di Giulia De Maio
Il primo anno nel World Tour si sapeva non sarebbe stata una passeggiata di salute, ma nessuno in casa Cofidis si aspettava di doversi confrontare con una pandemia mondiale e di conseguenza con una stagione agonistica completamente stravolta. Seppur il battesimo non sia stato dei migliori, il morale è alto a Saint Aygulf, località balneare francese non lontana da Saint-Tropez, dove il mese scorso la formazione francese si è riunita a piccoli gruppi per programmare un pronto riscatto. Prima delle feste era doveroso tirare una linea in vista dell’anno nuovo che, con un calendario più regolare, concederà una seconda occasione preziosa a tutto il gruppo biancorosso ma zero alibi.
A confermarlo è Roberto Damiani, dalla fine del 2017 direttore sportivo della squadra guidata da Cédric Vasseur, che nel 2020 ha fatto il salto nella massima categoria puntando su Elia Viviani. Il tecnico milanese dal 1999 ad oggi di campioni ne ha diretti tanti, avendo guidato l’ammiraglia di grandi team come Mapei, Fassa Bortolo, Liquigas-Bianchi, Lotto, Omega-Pharma e Lampre, lavorando con talenti quali Cancellara, Evans, Gilbert, McEwen e Petacchi.
Quest’anno dirigerà un fuoriclasse nel quale ha tutt’altro che perso la fiducia. Tiriamo le somme di questa prima stagione nella massima categoria.
«Per fare una battuta possiamo dire che è stata “virale”. Non facile, di certo atipica. Non voglio dare la colpa a quel che è successo nel mondo ma il virus ha pesato molto. Quando inserisci un atleta di talento e con un grande palmares in un gruppo nuovo, più corse si disputano più ci si conosce e si perfezionano gli automatismi. Per costruire il treno abbiamo lavorato molto bene in Australia fino alla caduta di Elia, poi sono arrivati i dubbi sulla Tirreno-Adriatico e lo stop della Parigi-Nizza. Quando siamo ripartiti dopo il lockdown, abbiamo rincorso la vittoria che non è arrivata, ma non abbiamo mai smesso di lavorare e questo senz’altro ci tornerà utile quest’anno. La fiducia della squadra in Elia non è in discussione. Anzi, siamo convinti di avere imparato la lezione del 2020. Il potenziale e la grinta per raggiungere risultati importanti ce li abbiamo».
Quanto è stato complesso gestire l’emergenza sanitaria?
«Personalmente l’ho trovato pesantissimo a livello psicologico. Ad ogni tampone rischiavamo di essere rispediti a casa e di non poter svolgere il nostro lavoro, nonostante i numerosi sacrifici affrontati singolarmente e nel complesso. Ad ogni esito negativo tiravamo un sospiro di sollievo, in caso contrario dovevamo attutire un colpo difficile da digerire, come è successo con Jesus Herrada, risultato positivo a quattro giorni dalla Vuelta. L’aveva preparata dopo il Tour, capite quindi la delusione provata dal ragazzo. In generale abbiamo lavorato con una tensione differente da parte di tutto lo staff. Una piccola svista avrebbe potuto compromettere il Giro o il Tour di tutta la squadra quindi attenzione massima al distanziamento, all’igiene, all’utilizzo dei dispositivi di protezione. Anche i classici momenti di goliardia sul bus sono stati limitati al massimo per forza di cose».
Quando a febbraio il coronavirus si è palesato nel ciclismo siete rimasti bloccati negli Emirati per giorni.
«Allora eravamo ancora ignoranti, non conoscevamo la portata del problema con il quale ci saremmo dovuti confrontare. Ricordo la riunione indetta a mezzanotte in cui ci dissero che l’UAE Tour non sarebbe proseguito per la positività al Covid-19 di due persone nella carovana e il prolungamento della quarantena per le squadre al nostro piano. Dopo i primi giorni di spaesamento, nei quali mi ero lamentato e avevo minacciato di ricorrere allo sciopero della fame se non ci avessero liberato, abbiamo ricevuto un grande appoggio dall’ambasciatore italiano e dallo staff di RCS Sport a Dubai, indispensabile per il nostro rientro in sicurezza in Italia. Più che quelle settimane, la vera sfida è stata affrontare il lockdown. Gestire mente e corpo chiusi in casa per gente che fa 40.000 km all’anno non è stato semplice, infatti c’è chi ha trascorso 4.000 ore sui rulli, si è finito e ha pagato dazio nella seconda parte di stagione. Ma oramai ci siamo abituati a questa nuova “normalità”».
Il Covid però non ci permette di abbassare la guardia.
