di Valerio Zeccato
La prima vittoria non si scorda mai. Così si dice e così è. Simone Consonni, bergamasco nato a Ponte San Pietro il 12 settembre del 1994, da dilettante era abituato a vincere (tricolore su strada Under 23 e più volte campione italiano anche su pista), passato professionista nel 2017 con la UAE Team Emirates non aveva ancora assaporato il gusto di alzare le braccia al cielo. La ruota veloce del team guidato da Beppe Saronni, dopo esserci andato vicino in diverse occasioni, ha rotto il ghiaccio nella prima tappa del Giro di Slovenia, da Lendava a Murska Sobota, mercoledì 13 giugno. Con una robusta volata delle sue, Simone si è messo alle spalle due velocisti che di esperienza ne hanno di sicuro più di lui: Matteo Pelucchi e Niccolò Bonifazio. Ed è anche andato vicinissimo al bis alla nuova corsa a tappe Adriatica Ionica Race, dove nella seconda frazione da Lido di Jesolo a Maser è stato superato solo da un certo Elia Viviani, un velocista che non ha certo bisogno di presentazione e che in quella corsa ha fatto filotto.
Che sensazione ti ha regalato la prima vittoria?
«Tanta roba! Quando vince una volata, uno sprinter si sente addosso un’adrenalina incredibile subito dopo aver tagliato il traguardo. È indescrivibile! La vittoria mi è mancata tanto da quando sono passato tra i prof e ritrovarla è stato bellissimo».
In un flash cosa ricordi di quella volata?
«Ricordo tutto molto bene: ci ho pensato e ripensato chissà quante volte. L’ho rivista in televisione solo un paio di volte, ma nella testa c’è tutto il film dei metri finali. Sono stato bravo, forte e fortunato. Ogni volta che ti butti in uno sprint, per vincere devi avere almeno un pizzico di fortuna con te, altrimenti non c’è niente da fare. Per vincere devi trovare il varco giusto, non ti deve capitare nulla, niente sbilanciamenti o altro, e devi fare la scelta giusta nel risalire il gruppo dalla parte in quel momento più favorevole. Quel giorno in Slovenia era la prima tappa e tutti sono andati piano, anche perché il circuito era molto pericoloso. E la fortuna mi è stata vicina in quanto nella caduta poco prima di iniziare la volata mi hanno toccato la spalla ma non sono finito per terra: mi sono salvato per una questione di centimetri...».
A chi hai dedicato il successo?
«La prima vittoria è difficilissima da dedicare: ci sarebbe un sacco di gente da ringraziare, tutti quelli che hanno fatto il cammino con te. La prima l’ho dedicata a me, alla mia famiglia e alla mia fidanzata Alice. Così non faccio torto a nessuno».
Come si sta dopo aver rotto il ghiaccio?
«Vivo non dico con tranquillità, ma sapendo che comunque un traguardo tra i prof sono riuscito a farlo mio. Prima di passare dai dilettanti ci pensavo e mi sembrava un traguardo lontano... Vincendo, è chiaro, acquisti autostima e morale e tutto va meglio».
Tanto meglio che nella seconda tappa dell’Adriatica Ionica Race sei andato vicinissimo al bis.
«Ma ho trovato sulla mia strada Elia Viviani che in questo momento, secondo me, è il più forte velocista al mondo. Lo dimostrano i risultati, le vittorie. Elia è fortissimo e ha una testa impressionante, ha una squadra forte ma devi essere bravo tu a saperla gestire. E in questo lui è grandissimo».
Tanta stima nel velocista principe della Quick Step Floors o qualcosa in più?
«Elia lo conosco da tempo, è da parecchio che ci ritroviamo in pista e ho tantissima stima di lui, ma c’è anche l’amicizia tra noi. Ho ancora una cartolina che mi aveva mandato nel 2012 con la dedica e la conservo gelosamente. All’Adriatica, il giorno della sua vittoria e del mio secondo posto, ci siamo sentiti dopo la corsa. Poi abbiamo scherzato molto alla partenza visto che lui aveva la maglia di leader della classifica e io quella rossa della classifica a punti, che in realtà era di Elia che era davanti a me come punteggio. Di Viviani ammiro la professionalità e la voglia di arrivare: è una cosa che mi ha trasmesso. Faccio un esempio: Sagan è un grandissimo ma è un fenomeno naturale, Elia si è costruito giorno dopo giorno, con tanta applicazione, testa e lavoro. Mi piacerebbe seguire le sue orme, e lavorerò a fondo per riuscire a farlo, anche se arrivare ai suoi risultati è difficilissimo».
Hai iniziato a gareggiare nel 2000 con i Giovanissimi a Brembate di Sopra, sono passati 18 anni e ora vinci tra i professionisti. Ci hai mai pensato?
«Sì, mi rendo conto che sono passati tanti anni e che ho realizzato un sogno. Ma, come dico sempre, penso di essere stato fortunato: il mio percorso nel ciclismo è stato lineare. Nel senso che in ogni categoria ho avuto la fortuna di avere accanto persone che in quel momento andavano benissimo, che non mi hanno mai fatto pesare il ciclismo, che non mi hanno mai chiesto chissà quali risultati. Per me almeno fino agli juniores è stato tutto e solo un gioco: non ero sfegatato del ciclismo, non correvo a casa a vedere le corse in televisione».
E dopo una stagione e mezza tra i professionisti, Simone Consonni ha capito qual è il suo posto?
«Di sicuro c’è che mi sono fatto l’idea che devi essere tu fondamentalmente a capire quale può essere la tua dimensione. Sono passato con l’etichetta di chi doveva fare risultato, di chi tra i dilettanti vinceva ed era anche stato campione italiano. Ci si aspettava molto, ma quando passi dall’altra parte cambia tutto. È brava la squadra a farmi fare un certo tipo di corse, a chiedermi di lavorare quando devo lavorare, ma anche a darmi delle responsabilità. Mi sto riscoprendo ed è chiaro che vincere o arrivare vicino alla vittoria battuto da fuoriclasse come Viviani, ti fa molto piacere e ti fa crescere. Dipende da tante cose: ad esempio io preferisco le volate un po’ dure, non amo i lunghi rettilinei tutti piatti. E penso anche di essere più portato a lanciare le volate, o alcuni tipi di volate, che a farle in prima persona».
Simone Consonni è all’inizio del suo sogno. Ha solo ventitré anni ma è già saggio. La vita sta cambiando, pedalata dopo pedalata, e non solo nel ciclismo.
«Vivo ancora a Brembate Sopra, ma tra un paio di mesi prendo casa a Lallio, sempre vicino a Bergamo, e andrò a vivere con la mia fidanzata Alice. Un altro passo importante...».