Longo Borghini, emozioni da Oscar

di Giulia De Maio

«Qui siamo tutti mat­ti. Io sono mat­to. Tu sei matta». Eli­sa Longo Bor­ghi­ni è come Ali­ce nel Paese delle Me­­­ra­viglie e non le serve un gatto parlante per capire che quella andata in archivio è stata una stagione incredibile, sotto tutti i punti di vista. Avventure fantastiche non so­no mancate alla piemontese che il 10 di questo mese spegnerà 29 candeline e fe­steggerà la vittoria dell’Oscar tut­toBICI Gran Premio Alé Cycling.
La portacolori della Trek Segafredo ha dominato la folle stagione da poco conclusa e, nella nostra speciale classifica riservata alle Donne Élite, si è messa alle spalle la campionessa in carica Mar­­ta Bastianelli, che aveva vinto nelle due precedenti stagioni, e l’emergente Marta Cavalli, che nel 2020 ha firmato un vero e proprio salto di qualità. La capitana azzurra ha sbaragliato la concorrenza conquistando ad agosto la me­daglia d’argento all’Europeo di Plouay e laureandosi campionessa italiana a cronometro a Cittadella. Al Gi­ro Rosa ha vestito la prima maglia rosa (che non finiva sulle spalle di un’azzurra dal 2008, quando Fabiana Luperini vinse il suo quinto Giro, ndr), ha vinto una tappa e concluso la corsa a tappe più importante del panorama femminile sul terzo gradino del podio. Come se non bastasse, a settembre si è messa al collo il bronzo ai mondiali di Imola, stesso metallo di cui si era già impadronita ai Giochi Olimpici di Rio 2016 e ai mondiali 2012. Per poi concludere a fine ottobre a braccia alzate con l’attacco in solitaria che a Breganze le ha consegnato un’altra splendida ma­glia tricolore. A sigillo di una stagione da favola ha collezionato una serie di piazzamenti straordinari, concludendo il suo 2020 con il secondo posto nella classifica individuale World Tour e un vantaggio davvero abissale sulle altre atlete di casa nostra.
Come stai trascorrendo le vacanze?
«Come tutti, a casa. Sto cercando di ri­caricare le batterie, rilassarmi, go­dermi le bellezze appena fuori porta. Do­po aver affrontato un calendario compresso e pieno zeppo di appuntamenti, do­po aver pensato per tre mesi soltanto a pedalare dando tutta me stessa, avevo bisogno di staccare un po’ la spina».
Questo 2020 è stato...
«Un anno matto, completamente mat­to, sotto tutti i punti di vista. È stato incredibile e per me molto ricco. Lo metto sul podio delle migliori annate dalla mia carriera, anzi posso dire che è stato il migliore in assoluto. Non mi sarei mai aspettata di andare così forte e di essere così serena. Ho ritrovato Eli­sa, quella vera, che si presenta a cuor leggero alle corse, che attacca, che non ha paura, che se ne frega del piazzamento, che non teme di “saltare”. Gran parte del merito è della squadra che non mi ha mai fatto mancare il supporto di cui avevo bisogno. Alla Trek Se­gafredo so che sono anche libera di sbagliare: ho le spalle co­perte visto che siamo tutte forti. Sono circondata da persone che credono in me. Le Fiamme oro, la mia fa­miglia e il coach Paolo Slongo (lo stesso di Ni­bali, ndr). Mi piace allenarmi tanto, a volte esageravo. Lui mi rassicura sempre dicendo di stare tranquilla, di fare tutto nei tempi giusti. A volte “meno è, meglio è”. L’ho capito».
I momenti più belli?
«Se chiudo gli occhi ho tanti flash che mi scorrono davanti. Dall’Italiano crono quando intorno al 25° chilometro ho avuto un momento di calo, che sono riusciuta a superare ripetendomi un paio di frasette motivazionali che mi sono servite a stringere i denti e ascoltando via radio Giorgia (la diesse Bron­zini, ndr) che mi diceva “non sei sola” e all’ultimo dosso “fallo per te”. Un altro momento memorabile è quando ho staccato le mani dal manubrio tagliando la linea del traguardo a San Marco La Catola (Foggia) e ho potuto celebrare la mia prima vittoria di tappa al Giro Rosa. E poi non di­mentico il mondiale in Italia, è stato tutto bellissimo».
