di Paolo Broggi
Il cambio generazionale era iniziato già lo scorso anno e nel 2020 ha trovato la sua sublimazione. Ma ci affidiamo al Manzoni e chiediamo «fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza». La domanda e l’attesa per la risposta che avremo il prossimo anno trovano fondamento in una osservazione innegabile e condivisa da tanti tecnici: il 2020 è stato un anno evidentemente anomalo nel quale i giovani si sono certamente trovati meglio rispetto ai corridori più esperti.
La stagione progammata e partita regolarmente a gennaio e febbraio, inaspettatamente interrotta dalla pandemia e dal lockdown, ha costretto i corridori a trascorrere parecchi mesi nell’incertezza del futuro, a riprogrammare la loro partenza e ad affrontare un calendario riscritto, compresso, incalzante. Un calendario che evidentemente ha condizionato i corridori esperti, abituati ad un certo tipo di lavoro e di programmazione, bisognosi di punti di riferimento tanto in allenamento quanto in corsa, legati ad abitudini e certezze che sono venuti improvvisamente a mancare.
I giovani, baldanzosi per definizione, sono riusciti ad adattarsi meglio alla situazione, hanno affrontanto le corse con meno tatticismi, sostenuti da una freschezza atletica che si è rivelata decisiva: sarebbe molto interessante poter contare su uno studio universitario capace di analizzare numeri e prestazioni dei corridori di ogni età durante l’anomala stagione che abbiamo appena mandato in archivio.
Ci sono stati corridori che si sono sfiniti in allenamento nell’estate, altri che hanno inseguito la condizione senza trovarla mai, altri ancora che hanno dovuto fare i conti con un colpo di pedale che è rimasto solo una chimera.
Un esempio che può aiutare a capire è quello della Colombia: per la prima volta da molti anni a questa parte, il Paese sudamericano esce dalla top ten della classifica mondiale per nazioni e questo è sicuramente un dato figlio della pandemia. Problemi ad allenarsi per lunghe settimane per i corridori colombiani in patria, l’arrivo a metà luglio in Europa con un volo appositamente organizzato per superare il blocco del lockdown, la difficoltà per tutti di adattarsi quanto prima al clima europeo, la necessità di partire subito forte e di rincorrere risultati che faticavano ad arrivare, infortuni dietro l’angolo e guai per corridori di ogni fascia di età.
Un altro effetto della stagione della pandemia è l’ascesa della Francia al primo posto della classifica mondiale, posizione che i transalpini non occupavano davvero da tempo immemore. Seconda posizione per la Slovenia, terza per il Belgio e quarta per l’Italia, mentre nella top ten entra la Gran Bretagna al posto proprio della Colombia. Altra nazione in grave difficoltà è la Spagna che scivola al decimo posto lontanissima dalle migliori e che paga la mancanza di leader veri che possano rimpiazzare, almeno per ora, quel fenomeno che continua comunque ad essere Alejandro Valverde.
Ecco perché il prossimo anno - nella speranza che la stagione possa svolgersi nel modo più regolare possibile - sarà fondamentale per capire se il cambio generazionale è totale o se invece i “grandi vecchi” avranno ancora la forza e la capacità di impartire qualche lezione.
I MONUMENTI
Entrando nel dettaglio, tra i vincitori di grandi giri solo Primoz Roglic, classe 1898, ha saputo confermarsi e ripetere il successo colto nel 2019 alla Vuelta, aggiungendo anche il secondo posto al Tour de France, scalzato dal primo gradino del podio dal suo giorvane connazionale Tadej Pogacar. E tra i vincitori delle quattro classiche monumento disputate - la Roubaix è stata cancellata a causa del Covid - e del mondiale, il solo corridore Jakob Fuglsang ha più di 30 anni e ha saputo ripetere al Lombardia quel che aveva fatto lo scorso anno a Liegi. È stata invece una “prima volta” per Wout Van Aert a Sanremo, per lo stesso Roglic alla Liegi, per Mathieu Van der Poel al Fiandre e per Julian Alaphilippe al Mondiale di Imola.
L’ITALIA...
La stagione ripartita il 1° agosto con le Strade Bianche e proseguita fino all’8 novembre, giorno dell’ultima tappa della Vuelta, ha avuto tra le sue conseguenze anche un innalzamento del livello delle competizioni, con risvolti importanti sul bilancio delle formazioni Professional e quindi anche di quelle italiane.
