Nizzolo: «Tra le nuvole vedo Sanremo»

di Giulia De Maio

È così smemorato che da junior una volta è andato a una gara e solo prima del via si è ac­corto di essere senza bici. Ha la testa tra le nuvole e non lo nega, ma è proprio in quel cielo in cui spesso si perdono i suoi pensieri che nel 2021 vuole alzare le braccia più e più volte. Giacomo Niz­zolo con due maglie pesanti sulle spalle (la Qhubeka Assos sta perfezionando il look del suo capitano che ci tiene a valorizzare i titoli conquistati un anno fa a Cittadella e Plouay, ndr), pedala leg­gero verso una nuova stagione. Il trentaduenne brianzolo che in garage ha più moto che bici e vanta una passionaccia per i motori, vuole sfoggiare la maglia di campione d’Italia e d’Europa in tutte le corse più importanti del calendario. Promette di andare a tutto gas a cominciare dalla Mi­lano-Sanremo, che da ragazzino non si perdeva per nulla al mondo e tutt’oggi resta il sogno che lo spinge a svegliarsi al mattino. Nonostante il perenne mal di gambe.
Come sta andando la preparazione?
«Sono un po’ più indietro del previsto perché purtroppo a gennaio ho avuto un piccolo incidente in allenamento che mi ha costretto ai box due settimane. A causa di un salto di catena ho picchiato forte il ginocchio contro il ma­nubrio e si è infiammato. Stare fer­mo quindici giorni prima di partire in ritiro con la squadra non è stato l’ideale, sto facendo molta fatica per recuperare il tempo perso. In Spagna comunque con i miei compagni stiamo macinando chilometri e sfruttando questi giorni insieme per fare gruppo».
Il cuore del team è rimasto quello della NTT ma ci sono ben 17 volti nuovi tra i tuoi compagni.
«Sì, avendo numerosi nuovi innesti, sembra quasi di essere in una squadra inedita. L’atmosfera è quella di un nuo­vo inizio, ma allo stesso tempo io mi sento a casa perché il personale è quello di sempre, che mi fa sentire a mio agio, e avere un ruolo importante è quello che cercavo. Essere la punta del­la squadra mi stimola sia a portare a casa risultati di peso sia a dare qualche consiglio ai più giovani».
Essere il capitano del team ti dà più pressione o motivazione?
«Assolutamente la seconda. Io per andare forte ho bisogno di sentire la responsabilità sulle spalle, al contrario in passato ho subito le situazioni in cui ero deresponsabilizzato. Con la pressione addosso rendo di più, non mi ha mai fatto male, anzi ne ho bisogno e per questo l’ho sempre cercata lungo il mio percorso. Per me è un vero e proprio stimolo e sono convinto che, non essendo nato campione, la re­sponsabilità sia la chiave del successo che mi sto costruendo. Io non mi sen­to un fenomeno, non sono un fuoriclasse a cui viene tutto facile, so che devo lavorare sodo per raggiungere il risultato sulla strada».
Escludi quindi che avrai mai bisogno di una “pausa di riflessione” come Tom Du­moulin.
«Non entro nel merito della sua scelta che è personale e come tale rispettabile. Ho letto che lui soffriva le aspettative sue e degli altri, io credo che siano i sacrifici a pesare per un ragazzo di 30 anni, che si è già tolto molte soddisfazioni, ha raggiunto ot­timi risultati, ha un bel conto in ban­ca e fatica a confrontarsi con giovani che continuano ad alzare l’asticella della competizione. Un livello sempre più alto comporta un livello di sacrifici sempre maggiori, se perdi un po’ di motivazione è la fine. Quando fai tanta fatica è normale chiedersi se la propria felicità è questa oppure de­dicarsi ad altro. È naturale domandarsi se lo si fa per sé o per chi si aspetta che tu debba vincere. Se in testa iniziano a ronzarti questi ragionamenti, “fare la vita” del corridore professionista diventa una costrizione, i sacrifici ti schiacciano. Lo capisco benissimo, mi stupisco invece di chi lo critica. Tornando a me, io ho ancora fame, voglio vincere certe ga­re e finché non ci riuscirò non sarò appagato quindi sopporterò i sacrifici quotidiani che questa professione impone».