«Infatti a metà dicembre per evitare di radunare 60 persone insieme, abbiamo organizzato un mini ritiro di nove giorni, a cui corridori e staff hanno partecipato suddivisi in mini nuclei per tre giorni ciascuno, pochi ma utili per fare il punto della situazione e capire come affrontare al meglio il 2021. Tutti ci siamo sottoposti ai test PCR di controllo e continuiamo a rispettare le regole per limitare i contatti al minimo. Ormai è nella normalità effettuare il tampone prima di ritrovarsi. Io sono arrivato a quota 40 nel 2020. Il mio naso non ne è felicissimo ma è diventata un’abitudine. Per il resto la gestione del lavoro è molto più online, la tecnologia aiuta, ma resta fondamentale parlarsi faccia a faccia. Questo mese, dopo la presentazione ufficiale che, per forza di cose, andrà in scena in versione ridotta, andremo in ritiro per due settimane a Benidorm o a Calpe (una delle difficoltà di questi tempi è trovare hotel aperti e disponibili alle nostre esigenze) con il gruppo “veloce” che dovrebbe esordire in Argentina se sarà possibile disputare la Vuelta a San Juan. A fine gennaio svolgeremo un altro raduno in quota a Sierra Nevada con gli scalatori. La definizione dei calendari, pur con le incognite del caso, è fondamentale per trovare continuità di impegni agonistici».
Dopo il flop del 2020, come hai trovato i ragazzi?
«Motivati come non mai a ripagare la fiducia e serietà di Cofidis che, nonostante le difficoltà del periodo, ha dimostrato che per i suoi dipendenti c’è al 100%. La squadra ha visto la luce nel 1996 ed è tra i rari casi nel mondo del ciclismo in cui proprietario e sponsor coincidono. A differenza di quanto accaduto in altri contesti, anche durante lo stop alle competizioni gli stipendi di tutti i componenti del nostro team sono stati garantiti per intero. Avere una azienda importante alle spalle ci dà serenità e allo stesso tempo ci impone di rispondere con fatti concreti. Prima di ritrovare i corridori, il management ha riunito tecnici e preparatori per due giorni di seminario presso la sede della casa madre per analizzare quanto è stato e ripartire mettendo nel mirino una stagione con i controfiocchi».
Cosa è emerso dall’analisi della prima stagione tra le big?
«Abbiamo ripartito oneri e onori. Si vince e si perde insieme. Più passa il tempo e più crediamo nella professionalità e nel talento di Elia. Abbiamo voglia di migliorarci come gruppo e con l’impegno di ogni elemento ci riusciremo. Nel 2020 abbiamo festeggiato pronti-via con Attilio Viviani, che ha vinto la prima tappa della Tropicale Amissa Bongo, e con Anthony Perez che ha fatto sua la frazione inaugurale del Tour des Alpes Maritimes et du Var, poi abbiamo raccolto solo tanti piazzamenti. Ripartiamo da sole due vittorie, convinti di valerne decisamente di più».
Da febbraio in poi dove vedremo in azione Viviani e il suo gruppo?
«Disputeremo il classico calendario francese di inizio stagione, voleremo ad Abu Dhabi e ci faremo trovare pronti per la Milano-Sanremo e le altre classiche per le ruote veloci. Un grosso bollino rosso lo metteremo sul Giro d’Italia: è da confermare, ma sulla carta è la corsa di tre settimane preferibile per rispettare il programma olimpico del nostro leader. C’è massima e totale collaborazione con la Nazionale e il CT Marco Villa, per un pistaiolo come me vedere girare Elia a Montichiari è una goduria, ammirarlo in gara a Tokyo sarà da brividi. La stagione scorsa è stata pazzesca, la squadra ha chiesto a Elia di andare al Tour e lui lo ha fatto, ora è giusto assecondare il suo desiderio. È il campione olimpico in carica e ci teniamo quanto lui che si ripeta».
Su quali altri corridori puntate in modo particolare?
«Con 10 innesti ci siamo rinforzati attorno ai nostri capitani Elia e Guillame Martin. Quest’ultimo ha disputato un buon Tour e una buonissima Vuelta, dimostrando di aver margini di crescita importanti. Christophe Laporte non ha funzionato in appoggio a Elia, ma è un bel corridore e con Jesus Herrada nel 2019 ha portato a casa la bellezza di 14 vittorie quindi farà un altro programma rispetto a Viviani e andrà a caccia di risultati in prima persona. Voglio sottolineare il valore di Consonni, vagone determinante per Elia e anche lui impegnato con la squadra azzurra nella missione olimpica. Simone quest’anno sarà fondamentale per le vittorie del nostro capitano, ma arriverà il momento in cui gli diremo “ora tocca a te”. La campagna acquisti di Vasseur è stata rivolta a far crescere i settori velocisti e scalatori. Come detto, siamo fortunatissimi ad avere un’azienda che crede in noi, la partecipazione dei nostri titolari si tramuta in voglia di fare. Ci avviciniamo all’inizio della nuova stagione con entusiasmo e fiducia».
L’obiettivo del Team Cofidis 2021?
«Vincere. Vincere. Vincere. Vincere. Vincere. Ho voglia di vedere Elia con le braccia alzate verso il cielo. Se lo merita e lo meritiamo anche noi».