Andromi Sidermec, Vini Zabù Brado KTM e Bardiani Csf Faizané sono state costrette a misurarsi contro i team di WorldTour molto più quanto accadeva in una stagione tradizionale, con la conseguenza che hanno faticato più del solito a conseguire risultati e a raccogliere punti importanti. Non è un caso se la Androni di Savio ha chiuso la stagione al ventinovesimo posto della graduatoria mondiale, tallonata dalla Vini Zabù di Citracca mentre la Bardiani della famiglia Reverberi è finita addirittura al cinquatasettesimo posto.
Al primo posto ha chiuso la Jumbo Visma di Roglic e Van Aert che ha spodestato, rispetto al 2019, la Deceuninck Quick Step, scivolata al secondo posto davanti alla UAE Emirates che continua la sua crescita e chiude sul podio la stagione. Due i numeri rilevanti: la crescita del Team Sunweb che, trascinato dai suoi giovani talenti, passa in un anno dal quindicesimo al quinto posto e di contro la manovra da gambero della Movistar che in dodici mesi ha perso la bellezza di undici posizioni.
...E GLI ITALIANI
In casa Italia, due uomini su tutti. Il primo è Diego Ulissi che chiude la stagione all’ottavo posto della classifica mondiale, unico italiano ai vertici: il toscano della UAE ha conquistato cinque successi, due dei quali al Giro d’Italia, ma soprattuto è stato protagonista di una stagione regolare, continua e sicuramente molto positiva.
Il secondo è Filippo Ganna, autentica rivelazione della stagione, non tanto per le doti che tutti gli hanno sempre riconosciuto, quanto per la crescita esponenziale a livello di concretezza e di capacità di firmare grandi risultati. Il titolo mondiale e quello italiano della crono, la tappa finale della Tirreno-Adriatico a tempo di record, quattro frazioni (tre crono) al Giro d’Italia con tanto di maglia rosa indossata, la conferma del titolo mondiale della pista e una consapevolezza nuova che lo ha portato ad essere il corridore italiano più vittorioso della stagione e promette di aprirgli orizzonti finora del tutto inaspettati.
SIGNORE DEL MONDO
Ha faticato molto, Julian Alaphilippe, in una stagione che pure lo ha portato a conquistare il successo più ambito, vale a dire il Mondiale di Imola. Ha faticato ma è stato molto intelligente: quando ha capito che, dopo aver vinto la seconda tappa a Nizza, il Tour de France non era cosa per lui, ha cominciato a lavorare in vista della prova iridata nella quale ha corso alla perfezione, piazzando l’attacco vincente nel corso dell’ultimo giro. In maglia iridata, poi, LouLou ha vissuto un mese di ottobre pazzesco: alla Liegi ha fatto fuoco e fiamme per poi sbagliare tutto in volata e farsi retrocedere per scorrettezze, alla Freccia del Brabante ha colto il suo primo successo in maglia iridata e poi nel Giro delle Fiandre, dopo aver portato via la fuga decisiva, si è scontrato con una moto, finendo a terra e procurandosi la frattura del polso che ha posto fine alla sua stagione incredibile.
I RE DEI GIRI
Mai si era disputato il Tour de France a settembre e mai l’aveva vinto un corridore sloveno, mai si era corso il Giro d’Italia a ottobre e mai due corridori avevano affrontato l’ultima tappa partendo assolutamente alla pari, mai la Vuelta si era spinta a novembre inoltrato e mai nell’era moderna la corsa spagnola era stata ridotta a 18 tappe invece delle tradizionali 21. Bastano queste poche note per dare l’idea di quanto sia stata anomala la stagione... Applausi per Tadej Pogacar che a nemmeno 22 anni ha conquistato la corsa più importante del mondo pedalando con una sfrontatezza e una baldanza davvero impressionanti; applausi per Tao Geoghegan Hart che ha ribaltato un Giro d’Italia iniziato malissimo per la sua Ineos Grenadiers che ha perso subito il suo capitano Geraint Thomas e che ha saputo ingabbiare l’altrettanto sorprendente australiano Jai Hindley; applausi per Primoz Roglic che ha avuto il merito di reagire alla mazzata tremenda della sconfitta al Tour e di andare a conquistare la Vuelta nella quale ha battagliato in maniera spettacolare con quel Richard Carapaz che entra di diritto tra i grandi del momento nelle corse a tappe, cancellando i dubbi di chi un anno fa lo aveva etichettato come semplice meteora dopo il suo trionfo al Giro d’Italia.