Di recente due tuoi colleghi e coetanei hanno avuto problemi di cuore.
«Questo dimostra quanto il ciclismo ti porti al limite... (scherza, ndr). Ho sentito Diego appena ho avuto la no­tizia e ad Elia ho mandato un messaggino qualche giorno dopo la sua operazione. Sono sicuro che sono in buone mani e sono contento che al­meno per Elia la situazione sia già sotto controllo. Se parla di rientrare a correre a fine febbraio significa che sta be­ne e potremo ritrovarci presto a sprintare uno contro l’altro. Per Die­go la questione pare più complessa, quindi colgo l’occasione per mandargli un grossissimo in bocca al lupo. Con la salute non si scherza, i loro casi dimostrano quanto sia im­portante per tutti effettuare le visite mediche per l’idoneità agonistica e, anche se non si gareggia, prestare at­tenzione ed essere prudenti».
Da quest’anno avrai al tuo fianco un amico, Matteo Pelucchi.
«Sarà una figata, anzi lo è già! Ci conosciamo da quando eravamo giovanissimi, abitando vicini (prima in Brianza e negli ultimi anni nei pressi di Men­dri­sio, in Svizzera) ci alleniamo insieme tutti i giorni, abbiamo un rapporto che va al di là del ciclismo. Essere insieme ci aiuterà a superare i momenti di difficoltà che in una stagione non mancano mai. Uno degli ingredienti necessari perché un gruppo funzioni al meglio è l’affiatamento tra i suoi componenti e con lui è già consolidato. Per me sarà una pedina importante, oltre che un alleato di risate. Dopo le categorie giovanili (in cui vinceva tanto quanto Gia­co­mo, ndr) “Pelo” ha avuto un percorso travagliato. In più di un’occasione non si è trovato nel posto giusto al mo­mento giusto e questo può cambiare una carriera totalmente. Per varie ra­gio­ni, e non tutte dipendenti da lui, gli è mancata la continuità di rendimento, ma il talento ce l’ha e sono certo che abbia ancora tanto da dare».
Alla Qhubeka Assos è stato confermato Pozzovivo ed è arrivato Aru.
«Pozzo è un highlander, non lo scalfisce niente, va avanti per la sua strada, qualunque cosa accada. Caratte­rial­men­te non è un trascinatore, ha una personalità più individualista, ma a suo modo ha un impatto importante sugli altri perché basta guardare l’impegno che ci mette per imparare come si af­fronta questo mestiere. Oltre a perseguire i suoi obiettivi, può insegnare mol­to ai giovani. Fabio lo conosco po­co, è la prima volta che difendiamo i colori della stessa squadra e finora non abbiamo avuto modo di parlare più di tanto. L’unica cosa che posso dire è che si trova nella situazione migliore per rilanciarsi, starà a lui riuscirci».
Quando ti vedremo con la nuova maglia in gara?
«Se il calendario non cambierà esordirò all’Étoile de Bessèges in programma dal 3 al 7 febbraio, poi sarò al via della Clasica de Almeria, dell’UAE Tour, della Parigi-Nizza e della Milano-Sanremo, che è il mio obiettivo principale e il mio sogno più grande. Il quinto posto di un anno fa mi dà fiducia, con la squadra possiamo giocarcela. L’avvi­ci­namento finora non è stato ideale, ma sto imparando ad accettare gli imprevisti e a trarne il meglio. Quest’anno vorrei mettermi al­la prova anche in altre classiche, non tutte ma la Gand Wevelgem la disputerò di sicuro e magari mi vedrete alla partenza anche di Fiandre e Roubaix. La squadra crede in me per queste due gare, io penso più alla Roubaix sinceramente, ma se riuscirò ad arrivarci con una buona condizione sono curioso di testarmi su muri e pavè. E poi quando si è al via di una corsa non si sa mai... La seconda parte di stagione sarà in­centrata sul Giro d’Italia, sulle strade del mio Paese voglio far vedere a tutti la mia bella “doppia” maglia che non vedo l’ora di mostrarvi nella sua versione definitiva».
