di Pier Augusto Stagi
È stato uno dei volti più belli del Giro d’Italia. Diego Ulissi ha dato chiaramente l’idea di essersi divertito, e anche molto. Così facendo ha divertito anche tutti noi appassionati di questo sport fantastico che ha saputo reagire e arrivare fino a Milano nel rispetto delle bolle e di tutte le normative anti-Covid del caso.
Due tappe per portare il proprio bottino personale al Giro a quota otto in carriera, non male per questo ragazzo toscano che da qualche anno è di stanza in Svizzera. Due tappe e due fotografie ricordo, una più bella dell’altra. La prima ad Agrigento, nella quale entra Peter Sagan, mentre in quella di Monselice ci finisce la maglia rosa Joao Almeida. Due belle immagini che potrà gustarsi con le sue bimbe Lia e Anna e la moglie Arianna, quando tornerà a casa a Lugano, e per le quali potrà anche sfottere il suo grande amico Nibali, che nella “corsa rosa” di vittorie di tappa ne ha una in meno.
«Ma lo sai che tra i corridori in attività, mi precede solo il britannico Mark Cavendish con 15 affermazioni? - mi dice soddisfatto come pochi Diego al termine di un Giro per lui davvero felice -. Ho vinto due tappe anche nel 2014 e nel 2016, ma queste hanno avuto un sapore di gran lunga diverso diverso. Forse perché è un anno particolare; penso a tutte le vittime e alle famiglie che hanno sofferto: se siamo riusciti a regalare un momento di gioia ed emozione siamo davvero felici. Senza il lavoro fatto in salita non sarei mai arrivato a giocarmi la vittoria e Conti è stato il segreto delle mie vittorie. È stato fantastico, bravissimo a fare selezione, facendo saltare i velocisti. Ma prezioso è risultato anche Brandon (McNulty, ndr): mi ha dato un supporto fondamentale. In entrambe le volate sono stato lucido. Non mi sono fatto prendere dall’ansia di prestazione, ho fatto quello che dovevo fare con assoluta naturalezza. Anche a 31 anni mi sto regalando soddisfazioni. In squadra c’è una grande sintonia e amicizia, una situazione ideale, e io corro con felicità e leggerezza».
Ed è questo il vero segreto, Diego si è divertito. Ha trasmesso alla squadra e a chi gli stava attorno quella gioia di correre una gara che fino all’ultimo sembrava impossibile poter disputare e questo è stato poi il segreto del suo rendimento.
«Siamo un bellissimo gruppo, una squadra molto affiatata: dei veri amici disposti a darci sempre una mano», dice lui.
Diego è un uomo squadra, che mostra a tutti come si deve svolgere la professione del ciclista, ma sa anche sdrammatizzare, ridere e scherzare al momento opportuno.
«È fondamentale: guai prendersi troppo seriamente. Seriamente va svolto solo il proprio mestiere, perché i risultati non vengono per grazia ricevuta. Però, dopo, è bello trovarsi assieme per fare un po’ di bisboccia. A me piace molto ridere e scherzare, ce l’ho nelle corde, non ce la faccio a stare troppo serio, nonostante non sia più un ragazzino visto che ho 31 anni, ma quando sono qui mi sento come se lo fossi, la passione è la stessa, di differente c’è solo la conoscenza e la consapevolezza di quello che faccio. Sono un corridore che ormai sa quello che può dare e conosco discretamente il ciclismo, uno sport che adoro da sempre e solo con la passione posso affrontare con questa determinazione».
Alla fine il primo classificato della UAE è stato Brandon McNulty, un altro ragazzo del ’98, un altro giovane terribile che ha chiuso il suo primo Grande Giro in quindicesima posizione a 38’10” dalla maglia rosa.
«Secondo me ha disputato un buon Giro - ci spiega -. Ha fatto esperienza, ha capito certe dinamiche e soprattutto ha capito cosa significa correre un Grande Giro. Ha lavorato molto bene per la causa della squadra e ha provato anche a fare classifica. Insomma, ha preso le misure e, vista l’età, considero la sua prestazione molto buona. Certo, qualcuno mi potrebbe anche dire: ma Bernal e Pogacar alla sua età hanno vinto i Tour… Tutto vero, ma ognuno ha il suo tempo di maturazione. Ognuno segue il suo percorso. Loro sono dei fenomeni, dei predestinati, però sono delle eccezioni, ma Brandon non è da considerare assolutamente uno dei tanti, perché ha stoffa e in questo Giro appena concluso abbiamo potuto intuirlo, ma presto lo vedremo ad occhio nudo».
Diego ha chiuso la sua fatica in trentottesima posizione, a due ore e 6 minuti dalla rosa…
«Appena dietro a Nibali, Antonio però, non certo Vincenzo, anche perché è l’unico Nibali che mi potevo permettere. Ho preso la sua ruota e non mi sono più staccato», dice lui con quel sorrisino divertito che te la dice lunga su come sia Diego Ulissi e su come viva l’amicizia con Vincenzo.
«Sì, lo so, lui ha vinto due Giri, un Tour e una Vuelta… ma lui ha pazienza, io sono più ansiogeno. Cosa volete che vi dica: io sono uno che brucia le tappe».
E le sa anche vincere.