di Giulia De Maio
È stato un anno più che positivo per Filippo Ganna. Così tanto che pure uno degli ultimi tamponi a cui si è sottoposto, alla vigilia degli Europei su pista di Plovdiv, hanno dato questo esito. Top Ganna non si è fatto mancare nulla nel 2020, nemmeno il coronavirus. A fine febbraio ha conquistato il quarto titolo mondiale nell’inseguimento individuale con la ciliegina del record del mondo (4’01”934), il 21 agosto si è messo sulle spalle la maglia tricolore al termine della cronometro di Cittadella, poi ha dominato la prova contro il tempo della Tirreno-Adriatico, preludio al capolavoro iridato di Imola. Infine un Giro d’Italia superlativo con quattro successi di tappa e due giorni in maglia rosa.
Il ventiquattrenne piemontese della Ineos Grenadiers è stato l’autentica rivelazione della stagione, protagonista di una esplosione inattesa e davvero sorprendente: ha dominato la classifica dell’Oscar tuttoBICI Maglia Bianca, conquistando il Gran Premio ACM Asfalti con pieno merito. Ha sbaragliato il campo precedendo di gran lunga il neoprofessionista valtellinese Andrea Bagioli della Deceuninck Quick Step ed il bergamasco Lorenzo Rota della Vini Zabù KTM, destinato ad esordire il prossimo anno nel World Tour.
Lo contattiamo mentre è ancora in quarantena a Vignone - solo la sera del 24 novembre ha finalmente avuto l’esito negativo all’ennesimo tampone - insieme a mamma Daniela, papà Marco (che ha partecipato all’Olimpiade di Los Angeles 1984 nella canoa, ndr) e la sorella Carlotta, “Lotti”, a cui è così legato che al compimento dei rispettivi 18 anni si sono regalati un tatuaggio. Un’ancora, lui sul braccio, lei sulla schiena.
Come stai Pippo?
«Sto. Mi girano le scatole perché sono stato attento tutto l’anno, ho fatto tutto per bene, ho allentato la tensione per un giorno e mezzo (uscendo dalla “bolla” della Ineos Grenadiers prima di entrare in quella della Nazionale per andare a Biella a trovare la fidanzata, che non vedeva dai mondiali di Imola 2020, ndr) e tutto è andato a catafascio. Per colpa del Covid ho buttato via tante occasioni, ma ormai mi sono messo l’anima in pace. Mi spiace infinitamente aver contagiato i miei compagni e amici Liam Bertazzo e Michele Scartezzini. Quando giravamo in pista erano i più attaccati a me e, senza volerlo, attraverso l’aria qualcosa da me a loro sarà volato... Si meritavano di raccogliere agli Europei risultati di prestigio dopo aver preparato l’appuntamento in modo molto meticoloso. Soprattutto Liam che già aveva avuto un anno difficile con un’ernia che gli ha distrutto la schiena, non meritava questo ulteriore stop, anzi aveva bisogno di soddisfazioni, morale e grinta. Ovviamente sono anche mortificato per la mia famiglia. Uniti nel bene e nel male, ormai puntiamo all’immunità di gregge (scherza, ndr). Speriamo che questa malattia non lasci strascichi a livello fisico. Essendo per tanti aspetti ancora sconosciuta, non possiamo averne la certezza. Appena starò meglio ovviamente mi sottoporrò a tutte le visite del caso prima di tornare ad allenarmi».
Quanto sei stato male?
«Per tre giorni ho avuto la febbre a 39°, la temperatura non scendeva nonostante assumessi la tachipirina al mattino, dopo pranzo e alla sera. E io a 37° già soffro... Mi sentivo le ossa rotte e tutti i classici sintomi dell’influenza, per una settimana non ho avuto gusto e olfatto, che ancora non ho ripreso al 100%. Per gli odori ho fatto le prove con l’alcool, mi sfregavo le mani e le annusavo ma niente. Per i sapori con la senape. Ne prendevo una cucchiaiata di quella potente dal barattolo di vetro e... nulla. Ora inizio a sentire la dolcezza del miele, ma quando bevo il caffè non avverto ancora il gusto che dovrebbe avere. Nel complesso comunque sto bene quindi non mi lamento».
Come hai trascorso le giornate in quarantena?
«Mi svegliavo tardi e mangiavo tardi, giocavo con i videogames come Fortnite e guardavo serie tv. Quando il wi-fi non andava uscivo in giardino con i cani Mia e Blu, mi sbizzarrivo in costruzioni con i lego o mi mettevo ai fornelli, all’hotel mamma c’è sempre qualcosa da imparare o di buono da provare. Non sono uno chef e nella vita di tutti i giorni non ho tanto tempo per cucinare chissà quali prelibatezze, ma in queste settimane di reclusione forzata ci siamo coccolati, mangiando e bevendo bene. Per tenere alto l’umore della truppa abbiamo svolto tante attività insieme. Dai lavori di casa, come il taglio della legna o della siepe, alle grigliate con il barbecue. Per il resto sono diventato campione del mondo di... fancazzismo. Non vedo l’ora di tornare almeno a programmare il futuro».
Intanto torniamo al passato recente, che per te è stato davvero da incorniciare.
