensiero. Sarà che per la prima volta in una vita a buona memoria non conosciamo ad esempio, a febbraio incipiente, ancora il percorso del Giro d’Italia.
Sarà che l’UAE Tour annunciato ci sembra più un orpello da sceicchi, sarà che non riusciamo a salutare la vittoria alla Comunitat Valenciana di Manzin, quel francese che si chiama di primo nome Lorrenzo, con una “r” curiosamente in più di un qualsiasi Lorenzo... Sarà innanzitutto che un profilo di futuro plausibile non lo intuiamo tanto nel ciclismo, quanto in verità in tutto quanto nel mondo ci gira intorno.
Ma nel nostro specifico, e mentre dall’altro lato siamo davvero lieti della conferma che il Mondiale di ciclocross ad Ostenda si sia svolto regolarmente, pur con le dovute precauzioni per la emergenza Covid 19, quello che ci ha davvero intimamente colpito in questo scavalco di anno, senza possibilità di terapia nota, è stata la cancellazione totale delle Sei Giorni. E del ciclismo al coperto.
Tutto ha un senso, e una speranza, se c’è una ipotesi di futuro, ma la rimozione delle Sei Giorni dalla storia e dalla fantasia, pensiamo a Gand, a Berlino, a Rotterdam, a Copenhagen, fra le ultime rimaste in calendario nel 2019/20, è qualcosa che ci ha nel profondo addolorato.
La stagione prossima sarà normale, si dice e si assicura, ci sarà nuovamente un luogo per gli sprint sulla pista al coperto, al chiuso mentre fuori piove, di Stroetinga e Llaneras, De Ketele e De Pauw, ma noi non siamo affatto sereni al riguardo.
Niente Sei Giorni, metafora di un ciclismo da night e da long drink, e belle dame e scrittori per male, parafrasi di una solitudine in coppia, anche se non in tandem, che speriamo non finisca abolita come è stato per il tandem...
Niente Sei Giorni, e ci sembra che parta così, il ciclismo 2021, a folle.
Niente Sei Giorni, e pare che si ammaini il ricordo di Van Steenbergen che correva stabile con Severyns, del sovrano Post, di Pjinen destinato ad un campione della strada da portare al successo, come Moser o come Saronni, di Terruzzi che faceva coppia con Arnold, e di Pfenninger, Fritz e non Louis, che non smarriva Renz, e di Bugdahl, se non di più recenti protagonisti, come Clark, De Wilde, Risi, Betschart...
Niente Sei Giorni, niente stazione di congedo per un campionissimo come Fausto Coppi, pensavamo, che a Buenos Aires faceva felici gli emigranti italiani, dividendosi gli applausi con Jorge Batiz.
Già, ci sarà regolarmente a marzo il Festival di Sanremo, mentre continua da totem indifferente alla sopravvivenza che ci accomuna il campionato di calcio. E crediamo che in fondo anche la Milano - Sanremo si disputerà, in un giorno o in un altro.
Ma francamente viviamo la scomparsa delle Sei Giorni come un presagio di amarezza speciale. Nei dissapori della giovinezza, nelle donne perdute o nella serate della città che ci respingeva, nella estraneità ai riti sociali con cui siamo diventati uomini, talora scrivevamo come immaginifico parallelo ciclistico che eravamo giusto “noi”, quelli fuori dal giro rutilante delle Sei Giorni.
E non avremmo mai pensato, in un tempo odioso come questo, che anche le beneamate Sei Giorni del romantico amore e del Pernod la notte sarebbero finite fuori dal giro. Chi sa, forse per farci ancora compagnia.