Geoghegan Hart e il Giro: il piano di mister T.

di Giulia De Maio

«Se sto sognando, non svegliatemi». Il giorno dopo essere stato celebrato sul podio di Milano e aver fatto piangere chiunque, Tao è ancora incredulo: ha vinto il Gi­ro d’Italia. Per realizzare che è successo davvero deve stropicciarsi gli occhi e toccare quella maglia rosa che profuma ancora di spumante. Quella che ha in­dossato un giorno solo, quello decisivo. Quella che ha strappato a Jai Hin­d­ley, dal quale al via della crono finale lo separavano 86 centesimi di secondo. Una sostanziale parità mai vista e che solo in un anno folle come questo avrebbe potuto verificarsi dopo 3.345 km percorsi dal sud al nord Italia.
A rassicurarlo che non sia un miraggio è il Trofeo Senza Fine su cui svetta il suo nome inciso sotto alla scritta 1° classificato 2020: Geoghegan Hart. T, chi gli vuole bene lo chiama da sempre così, è un ragazzo cool e gentile, che nelle ultime tre settimane ha cambiato dimensione, rivelandosi al mondo e sovvertendo con i suoi compagni di squadra la sorte che, ancora una volta, sembrava aver frantumato le ambizioni della formazione di Dave Brailsford nella corsa a tappe più dura nel Paese più bello del mondo.
La maglia rosa, sette vittorie di tappa e il successo nella classifica a squadre. Niente male il piano B della Ineos Gre­nadiers che, con una squadra di fenomeni, ha issato sul trono questo campioncino pel di carota. Secondo inglese dopo Chris Froome a vincere la corsa rosa, l’unico ad indossare il simbolo del primato solo l’ultimo giorno in 103 edizioni. In saccoccia anche i successi di tappa a Piancavallo e Se­strie­re, oltre alla maglia bianca di mi­glior giovane.
«Neanche nei miei pensieri più sfrenati avrei immaginato tutto questo» confida il primo londinese di sempre a trionfare nella corsa organizzata da RCS Sport, che avevamo conosciuto un an­no fa al Tour of the Alps, dove alzò per la prima volta le braccia al cielo tra i professionisti.
Tifoso dell’Arsenal, fresco dell’aver re­staurato un camper Volkswagen West­falia degli anni ’70, originario di Hack­ney, Nord-Est di Londra, Tao conferma che «una nuova generazione nel ciclismo è arrivata, ci sono un sacco di giovani super-talentuosi».
Ama la cultura “mod”, il modernismo che si sviluppò a Londra tra gli anni ’50 e ’60. Ha un look innovativo e curato, ascolta musica beat, apprezza l’abbigliamento italiano degli anni Sessanta e gli scooter di casa nostra co­me Vespa e Lambretta. Nel team fa da collante tra il gruppo inglese e quello sudamericano per la forte amicizia che lo lega ad Egan Bernal.
«Al traguardo della crono non vedevo l’ora di abbracciare Hannah. Forse adesso non sono più il secondo migliore ciclista di casa» scherza dopo aver baciato la findazata Hannah Barnes, 27enne della Canyon Sram, con la quale ha trascorso il lockdown nel loro appartamento di Girona. Lei adesso è incredula quanto il suo Tao, sa quanto vale questa vittoria ma è certa che il successo non lo cambierà. Resterà il ragazzo che l’ha fatta innamorare anni fa, che le cucina le uova all’avocado di cui va ghiotta, ma anche i cannelloni ai funghi con spinaci e il cous cous vegetariano, sono questi i piatti forti di un ragazzo che ama le crostate, i viaggi ed è legatissimo alla famiglia.
«Le domeniche per me saranno sempre quelle spese a giocare a pallone nei campetti e ad andare con il mio vecchio e mio fratello al mercato di Brick Lane. In fondo questa è solo un’altra domenica. Non vedo i miei cari da 10 mesi, ma tutti sono sempre con me» aveva twittato prima di scendere in strada per la crono della vita. Non ha dovuto prendere in prestito le gambe del compagno Filippo Ganna, campione del mondo di specialità, come aveva scherzato, il numero è riuscito a farlo mulinando veloci le sue.