Cos’ha di speciale la Classicissima?
«È il Monumento a me più adatto e quello con cui sono cresciuto. Da ra­gazzino ricordo quei sabati speciali in cui mi svegliavo presto, radunavo gli amici e da Besana Brianza in motorino con un freddo incredibile raggiungevamo Piazza Castello a Milano per vedere la partenza. Dopo aver salutato la ca­rovana diretta in Liguria noi stavamo in giro un po’ fino a quando nel pomeriggio ci riunivamo a casa di uno di noi per vedere insieme l’arrivo».
Come stai vivendo questi mesi complicati?
«Soffro non poter “staccare” quando sono a casa. Mi manca l’andare in va­canza, ma anche solo uscire per un aperitivo con gli amici ed essere spensierati. Credo sia una sensazione comune. Noi atleti professionisti abbiamo la fortuna di abbandonare l’assurdo della nostra nuova vita stando via perché alle gare rientriamo nella nostra routine al

di là dei tam­poni e delle mascherine, delle distanze e del gel igienizzante. Manca il pubblico e quello pesa, ma per il resto il nostro lavoro non è cambiato troppo. Ci alleniamo, facciamo i massaggi e non ci manca nulla. Vi parlo da un hotel vicino Gi­ro­na riservato interamente alla squadra, abbiamo lo chef e uno staff dedicato a noi. Siamo dei privilegiati. Tra una cor­sa e l’altra invece avverto il grande cam­biamento che il coronavirus ha im­posto alla vita di tutti. Spero che la pandemia passi il prima possibile. Quando accadrà sono certo che ognuno di noi riapprezzerà la ritrovata normalità».
E la quotidianità. La tua com’è?
«Mi alleno alla mattina e dopo pranzo, cascasse il mondo, riposo. Per me la pennichella è sacra, tanto che anche in ritiro litigo per non avere meeting pri­ma delle 17. Nel tardo pomeriggio se sono a ca­sa e non ho impegni faccio un giretto in moto giusto per sentire l’aria in faccia. Per cena (quando è possibile) mi piace invitare gli amici a casa, ne ho uno che è un grande appassionato di cucina, così scegliamo cosa mangiare, acquistiamo gli ingredienti necessari, io metto il locale, Michael si mette ai fornelli e con gli altri soci passiamo una bella serata in allegria».
Nel garage tra macchine e moto c’è ancora spazio per le bici?
«Un po’ devo ritagliarlo, per forza (ri­de, ndr). Battute a parte ho sicuramente più mezzi a motore che bici, ma ho poco tempo per usarli. E nel periodo in cui me le sarei potute godere un po’, non ci si poteva muovere da casa quindi sono rimasto fregato. Ecco un’altra cosa che mi manca della vita pre lockdown: poter girare in moto liberamente. Ora mi devo accontentare di guardarmi dei video insieme a Pelo in ritiro. Adesso sono in attesa di due regali che mi sono fatto, due macchine che sognavo e con le quali mi sono premiato. Vorrei anche un orologio che ho in mente da un po’, per quello però magari aspetto la prossima vittoria di peso. Spero arrivi presto...».
Indossi due maglie iconiche. Partiamo da quella tricolore: in cosa ti senti italiano?
«Beh, noi italiani abbiamo una marcia in più. Siamo fatti a modo nostro, ab­biamo tanti difetti, ma abbiamo una brillantezza e una classe che nel mondo ci invidiano. Diciamolo: siamo in grado di risolvere situazioni irrisolvibili».