Sei stata più serena nel caos di quest’anno che in passato. Sembra un paradosso.  
«Come dicevo, il supporto del team è stato fondamentale. Un esempio concreto? Averci fornito la consulenza di una psicologa sportiva competente come Elisabetta Borgia che ci ha aiutato tanto a livello sportivo. I due incontri che abbiamo avuto con lei sono stati importanti per tutte noi perché ci han­no fatto conoscere come persone. Test e giochi di gruppo all’apparenza semplici ci hanno dato più consapevolezza di chi abbiamo intorno, facendoci capire quanto le nostre compagne credono in noi e sono determinate a raggiungere gli obiettivi prefissati. Lavorare in­sieme giù dalla bici ci ha fatto crescere, dato forza e determinazione, elementi che fanno la differenza in corsa. Quan­do vedo le mie compagne tirare per me mi carico e sono motivata a ripagarle perché so che lo fanno non solo per lavoro ma per passione».
Cosa significa per te conquistare l’Oscar tuttoBICI?
«È una bella soddisfazione perché è la prova tangibile di aver portato a termine un buon anno. Ho dei bellissimi ricordi delle premiazioni del 2015 e 2016. Sono onorata e ci tengo a ringraziare il direttore Pier Augusto Stagi che ogni ann­o organizza questa splendida cerimonia. È un vero peccato che stavolta non si potrà svolgere regolarmente. Nel 2021 avrò un motivo in più per andare forte: ripetermi per partecipare alla prossima Notte degli Oscar».
La Trek Segafredo è stato il miglior team World Tour femminile del 2020 e ha piazzato Lizzie Deignan e te al primo e se­condo posto nella classifica individuale. Un dominio.
«Al ritiro di febbraio ad Altea era evidente che la squadra era competitiva e in forma, ero consapevole che nel week­­end inaugurale della stagione, alla Het Nieuwsblad e alla Omloop van het Hage­land, saremmo andate per vincere. Poi più di una ragazza in squadra si è am­malata ed è scoppiata l’emergenza Covid. Ma quando ci siamo ritrovate dopo quattro mesi, era come se ci fossimo viste il giorno prima. Questa uni­tà mi ha stupito e credo sia stata la car­ta vincente per tutto ciò che di buono è se­guito. Avere così tanta armonia in cor­sa non era scontato e ha fatto la differenza».
La bicampionessa del mondo Anna Van der Breggen è un’amica o un’avversaria?
«Fra noi c’è un anno di differenza, ab­biamo fatto lo stesso cammino, c’è sempre stato un rapporto particolare, grande rispetto. Per il suo matrimonio ha scelto una canzone italiana, una co­sa terribile, parlava di un amore finito. Le ho detto che non mi sembrava il ca­so, ma lei ha riso: a me piace, e co­mun­que non capirà nessuno».  
Il movimento femminile italiano continua ad andare forte. Ci sono tante giovani emergenti.
«Sono d’accordo. Stiamo crescendo in modo esponenziale, diamo il tempo di maturare alle promesse e a breve avremo una nazionale molto forte. Ragazze come Katia Ragusa, Marta Cavalli, Eli­sa Balsamo sono talenti puri che stanno crescendo bene e gradualmente. Mi fa molto piacere. A livello globale ci mancano visibilità mediatica ed esposizione. Servono più nostre gare assieme a quelle maschili e più immagini in di­retta. Le nostre corse sono combattute, non troppo lunghe, spettacolari».
A questo proposito, speriamo che l’anno prossimo si possa correre la prima Rou­baix “in rosa”.
«È un sogno che si avvera. Da una stagione mutilata doveva sbocciare qualcosa di buono, come un fiore nel deserto. Io al Nord mi difendo abbastanza bene (nel 2015 ha vinto il Giro delle Fiandre, ndr), la proverò senz’altro. So che si sta lavorando anche a un Tour de France femminile (dovrebbe veder la luce nel 2023, ndr). Sarei contentissima, sarebbe un palcoscenico grandioso, ma sto con i piedi per terra, finchè non lo vedo scritto nero su bianco non ci credo».
