Editoriale
Che la Luperini sia la Luperini. Per il terzo anno consecutivo il fenomeno di Cascine di Buti si è confermata tale vincendo il Tour de France e il Giro d’Italia. Insomma, da tre stagioni nessuna è in grado di contrastare la regina delle montagne nei Grandi Giri. Nessuna è come lei; nessuna ha le carte in regola per poter dominare e segnare il prossimo decennio del ciclismo femminile mondiale. Dico nessuna, rigorosamente al femminile, perché è giusto che Fabiana sia elevata, valorizzata e portata ad esempio solo e soltanto nel suo ambiente, che altro non è che quello del ciclismo femminile.
Ci sprechiamo in retorici ragionamenti sulle «pari opportunità» e non appena ci troviamo ad applaudire una ragazza che non ha eguali al mondo ecco che le affibbiamo i titoli più assurdi, come «Pantanina» o «Coppi in gonnella»: disgustorama, direbbe Daniele Luttazzi.
Fabiana Luperini, nelle corse a tappe, è la ciclista più forte del mondo, probabilmente diventerà la più grande di ogni epoca, ma riteniamo che sia di cattivo gusto e per lo meno improponibile il paragone con l’altro sesso. La Luperini come Merckx e Binda: ma siamo pazzi? Come è possibile un paragone simile? Ma crediamo davvero che la gente sia così ingenua da credere a un tale raffronto?
Nel tennis, nell’atletica, nello sci le donne vivono la loro realtà e soprattutto brillano di luce propria; sono paragonate a solo chi le ha precedute. La Compagnoni non è considerata meglio di Tomba è semplicemente la sciatrice italiana più grande della storia. Antonella Bevilacqua potrebbe un giorno essere come Sara Simeoni, e la prodigiosa tennista svizzera, la sedicenne Martina Hingis è sulle orme di Martina Navratilova, non certo quelle di Bjorn Borg. Se vogliamo dare dignità al ciclismo femminile, che oggi comincia ad averne davvero, limitiamoci a dire che la Luperini è la Luperini: la più grande. Forse quanto o più di Maria Canins.
Ullrich? Un pollo. Jan Ullrich un campione? Sì certo, come potrebbe non esserlo uno che in due stagioni raccoglie un secondo e primo posto al Tour de France ed ha appena 23 anni? È un campione, potrebbe diventare un fenomeno (anche se in Germania è già un fenomeno di costume) ma è un pollo. Un pollo nel complesso mondo della comunicazione. Durante il Tour, a poche tappe da Parigi, il tedeschino ammette candido di essere stanco. Gli avversari ringraziano, si illudono, perdono, ma Ullrich si macchia d’ingenuità. Dice chi ne capisce: è giovane, ma non è un Merckx, avete visto come ha faticato nel finale? A Ullrich un dieci in sincerità, due in strategia.
Non contento, tornato a casa riferisce ad una agenzia tedesca (la Reuter): «Il mondiale non lo faccio, a fine settembre smetto di correre, sono cotto». Complimenti, avanti così! In materia di comunicazione dovrebbe andare a ripetizione da Indurain per i prossimi dieci anni. Il grande Miguelon a fine settembre ha quasi sempre smesso di pedalare ma non lo annunciava ai quattro venti come se fosse la notizia del secolo. Lo diceva a fatto compiuto: a fine settembre, appunto. Ullrich è davvero un fenomeno: d’ingenuità.
Sono sempre i migliori che se ne vanno. Al ciclismo italiano i risultati non sono certo mancati, ma il risultato è che il movimento ciclistico italiano vive una crisi economica davvero preoccupante. A fine anno chiudono i battenti molti team, tra questi la MG-Technogym del decano Giancarlo Ferretti e la Roslotto di Moreno Argentin. È non c’è da stare allegri, per niente. Perché lasciano due organizzazioni di valore, e altre sono lì lì per farlo, e quel che più ci preoccupa è che restano, invece, sodalizi di cui potremmo anche fare a meno. Il discorso del perché chiudono e di chi sono le responsabilità lo rimandiamo ai prossimi numeri, ma mi preme dire una cosa: la Lega, l’Assogruppi, i corridori, devono quanto prima cacciare i mercanti dal tempio. Non possono convivere assieme società che spendono miliardi e rispettano le regole del gioco e altre che, invece, speculano e arrivano non solo a non pagare gli stipendi ai corridori, ma a farsi pagare per dar loro la possibilità di correre. Il risultato è che i Ferretti e gli Argentin, nel momento in cui si trovano in difficoltà non accettano di unirsi al gruppetto ristretto dei furbi, e decidono di chiudere bottega. E a perderci è il ciclismo.
Basterebbe così poco… Il ciclismo s’interroga, si agita, cerca soluzioni per vendersi meglio e ottenere maggiore considerazione da parte dei media e rendere così più appetibile il prodotto ciclismo. Ci stanno lavorando da tempo, ma intanto ci tornano alla mente quelle desolanti punzonature della Milano-Sanremo o del Lombardia, disertate dai maggiori campioni del pedale. Se i gruppi sportivi vogliono proprio imparare a «vendere» i propri prodotti non pensano che sia il caso di tornare all’antico? Per vendere tappeto, occorre mostrare tappeto. Basterebbe così poco…
Pier Augusto Stagi
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