E cittadino europeo?
«Restando in ambito ciclistico l’Eu­ro­pa è la culla del ciclismo e, anche se or­mai il movimento è globalizzato, resta un onore essere campione del continente in cui questo sport è nato. Detto questo corro per un team sudafricano e, per il lavoro che svolgo, viaggio pa­recchio quindi mi sento cittadino del mondo oltre che orgoglioso italiano ed europeo».
Ultimo film visto?
«Prova a prendermi con Di Caprio, è bellissimo, l’avrò visto 40 volte».
Attori preferiti?
«Al Pacino ed Eva Mendes».
Che musica ascolti?
«Rap italiana e house-elettronica».
Ultimo libro letto?
«Leggo più riviste che libri, ma Me­ta­stasi di Gianluigi Nuzzi mi ha colpito, racconta come la mafia si è infiltrata nel nord Italia».
Piatto preferito?
«Fiorentina e paella, così non faccio torto né alla cucina italiana né a quella europea».
Cosa ami e cosa odi?
«Do valore all’onestà e non sopporto il suo contrario, la falsità».
Cosa non può mancare nella tua valigia?
«Mancherà sempre qualcosa, suggerisce il massaggiatore (Giacomo risponde alle no­stre domande mentre è sul lettino dei massaggi, ndr). Sono uno smemorato cronico. L’episodio più eclatante? Una volta da junior alla partenza di una gara mi sono accorto di essere senza bici. Ammetto che la serata precedente era stata difficile, ma se vai a una corsa lasciando la bici a casa vuol dire che sei proprio messo malissimo (ride di gusto, ndr)».
Cosa ti spaventa?
«Che qualcuno a cui voglio bene abbia problemi di salute. Sono molto protettivo, ho paura che accada qualcosa ai miei genitori, ai miei amici...».
Cosa ti inorgoglisce?
«Che le persone mi apprezzino come persona al di là del corridore».
Il tuo posto preferito nel mondo?
«Un autodromo».
Il primo pensiero al mattino quando ti svegli?
«Che mal di gambe! Non c’è un giorno in cui non ce l’abbia».
L’ultimo prima di andare a dormire?
«Speriamo di svegliarci domani e non avere mal di gambe, mi dico, e invece otto ore dopo resto sempre deluso (ri­de, ndr)».
Cosa porteresti su un’isola deserta?
«Le persone a cui tengo e poi mi ingegnerei per farle stare bene».
Se potessi reincarnarti in una persona del passato, del presente o del futuro chi sceglieresti?
«Bella questa domanda! Fammi pensare... Direi un gladiatore».
La persona che stimi di più al mondo e perchè?
«Mamma Marina perché in più di una occasione ha dimostrato di possedere una forza in­credibile, che spero di ave­re anche io».
Se non fossi diventato un ciclista, cos’altro saresti potuto diventare?
«Un motociclista, senza subbio. Lo sport anche in un’altra vita non sarebbe potuto mancare».
C’è qualcos’altro in cui ritieni avresti po­tuto eccellere?
«Sicuramente avrei reso bene in un’attività che richiede costanza e determinazione. Avessi proseguito gli studi, mi sarei iscritto a giurisprudenza. Come avvocato secondo me non sarei stato ma­­le, ma non essendo diplomatico non so come sarebbe potuta andare... Sono affascinato dal mondo della moda, un domani mi piacerebbe inaugurare una mia linea ma non mi sento uno stilista, quindi non so».
Hai una bacchetta magica: per cosa la usi?
«Per rispondere a questa non ho dub­bi: cancellerei sto ca**o di covid dalla faccia della terra».
Un desiderio da esaudire?
«Vincere la Milano-Sanremo con ad­dos­so la maglia di campione europeo e italiano quindi quest’anno».

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