Svecchiamoci
di Gian Paolo Ormezzano
Dopo la saga primaverile delle corse dette “monumento”, chissà se è sacrosanto o blasfemo chiederci se il ciclismo, per difendersi dalla concorrenza di altri sport con la loro spettacolarità autentica o fasulla, e però innegabile secondo i parametri atttuali di questo (s)porco mondo, deve puntare sul suo antiquariato o decisamente farsi nuovo.
Secondo chi scrive ci si deve/può porre la domanda, a costo di apparire iconoclasti. Magari approfittando del Ghiro d’Italia in corso e in corsa, propizio a coltivazione di buoni sicuri cari antichi sentimenti di affetto per il ciclismo, roba vecchia ma tenera e almeno in certi giorni non sdatata. E andare avanti con un quesito d’avvio, magari imbarazzante ma sicuramente doveroso: siamo certi che la definizione di corsa monumento sia a) capita da tutti, b) un buon affare anche soltanto presso chi la capisce? Dire monumento ormai suggerisce anche tarli, screpolature, sgretolamenti, se non crolli. E vecchiume, comunque.
Questo sul piano di considerazione diciamo materiale, con però collusioni e diramazioni eccome sul piano morale: la storia ha innalzato ma poi abbattuto e sbriciolato tanti monumenti, altri sono sì stati lasciati in piedi ma soltanto per meglio convogliare esecrazione o almeno revisione e critica. Quasi tutti i monumenti poi hanno patito l’erosione morale del tempo, o quanto meno la pesantezza di una datazione sempre più greve e polverosa.
Se poi addiveniamo ai parametri moderni di successo, popolarità, diffusione e automatico conseguimento di interesse anche se non soprattutto soltanto materiale, rischiamo di scoprire che l’uso della parola “monumento” viene sconsigliato da qualsiasi pubblicitario rampante, da qualsiasi esperto di pubbliche relazioni (denominazioni di specialisti vecchie, ormai, sta nascendo un nuovo lessico legato al web, all’influencer, al follower e via inglesizzando).
Ora una domanda doverosa deontologicamente, almeno per gli adepti residui del giornalismo antiquo, anche di costruzione e non mai di sadica comoda distruzione: che fare o meglio cosa dire, come definire le corse monumento? Ma attenzione: non parliamo qui, come invece abbiamo fatto altre volte, di revisione lessicale del ciclismo, nella poetica e nella pratica, alla luce dei tempi nuovi, di sua pubblicizzazione moderna dicendolo e spiegandolo come sport diffusissimo nel mondo - coinvolti cinque continenti su cinque per dodici mesi su dodici di attività - e pazienza se uscito dal nostro glorioso ma diroccato villaggio italo-franco-belga (quello delle corse monumento, toh), delle sue valenze ecologiche e salutistiche, delle sue invitanti e disinquinanti innovazioni tecnologiche... Parliamo invece più sommessamente di piccolo cabotaggio lessicale, di slogan per l’uso di ogni giorno, di parole e frasi del genere chiamato tormentone, onde stare ai tempi nuovi del dire e dello scrivere. Ha senso ancora parlare di inferno del nord, di corsa al sole, di corsa delle foglie morte, di percorso (olandese) a tutta birra, di battaglia delle Ardenne, di collinette chiamate muri, di tortura del pavé?
Dicono che a suo tempo venne scomodato Gabriele D’Annunzio per stabilire se automobile era parola maschile o femminile, e il vate la fece donna (almeno per l’idioma di Dante). Magari adesso sarebbe il caso di trovare termini più moderni di monumento per una corsa vecchia che però propone temi eterni come la fatica e temi nuovi come il mezzo meccanico speciale, tecnologicamente assai avanzato, o anche la nuova meccanica speciale del corpo umano. Scomodando i D’Annunzio che troviamo.
E così, tanto per dire e scrivere, scherzando proponiamo solennità e dissacrazioni e irriverenze e allegrie nuove anche se non soprattutto per monumentali corse vecchie: Parigi-Roubaix sagra del Parkinson per via dei tremiti comandati ai pedalatori dai cubetti di porfido di Napoleone III, Milano-Sanremo con il suo archimedico punto di apPoggio, Liegi-Bastogne-Liegi col suo mal di panzer (il monumento bellico al giro di boa), Giro di Lombardia così bello quando fa brutto, Giro delle Fiandre quando il gioco si fa muro…
(continua; o no?)