Ma applausi anche ad altri giovani rampanti come Enric Mas, David Gaudu, Miguel Angel Lopez, Hugh Carthy, Jai Hindley e Joao Almeida: il prossimo anno saranno tutti chiamati a confermarsi contro i “vecchi” - citiamo per tutti Chris Froome, che tornerà a battersi con una nuova maglia sul petto, e Vincenzo Nibali che continua ad essere il numero uno del ciclismo italiano nelle corse a tappe e del quale non vediamo ancora un erede - e contro quei corridori, a cominciare da Egan Bernal, che hanno vissuto una stagione da dimenticare.
MONUMENTI
La stagione del coronavirus ha portato ad una inusuale collocazione delle classiche in calendario, alla cancellazione della Roubaix, al trionfo di volti nuovi, come abbiamo elencato in precedenza. Il numero uno delle corse in linea è stato Wout Van Aert: il ventiseienne belga della Jumbo Visma ha vinto in una settimana la Strade Bianche e la Milano-Sanremo, ha corso un Tour da protagonista vincendo due tappe e lavorando per Roglic, e ha perso il Fiandre per una questione di centimetri nello scontro diretto che lo ha opposto al suo storico rivale Van der Poel.
Il Lombardia di Ferragosto ha confermato come Jakob Fuglsang abbia trovato nell’età della maturità la sua dimensione ideale di cacciatore di classiche mentre la Liegi d’ottobre ha sdoganato Primoz Roglic come uomo da corse in liena e non solo come grande atleta da grandi giri. Anche nel caso delle classiche monumento, chiediamo al 2021 conferme e certezze, visto che in questa stagione le contemporaneità rese necessarie dal ridisegnato calendario (il Lombardia con il Delfinato, Liegi e Fiandre con il Giro d’Italia) hanno costretto molti protagonisti ad opera scelte dolorose.
NUMERI
Lassù, in testa alla classifica delle squadre plurivittoriose della stagione c’è sempre il Wolfpack, il branco di lupi della Deceuninck Quick Step. Trentanove vittorie in un calendario ridotto garantiscono alla formazione belga di conservare una leadership che nessuno riesce ad interrompere dal 2012 a questa parte: una questione di mentalità, una costruzione sempre intelligente della squadra e una compattezza di intenti sono i segreti di una squadra che non finisce di stupire. E che quest’anno - dopo aver dovuto far fronte ai terribili incidenti occorsi nel giro di pochi giorni a Fabio Jakobsen e Remco Evenepoel - ha saputo anche cambare volto dipsutando uno splendido Giro d’Italia come squadra da classifica grazie all’esplosione di Joao Almeida.
In Italia il titolo di formazione plurivincitrice va alla Androni Sidermec che è arrivata a quota 13: il team di Gianni Savio è stato - al pari della Nippo Delko Provence - secondo solo alla ben più attrezzata Alpecin Fenix di capitan Van der Poel nel conto delle vittorie tra le formazioni Professional
Tra i corridori, come detto, Filippo Ganna ha firmato sette successi precedendo Diego Ulissi che si è attestato a quota cinque e Giacomo Nizzolo che ha timbrato quattro successi di prestigio: il brianzolo ha vinto una tappa del Down Under e una della Praigi-Nizza e poi ha vissuto una settimana straordinaria ad agosto nella quale ha conquistato prima il titolo italiano e poi quello europeo. In totale, ventidue i corridori italiani che sono andati a segno almeno una volta nelle corse del calendario UCI per un totale di 40 successi. A bocca asciutta, tra gli altri, sono rimasti Elia Viviani, che lo scorso anno aveva vinto più di tutti, e Vincenzo Nibali, giusto per fare i nomi dei due corridori faro del nostro movimento.
Un’ultima nota per le tante formazioni Continental del nostro Paese che hanno potuto correre poco e ancor meno mettersi in evidenza proprio a causa del calendario contingentato. Le aspettiamo alla ribalta il prossimo anno: il nostro movimento ha bisogno anche di loro.