E mentre lui rifilava 39” al secondo arrivato, il suo idolo giovanile Bradley Wiggins, il primo britannico a vincere il Tour e con il quale presto potrebbe condividere il titolo di Sir, aveva pubblicato una lettera di grande impatto. «Hai già mostrato il tuo talento, mi hai superato in tante cose. Fermati a riflettere un attimo su tutto questo. Sei mo­desto, bello da vedere in bici, simpatico. Sono orgoglioso di te. Sei una su­perstar, sei l’idolo di mio figlio quindicenne. Un giorno ti ricorderai del tuo vecchio amico Brad, e gli offrirai una birra» ha scritto il baronetto a cui T si è ispirato fin dalle prime pedalate.
«Durante la crono mi sono concentrato sul dare tutto. Solo quando dall’ammiraglia Matteo Tosatto mi ha urlato di non prendere troppi rischi nelle ultime curve ho cominciato a pensare che la maglia rosa era vicina. Sono orgoglioso di fare parte di un decennio incredibile per il ciclismo britannico» racconta an­cora sopraffatto dall’emozione, dopo aver ringraziato anche l’altro diesse italiano del team, Dario David Cioni.
Axel Merckx, che lo ha cresciuto come ha fatto con Almeida, Guerreiro e tanti altri protagonisti dell’attuale World Tour, è commosso. T gli è rimasto talmente legato da non dimenticarsi mai di Athina Grace, la figlia minore di Axel che sta lottando contro un tumore.
«Mi ha dato una prospettiva che solo lui poteva avere. Gli sarò sempre grato e debitore» ribadisce Tao, che per sostenere la piccola nipote del grande Eddy le invia spesso video e messaggi di incoraggiamento via WhatsApp.
Si gode il momento, Tao, mentre papà Tom corre tra le transenne che blindano Piazza Duo­mo. Muratore e co­struttore emigrato nel sobborgo londinese di Hackney alla fine degli anni Ottanta per cercare fortuna, gliel’ha regalata il più grande dei suoi cinque figli.
«È stato un anno difficile per chiunque, il mio desiderio ora è rivedere la mia famiglia, sedermi a tavola con tutti nella nostra casa pazza, con il mio fratellino che non riesce a stare un attimo fermo. Me li godrò dopo tanto tempo in cui siamo stati costretti a re­stare distanti. Per un po’ basta riso a colazione e pasta in bianco due volte al giorno».
Non è sempre stato tutto rosa e fiori per Tao, anche questo lo ha portato ad avere la forza che dimostra oggi.
«I miei genitori si sono lasciati quando ero piuttosto giovane, sono sempre stato abituato a prendermi cura di me stesso. Mio padre lavora 16 ore al giorno. Se riesce a fare questo sforzo senza che 60 persone si occupino di ogni suo capriccio, senza un massaggio quotidiano per alleviare lo stress, beh, io credo di poter sopportare la fatica del ciclista. I sacrifici non mi pesano, amo il mio stile di vita e voglio mantenerlo».
Nauseato dal calcio (era magrolino com’è oggi, 1.83 m per 65 kg, e finiva sempre in panchina), T a 13 anni prova con il nuoto: anche lì non è un vincente ma la sfrontatezza di un ragazzino che si tuffa nelle gelide acque della Ma­nica per attraversarla a staffetta colpisce Keir Apperley, coach dell’Hackney Cycling Club che lo trova “tre volte più maturo e capace di concentrarsi rispetto ai mocciosi della sua età, perfetto per il ciclismo”.
«Da bambino la bici la usavo solo co­me mezzo di trasporto (la prima che utilizzò fu una Fixie Francesco Moser, ndr), ho scoperto che era uno sport a 13-14 anni quando grazie alle due ruo­te ho iniziato ad avventurarmi fuori dalla città. Anche se le strade che trovavo erano per lo più pianeggianti e non con salite emozionanti come quelle che ho scalato al Giro, ho assaporato la libertà e il piacere della scoperta, mi sono innamorato subito del ciclismo. La prima gara a cui ho partecipato era all’Herne Hill Velodrome, costruito per i Giochi Olimpici del 1948» racconta tornando indietro con la memoria a quando lasciò la scuola di Stoke Newington e si guadagnava quache sol­do come saturday boy nello shop Con­dor Cycles.