«È stato un anno particolare e difficile, come per tutti, ma a livello lavorativo non posso recriminare nulla. Ho realizzato alcuni sogni che custodivo nel cassetto fin da bambino, sono andato ben oltre le mie aspettative, affermandomi sia in pista che su strada e nelle crono. Devo ringraziare chi mi sta vicino quotidianamente e mi supporta in squadra e in Nazionale. Dietro ogni successo c’è il superamento dei propri limiti. Nessuna vittoria arriva facilmente. Dopo aver vinto la crono iridata a Imola ho avvertito la sensazione di aver fatto qualcosa di storico, soprattutto perché sono il primo italiano a vincere questo titolo e ci sono riuscito nel nostro Paese, ma resto con i piedi per terra perché so che la strada per confermarmi è lunga e piena di insidie. La corsa rosa è stata magica. Nonostante la perdita di Geraint Thomas, siamo riusciti ad essere protagonisti ogni giorno e a festeggiare sul gradino più alto del podio di Milano con Tao Geoghegan Hart. Il mio pianto in piazza Duomo credo abbia reso bene l’idea di quanto fossi felice. L’istante più bello di quest’anno a due facce però è stato quando sono tornato negativo e ho ritrovato un po’ di nromalità. Lo sport è importante, soprattutto per uno che lo pratica di professione, ma vale fino a un certo punto. Se sei tranquillo rendi anche a livello sportivo. Quando ho scoperto di essere positivo e di dover fare i conti con questo virus è stato il momento più difficile».
A chi ancora ne nega la gravità, cosa ti senti di dire?
«Risulterò cattivo e insensibile, ma dovrebbero provarlo sulla propria pelle. Se a chi si ostina a non rispettare le regole che ci permetteranno di sconfiggerlo mancasse l’ossigeno, sono sicuro ci penserebbe due volte prima di non usare la mascherina. Sono il primo ad essere convinto che le cose si sarebbero potute gestire meglio, ma in questa storia siamo in ballo tutti e ognuno deve dare il proprio contributo. Io sono risultato positivo in Lombardia, ma essendo residente all’estero (da qualche mese si è trasferito ad Ascona, sulla sponda svizzera del Lago Maggiore, nel Canton Ticino, ndr) non sono stato segnalato in Piemonte, dove risiede la mia famiglia. Mi sono informato contattando personalmente il primario di infettivologia dell’Ospedale di Verbania, che mi ha confermato che secondo la prassi avrei dovuto rifare il tampone a Montichiari, dove ero risultato positivo per la prima volta. Per la legge italiana però non posso allontanarmi da casa, se non per effettuare il test nel drive in più vicino a dove sto svolgendo la quarantena, quindi sarebbe stato assurdo spararmi 220 km per una mancata trasmissione di informazioni. Allora ho chiamato la WADA che, oltre a quelli antidoping, svolge anche esami di questo tipo, per sottopormi a un tampone a casa il 16 e 20 novembre. Due giorni dopo la mia prima positività, i miei familiari si sono sottoposti al test e anche loro sono risultati positivi, in attesa dell’esito non hanno mai messo piede fuori casa. Siamo persone con la testa sulle spalle. Invito tutti ad essere responsabili. Per vincere questa sfida il gioco di squadra è quanto mai fondamentale».
Hai vinto l'Oscar tuttoBICI come migliore under 26 italiano, il tuo primo in carriera.
«Già, non lo avevo mai vinto nelle categorie minori. Sarà che non sono mai stato un grande corridore, vincevo solo in pista.... (sorride, ndr). Quest’anno si è parlato molto del cambio generazionale in atto, ma io non lo trovo sorprendente. Succede da quando correva Luiga Ganna, con cui non sono neanche parente, è normale. Magari l’età media dei corridori che si impongono in corse importanti si è abbassata. Escludendo Saronni, in effetti i vincitori del Tour de France sono più maturi dei 22 anni di Pogacar, ma questa è stata anche un’annata atipica. C’è chi si è finito sui rulli, chi invece dal lockdown è uscito bene. Senz’altro noi giovani stiamo arrivando e non ci facciamo intimorire dall’esperienza dei vecchi».
Nel 2021, se tutto va bene, parteciperai ai Giochi Olimpici. L’Italia conta su di te per l’inseguimento a squadre, la cronometro e molto probabilmente anche per la prova in linea.
«Speriamo che Tokyo 2021 veda la luce. Se dovremo vivere “sul chi va là” come quest’anno punto a tutto: nel 2020 ha funzionato (sorride, ndr). Mi sono già confrontato con Dario David Cioni, diesse e preparatore del team, che mi ha informato che fino a gennaio la squadra non ha in programma nessun ritiro. Appena potrò quindi volerò a Gran Canaria, da solo o con qualche compagno, per allenarmi al caldo. Un conto è iniziare la preparazione a 30° gradi, un altro è partire a macinare chilometri a dicembre a 3-4°. Il linea di massima il mio 2021 sarà come doveva essere il 2020. Voglio partire bene in vista dei mondiali su pista, quindi disputerò il Giro e volerò in Giappone per i Giochi. Per l’anno nuovo speriamo di poter avere un calendario e una vita più normali. Dipenderà tutto dalla forza di volontà della gente nel rispettare le regole e il distanziamento sociale. Mi raccomando».