Scripta manent
Quella bici chiamata desiderio...
di Gian Paolo Porreca

Abbiamo un sogno, in cima a quelle domeniche estenuate di fine luglio e primo agosto. Abbiamo un sogno, poniamo, dopo la vittoria di Simoni sui Pirenei ed i ritiri diversi nei giorni immediatamente precedenti di atleti come Di Luca e Caucchioli, come Stefano Garzelli, come lo stesso napoletanino Ferrara, esordiente ultimo tenacissimo fino alla resa prima del Col de Mente... Abbiamo un sogno, poniamo, in calce alla dedizione pure per un tipo come Virenque di un campione d’Italia quale Bettini ed alla dichiarazione di Andrea Peron, «sono sceso dal Portet d’Aspet con i brividi, pensando a Casartelli ed attaccando nel suo nome»...

Abbiamo un sogno, come se avessimo un’altra volta dieci anni e potessimo così festeggiare in solitudine i nostri primi 50 anni di Tour de France: che al martedì, in edicola, non ci siano più solo rotocalchi che parlino di calcio e motori, ma spunti un’altra volta Lo Sport Illustrato, con quelle sue storie, quei suoi resoconti che avvicinavano il Tour lontano a chi i Pirenei e Clemont Ferrand, nella vita, non li avrebbe mai visti. Già, e non ce ne era in fondo necessità sentimentale alcuna, per quei ragazzi che i Pirenei li affrontavano mattina dopo mattina, al paese, sulle strade del giorno. Quella erta secca lì era il Tourmalet, quella più semplice l’Aubisque, quella più lunga, un pò come il suo nome, lo chiamavamo Peyresourde...
Abbiamo un sogno, confrontando i quotidiani di oggi con le raccolte de Lo Sport Illustrato degli anni ’60 e valutando lo spazio che era allora dato al ciclismo e che oggi a questo sport viene ignobilmente tolto, che sia un sogno, per meglio dire un incubo, questo target sportivo che viviamo o che ci viene proposto oggi! Allora, l’apertura, le prime dieci pagine - Giardini, De Martino, Raschi, cerri, Negri, Rota - venivano dedicate al Tour, fra cronaca ed illazioni, curiosità e personaggi: e poi c’era la spazio per tutto il resto, cominciando dal calcio e dalla sua - citiamo de visu - «L’assurda borsa dei reingaggi nel calcio». Ed in coda, giusto posto di valore, per i motori.
Oggi, senza pudore ed ovviamente senza la cultura e la pretesa che una copia che sia una ambisca ad essere conservata e riletta cinquanta anni dopo, assistiamo a questa incredibile, cronicizzata inversione di tendenza, per cui Barrichello e lo stesso nuoto precario/elitario di Rosolino invadono le prime pagine di vanità e Simoni - cfr, La Gazzetta dello Sport di lunedì 21 luglio - si merita solo quel box che non si nega, gioco forza, a nessuno. Nemmeno a Gaucci.

Abbiamo un sogno pure velleitario, in quell’attesa godotiana che ritorni Lo Sport Illustrato e semmai un Tour per squadre nazionali ed i regionali francesi e l’Olanda-Lussemburgo ed il Nordafrica ed i Cadetti e qualche sconosciuto che nell’immaginario perenne si conquisti l’affetto che resta a noi per Hassenforder. Il sogno, non fa niente se un pò accidioso, che le rubriche delle Lettere al Direttore di certi giornali siano almeno invase dalle proteste di appassionati di ciclismo che si lamentino del trattamento malamente riservato dalle parti nostre a questo sport, ed al Tour nello specifico. (Senza l’obbligo di essere francofoni e restare ammirati di come sontuosamente L’Equipe stia cesellando il Tour dei 100 anni: credeteci, guardatela, è un’opera sinfonica in parole stampate del ciclismo).
Ma il sogno vero, in fondo, è un altro. È il sogno che dietro di noi, dietro una generazione che cede, ci siano tanti ragazzi uguali a come eravamo noi, e come ci sembrava e ci sembra normale ancora che possano essere i ragazzi. Innamorati solo di una bicicletta, e di una biondina conosciuta al mare.

Il sogno massimo che il senso di una giornata si identificasse in una corsa in bici ed il premio per il traguardo vinto racchiuso tutto nei fiori e nel suo bacio.
Il sogno massimo è che la gioventù non sia cambiata da allora: o che finalmente, dopo tanto letargo, tanta superfetazione mediatica di idiozia e stupide parvenze, torni in testa una gioventù non di realtà obbligatoriamente concreta, non solo meccanica. Ma una gioventù ricca un’altra volta di fantasia, di cuore. Riscoprendo, con o senza Lo Sport Illustrato la maglia infinita di quella “bici” chiamata desiderio.

Gian Paolo Porreca, napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare, editorialista de “Il Mattino”
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