Rapporti&Relazioni
Il giro dell'Italia

di Giampaolo Ormezzano

Molto per tempo provo a proporre alla Rai o a chi per essa un progetto nuovo di accompagnamento al Giro d’Italia 2005 e 2006 e avanti. La certezza di non trovare attenzione e corrispondenza anche parzialissima di idee è pari alla mia convinzione che, se si ritiene di avere buone idee a pro di una creatura amata e si ha uno strumento per palesarle, tenersele dentro è peccato mortale. La proposta nasce da una certa esperienza, nata da ventotto edizioni della corsa rosa, anche nel settore fuori dalla stampa scritta: per esempio un intero Giro d’Italia nell’équipe del Processo alla Tappa, in quell’edizione (anno 1999) affidato a Claudio Ferretti e a Gianni Ippoliti, con la collaborazione fissa appunto del sottoscritto. La stiliamo con un anticipo di quasi un anno sul prossimo Giro d’Italia, casomai qualcosa potesse servire a qualcuno.

Dunque: pretendere che il Giro d’Italia conquisti le folle con le sue proposte sportive e soprattutto sperare che, in caso di grandiosa validità di queste proposte, la televisione se ne accorga e si sensibilizzi nella maniera giusta, sensibilizzando poi il suo popolo, è cosa assolutamente utopistica. Per la televisione un gol di Totti su palla balordamente rimpallata vale molto ma molto di più di una sublime scalata al Mortirolo. Persino se uscisse fuori un altro Pantani non ci sarebbero santi: la televisione ci andrebbe cauta, per timore anche di un nuovo pasticcio da doping o cose così. Il Giro d’Italia ormai ha o dovrebbe avere una valenza di contrasto con il comune andare delle cose, non di accompagnamento ad esso. Non è più né complementare né supplementare, è un pianeta a se stante, un “coso” anomalo, libero, sciolto.
La radiotelevisione ha tentato regolarmente di accoppiare al Giro d’Italia classiche rubriche di contorno e approfondimento, facendo ricorso a presentatori sportivi e non, e pagando il regolare dazio di reportage sulle produzioni locali, sulle situazioni ambientali. Ha cercato persino di fare dell’enogastronomia, e alla fine si è constatato che si trattava quasi sempre di marchette, per favorire questo o quel potente o potentato locale, questo o quel prodotto sponsorizzato.

Il punto è che si presenta il Giro d’Italia come se fosse proprio il giro dell’Italia. E bene o male tutti sappiamo o crediamo di sapere come l’Italia è: anche perché siamo noi che la facciamo. Invece bisognerebbe presentare il Giro d’Italia e il conseguente giro dell’Italia come una cosa anomala, strana, magica, e pazienza se anche folle, assurda. Però reale.
La premessa potrebbe essere questa: il fatto che alcuni uomini si ostinino ogni anno a circumpedalare il loro paese, faticando come cani per guadagni risibili a fronte di altri guadagni dello sport, ha in sé una valenza straordinaria. Intorno a questa impresa demenziale ma interessante si deve rintracciare una situazione globale demenziale ma interessantissima. L’assurdo è far parlare secondo logica, alla fine di una tappa del Giro cioè di un atto di demenza altamente poetica, un corridore, un medico, un giornalista, un tecnico, quando non addirittura un personaggio famoso ancorchè estraneo al cosiddetto contesto, significa distruggere l’essenza poetica e non metterci niente al posto. Il Giro d’Italia dovrebbe essere, nel dopotappa che in fondo è il vero show, il giro dell’Italia conseguente: dunque apertura a quei grandi uomini che sono i matti del paese, apertura al gossip assoluto perché genuino e non strumentale, il gossip di paese, quello di cui non frega niente a nessuno, il pettegolezzo su una barista, non su una diva piombata a raccattar occhiate nella carovana. In quel nostro Giro del 1999 Gianni Ippoliti con le sue scenette riusciva a far credere persino ai suoi amici romani che lui aveva fatto fare la pace a due famiglie divise da decenni di faida sanguinaria dopo una discussione sul primato della pasta corta o della pasta lunga. In Italia esiste in abbondanza questo teatrino permanente, basta saperlo proporre e la gente, stufa del teatraccio consueto, magari ad esso si vota.

Un giro dell’Italia che non sa chi sia Del Piero, non un Giro d’Italia sperando che un Del Piero arrivi da curioso a vedere una tappa e si conceda alle telecamere. Un giro dell’Italia dove ci sono ancora dei bambini nelle strade e questi bambini sono certi che la maglia rosa li ha salutati. Un giro dell’Italia superstite alle telenovelas, alle soap opere, a Bonolis versus Striscia, alla costanza della presenza di Costanzo. Un giro dell’Italia che sa per certo che i ciclisti fanno l’amore soltanto con le loro donne, ognuno con la sua, e soltanto tre volte l’anno, e che non sono da biasimare per questo, anzi. Un giro dell’Italia di quel che resta degli ospedali psichiatrici, delle comunità di handicappati che qualche infermiere o qualche suora allinea ai bordi delle strade, un giro dell’Italia che non ha ancora capito niente dell’euro.

Nel suo contorno televisivo il Giro tradizionale vuole proporre all’Italia i suoi punti di contatto con l’attualità, la fama, il popolare, il popolaresco. Sai la festa quando viene agganciato un artista celebre, un’attrice nota, una cantante famosa, un calciatore importante. Su questo piano il Giro però è a priori battuto dalla più squallida cucuzzata del pomeriggio. Per non dire poi di quando il ciclismo del Giro si ammanta del lessico del calcio e di un po’ tutto lo sport di vetrina, e allora ecco le motivazioni, le strategie, le ipotesi contrattuali, le tattiche, la condizione, il condizionamento, l’orrendo bla-bla-bla dell’ultimo giornalismo scritto o parlato. Una gran barba, nella migliore delle ipotesi. Intorno al palco dell’arrivo e poi al territorio del processo staziona un’umanità di artisti della vita comune, se non di attori, ognuno detentore di una fantastica storia personale. Da sfruttare. Invece niente, si è imprigionati dentro il Giro, si deve prevedere cosa accadrà il giorno dopo, cosa promette o minaccia l’altimetria. I grandi attori o comunque artisti della vita comune sono lì, a due passi, basterebbe andarli a prendere e sbatterli sotto le telecamere, e invece ci sono i solerti uomini della Rai che invitano il pubblico a fare silenzio mentre si parla di Cipollini anziché di cipolle.
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