Il capo coach della Bristish Academy Keith Lambert capì che “il perfezionismo e le energie che Tao sviluppava dalla frustrazione per le sconfitte erano benzina per il suo motore”. La sua prima volta in Italia ha una data precisa: 6 settembre 2009. In Valbormida, per la precisione ad Osiglia, in provincia di Savona, va in scena il 9° Me­mo­rial Giancarlo Delbono, quinta tappa del Tour Maglia Gialla Mar­chisio Bici. Una prova amatoriale aperta a tutti alla quale partecipano anche quattro ragazzini venuti dalla Gran Bretagna: grazie ai generosi finanziamenti dello Stuart Feakins Trust e all’ulteriore sostegno dello Youth Op­portu­nities Fund, il Cycling Club Hackney ha organizzato un viaggio di quattro giorni con risultati davvero significativi. Tao aveva co­minciato da pochi mesi la sua avventura ciclistica, finì 31°.
Serge Pauwels, che oggi corre per la CCC, ha ricordato un episodio di gennaio 2010. Quando fu lanciato il Team Sky a Londra un 14enne gli chiese una foto e gli raccontò che aveva da poco vinto una corsa. Era così orgoglioso di potersi unire ai professionisti del Team Sky per una pedalata nel centro di Lon­dra. Quello stesso ragazzo, a 25 anni, a ottobre 2020 ha vinto il Gi­ro d’Italia. Era a bordo strada durante il prologo del Tour 2007 a Londra e la corsa in linea dell’Olimpiade 2012. La pista l’ha praticata come tutti i giovani ciclisti britannici ma non gli ha mai rapito il cuore, T ha da sempre dimostrato una predilezione per la strada.
Negli anni successivi T per mantenersi trova un finanziamento dalla Dave Rayner Foundation. Gareggia una stagione anche in Italia per assorbire la nostra cultura, da junior vince il Giro della Lunigiana nel 2013 - «una delle corse più belle che abbia mai corso perché permette un confronto internazionale unico a quell’età» ricorda con piacere - e il Trofeo Piva tra i dilettanti nel 2016. È anche terzo nella Roubaix e sale due volte sul podio della Liegi-Bastogne-Liegi Under 23. A 18 anni inizia a correre per Axel Merckx, figlio del leggendario Eddy, che per lui ha solo parole al miele.
«Tao entra nel cuore di tutte le persone che hanno la fortuna di incontrarlo, per la bella persona che è non può lasciare indifferenti. Questa è la sua qualità mi­gliore».
Non a caso all’ombra del Duomo ha ricevuto abbracci e complimenti sinceri da parte degli ex compagni Almeida e Guerreiro. L’ex prof belga sapeva che T sarebbe diventato un uomo da grandi giri: «Le qualità le ha sempre avute, ma nulla è scontato né facile. Non ha iniziato il Giro per vincere ma per so­stenere Geraint Thomas. Tuttavia era pronto a cogliere la sua opportunità e quando G è caduto l’ha afferrata  fino in fondo. È questo che lo rende così eccezionale. Probabilmente ciò di cui sono più orgoglioso, durante il tempo che ho lavorato con lui, è che sarebbe potuto passare al Team Sky un anno prima di quanto ha fatto nel 2017, ma ha deciso di rimanere con noi. È venuto da me e mi ha chiesto, francamente: “Cosa dovrei fare?”. So­no sempre onesto con i miei corridori, quindi ho detto: “Questa è un’enorme opportunità, ma penso che sia un anno troppo presto. Sei un buon atleta, hai ottenuto dei buoni risultati, ma non hai ancora vinto davvero nulla. Non hai dimostrato a te stesso di poter essere un vero leader. Se passi in una squadra del genere, lo devi fare per diventare un potenziale capitano”. Mi ascoltò» ha raccontato il figlio di Eddy al The Guardian.
«Tao ha una testa matura su spalle giovani. È più vecchio e più saggio della maggior parte degli uomini, compreso a volte del sottoscritto. Siamo molto vi­cini e parliamo quasi tutti i giorni. Po­trebbe succedere qualcosa di brutto nel­la tua vita, proprio nel bel mezzo di una grande gara, e sarà lui a contattarti per chiederti: “Come stai? Stai bene?” Ha una buona anima e un buon cuore. Quindi, per me, aveva già vinto una maglia rosa».
Il suo allenatore e mentore dal 2014 al 2016 non ha dubbi per il futuro.
«Coglierà ogni opportunità che gli si presenterà. Ha il potenziale per vincere più Grandi Giri. Una volta vinto uno, non c’è motivo per cui non puoi farlo di nuovo».

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