Con Filippo Ganna siete quasi vicini di ca­sa: tu sei di Ornavasso, 21 chilometri dal­la sua Vignone. C’è un “segreto” della vostra zona?
«L’aria buona! Negli ultimi tempi ci siamo scambiati molti messaggi, fino a dirci scherzando che non ne possiamo più di farci i complimenti per le vittorie. Battute a parte, con Pippo oltre alla terra di origine ho in comune una famiglia sportiva ma tradizionale. Ci hanno insegnato l’attitudine al sacrificio e al lavoro. Sappiamo che senza im­pegno non si ottiene nulla. Madre na­tura ci ha fatto belli forti, ma il resto lo dobbiamo ai nostri cari».  
Sei sorella dell’ex prof Paolo, 11 anni nella massima categoria a fianco di gente come Basso, Sagan e Nibali; figlia di Guidina Dal Sasso, ex azzurra nello sci di fondo con tre partecipazioni olimpiche, e Ferdinando, tecnico responsabile dei ma­teriali nella Nazionale sport invernali per cinque Olimpiadi. Cosa ti rende felice?
«Quando passo del tempo con i miei nipoti, i figli di Paolo. Anna, la maggiore ha iniziato la prima media, Marta ha 8 anni, Cristian 6, Pietro ne compirà 2 il prossimo marzo. I tre grandi corrono già, in bici, a piedi e con gli sci. Quan­do li porto in bici mi chiedono cose as­surde tipo: “zia, come si fa la volata?” E io che ne so? Sono così veloce che in un finale a due, rischio di finire ter­za...».
In questi tempi di Covid è difficile fare programmi, ma cosa hai in mente per il 2021?
«Teoricamente ricominceremo a correre a febbraio. Se, come speriamo tutti, si terranno i Giochi Olimpici, quelli sa­ranno il mio primo obiettivo: lavorerò sodo per essere selezionata per Tokyo. Un altro mio pallino sono le corse delle Ar­denne, per le quali voglio farmi trovare in palla. Non sono una da proclami. Non direi mai “vado e vinco”, ci so­no chilometri da percorrere e avversarie da battere. Mi auguro solo un an­no tranquillo per tutti. Spero che questa situazione si possa risolvere il pri­ma possibile, in primis per le persone che stanno male e che in ospedale si stanno prodigando per curarle. Per il nostro mondo spero si possa ripartire presto e in una pseudo normalità, an­che se realisticamente ci vorrà un po’ prima di tornare ad avere il pubblico a bordo strada».
Alla ripresa dell’attività promettesti spettacolo. Direi che ci sei riuscita.
«Quando è scoppiata la pandemia eravamo visti male da tutti. Io sono molto at­taccata al mio Paese, quando indosso la maglia az­­zurra mi vengono i brividi. No­no­stante mille contraddizioni, l’Ita­lia è il posto più bello del mondo. Ci siamo fermati, era doveroso farlo, ma spero che tutto il mondo si rimetta in moto. Me lo auguro perché mi sembra ancora di vivere in un posto molto di­verso da quello che abbiamo lasciato. Ritornare a pedalare all’aria aperta do­po il lockdown è stata un’esperienza forte, che mi ha permesso di vedere il mondo con occhi diversi. Sono andata subito in montagna, a cercare la salita, e ho visto un falco e altri animali che di solito non vedi vicino alla strada, è ba­stato sta­re lontani per un po’ e la natura è tornata padrona. Non siamo i pa­droni del mondo, siamo semplicemente degli ospiti. Abbiamo capito che con la tecnologia si può anche lavorare da ca­sa, magari non sempre, inquinare me­no, e perché no usare la bici. Noi atleti sia­mo un po’ degli alienati, viviamo in un mondo parallelo. Siamo inutili se ci pa­ragoni alle commesse del supermercato, che dovevano fare i turni anche nel pieno dell’emergenza. Agli autisti dei camion che dovevano portare i generi di prima necessità. Ai poliziotti. Ai me­dici e agli infermieri che salvano le vite. L’unica cosa che possiamo fa­re è emozionare le persone. E nel mio piccolo, continuerò a provarci».

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