Scripta manent
Caro Cassani, grazie per quell'Hushovd...

di Gian Paolo Porreca

aro Cassani,
la ringrazio affettuosamente, per la sua cronaca dal Tour de France, di domenica 11 luglio. Ottava tappa del Tour, da Lamballe a Quimper.
La ringrazio, in calce ad una frazione piana, non destinata affatto alla gloria, mica era una tappa pirenaica od alpina, tantomeno una cronoscalata palpitante - e neppure una lunga volata da consegnare alla bacheca di qualche sprinter italiano strappacuori -, per avermi restituito vivo un gusto sottile e prezioso.
Quello della fantasia, che può ancora albergare in chi il ciclismo - e semmai lo sport, in assoluto - lo vede, o dovrebbe rigidamente vederlo, da un asettico pulpito professionale.

Tante parole - queste - per dire che mi ha colpito, ed intenerito, quella sua tenace sponsorizzazione, dai trenta chilometri dall’arrivo fino alla rampa finale, di Thor Hushovd, come vincitore designato a Quimper.
Vede, ho intuito in quelle sue valutazioni, sostenute certamente dal corredo di un tecnico attento che le è proprio, quel nonsochè di simpatia, di riguardo particolare verso il potente corridore norvegese, quella magìa impalpabile di «feeling»‚ che concilia la verità agonistica con l’animo sempre romantico dell’appassionato.

Hushovd, un certo Hushovd, non solo perché atleta forte, potente, adatto ad un arrivo in salita di progressione, così da ingoiare Kirchen e quanti altri mai, ma perché in un «Hushovd» c’è anche un po’ di noi, e della nostra irredenta vocazione al sogno.
Evitiamo la desueta lezione di un poeta non obbligatorio di nome Giovanni Pascoli e quella sua filosofia del «fanciullino»‚ che resterebbe la parte migliore di noi: anche nel nostro vivere adulto. Ma quel suo, Cassani, sospingere sportivamente Hushovd, quel suo scommettere in fondo di cuore su un vincitore, ci ha rammentato curiosamente quel pronostico azzeccato solo in quarantaquattro - su diecimila schede o giù di lì - al concorso de La Gazzetta dello Sport «Chi vincerà la Milano-Sanremo?»‚ del ’77. E pensare che fra i quarantaquattro vincitori nel nome allora di Jan Raas c’era pure - si può dire - un giornalista di rango come Beppe Conti, oltre al sottoscritto.

Caro Cassani, quel suo affacciarsi affettuosamente sul nome di Hushovd sarebbe stata per noi, pure nel luglio 2004, l’ennesima e sempre bene accetta conferma che di sport - e di ciclismo - si ringiovanisce: non si vive, avanzando negli anni, solo.
Noi che abbiamo spinto in una esistenza da perenne fuggitivo l’elegante Fornara ed il solitario Le Dissez, l’effimero Grosskost ed il ruvido Raas, la elogiamo oggi per quella spontaneità - non dovuta - del pronostico. Ed anche noi ci siamo trovati così a tifare con lei per il poderoso campione norvegese della Credit Agricole.
Perché sicuramente anche lei, se ci fosse stato, in corsa o al microfono, in quel lontano sabato di marzo ’77, ci avrebbe dato una spinta affinchè Jan Raas, nella discesa del Poggio, scampasse indenne alla caccia famelica di De Vlaeminck e Moser...
E perché il gruppo, si tratti dell’allungo di Raas nel ’77 o della progressione di Hushovd nel 2004, sembra dimostrarci talvolta una generosa, quasi religiosa, convalida dei sentimenti.

Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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