PROFESSIONISTI | 27/02/2017 | 07:16 In questo ciclismo sempre più internazionale, nel quale i soldi degli emiri la fanno da padrone, il nostro Paese resta un riferimento e una garanzia. Se è vero che con l’addio della Lampre al ciclismo abbiamo perso uno sponsor storico delle due ruote tricolori e l’unico team World Tour italiano che ci era rimasto, restiamo i primi della classe nel ciclismo che conta.
Ben 61 corridori e 23 tecnici figurano nelle formazioni ufficiali della massima categoria. Se ci pensate, è un bell’esercito. Tra gli atleti guidiamo questa speciale classifica con 14 lunghezze sul Belgio e sulla Francia, in ammiraglia (fonte www.uci.ch) abbiamo gli stessi numeri della Francia e un tecnico in più dell’Olanda e dominiamo la scena nelle formazioni storiche e di maggior peso, dove per esempio la Colombia non ha nemmeno un tecnico. Australiani e britannici sono ancora lontani nei numeri, più o meno staccate sono tutte le altre nazioni.
«La scuola italiana non ha più una squadra di riferimento in Italia per colpa della crisi economica e aziendale che investe il nostro Paese in generale, ma nonostante tutto mantiene alto il suo nome e il suo livello di professionalità. È innegabile che abbiamo tecnici validi, capacità organizzative e strategiche riconosciute, grazie ai percorsi formativi previsti dalla nostra Federazione, che ovviamente sono migliorabili ma sono un vanto a livello internazionale. A questo va aggiunto che i nostri meccanici, massaggiatori e addetti alla comunicazione sono cresciuti in un Paese di cultura ciclistica e perciò hanno una professionalità elevata» commenta un tecnico come Luca Guercilena, che lavora all’estero dal 2003 e che ora si trova alla guida di una delle formazioni più forti del mondo.
«La globalizzazione è un trend mondiale impossibile da invertire, ormai è la linea standard dello sport in generale. Basti pensare che atleti italiani giocano nell’NBA, 15 anni fa era impensabile inserirsi in una disciplina americana per eccellenza. Dispiace pensare che, ad eccezione di Segafredo, non ci siano altri grandi marchi nostrani extrasettore che investano nel ciclismo, ma non sarà così per molto. Il ciclismo ha un rapporto con il pubblico incredibile, dà un ritorno d’immagine altissimo, altre aziende si renderanno conto che investirci è assolutamente efficace. Spero accada presto, così che potremo tornare ad avere un team italiano a tutti gli effetti» prosegue il team manager della Trek Segafredo, americana nel dna ma con un secondo nome e tanta Italia nel cuore.
La scuola italiana continua a essere stimata, Guercilena come detto guida una delle squadre più forti del mondo. «Abbiamo tecnici molto validi con capacità importanti: programmazione, lavoro in gruppo, cura del dettaglio. Nel nostro Paese il ciclismo è sempre stato competizione, per questo abbiamo imparato a lavorare mirando all’eccellenza, mentre in altri Paesi l’evento sportivo è più spettacolo che agonismo. Anche i membri del personale sono abituati a questo tipo di attenzione al dettaglio, che fa la differenza ed è apprezzata all’estero. Inoltre abbiamo tecnici capaci di lavorare con i giovani, allenatori in diverse squadre, figure anche nuove di scouting, come quelle di Ivan Basso nel nostro caso. Nel momento in cui si ha a che fare con investimenti tanto elevati, anche lo scovare i talenti diventa fondamentale. Comprare senza avere una relazione con l’atleta costa molto, gli investimenti ormai sono a medio-lungo termine».
Come sempre, c’è anche qualcosa che può essere migliorato. «Dobbiamo crescere negli aspetti tecnologici, linguistici e nell’attenzione allo sponsor. La gestione familiare di una squadra è un limite, se la concorrenza investe risorse e uomini in ambiti specifici che ben si accordano alle grandi multinazionali che quando sponsorizzano guardano al business, al marketing e ai mercati che possiamo aprire loro per aumentare il loro fatturato. Allo sponsor non importano solo le vittorie, pretende che gli creiamo dei network per migliorare e far crescere il brand».
D’accordo con lui l’amico Davide Bramati, che abbiamo eletto miglior tecnico italiano del 2016, e lavora per un gruppo belga da quando è sceso dalla bici e montato in ammiraglia. «Noi italiani siamo rimasti indietro mentre il mondo cambiava. Gli sponsor da nazionali sono diventati mondiali e abbiamo dovuto adeguarci imparando ad esprimerci in più lingue. Nelle formazioni di casa nostra il clima e l’organizzazione era più familiare, ora il marketing impone interessi e metodi di lavoro globali. Noi tecnici dobbiamo saper comunicare con corridori di diverse nazionalità così come con manager delle più svariate provenienze. La crisi degli ultimi anni ci ha portato a perdere degli sponsor e a non riuscire a rimpiazzarli. Purtroppo paghiamo tante tasse, lo sappiamo bene tutti. Nonostante questo non bisogna mollare, i manager devono continuare a cercare sul nostro territorio imprenditori appassionati e illuminati che credano nel nostro sport. Prima o poi cambierà il vento. Non abbiamo più team tricolori però abbiamo uomini ben distribuiti in tutte le squadre, questo fa onore al nostro paese» spiega.
«Una volta il ciclismo era fatto da Italia, Francia, Olanda e Belgio, mentre negli ultimi anni si è globalizzato crescendo per esempio in Inghilterra e Australia. Corriamo in tutto il mondo, nell’arco di 365 giorni l’anno, ognuno ha il suo modo di lavorare ma la nostra esperienza è innegabile. Tanti tecnici sono ex corridori, ma anche gli altri che non vantano una carriera sui pedali sono cresciuti a pane e ciclismo» aggiunge il direttore sportivo della Quick Step Floors Cycling Team.
Cosa potrà ottenere il ciclismo italiano quest’anno? «Il nostro Paese ha sempre avuto ottimi corridori, l’anno scorso hanno ben figurato, soprattutto nelle corse a tappe e negli appuntamenti più importanti, nel 2017 non saranno da meno. In più abbiamo tanti giovani emergenti che scalpitano, sono passati al professionismo talenti validi che speriamo crescano al meglio per garantire un futuro importante al ciclismo italiano» dice il “Brama”.
«Non penso sarà un anno diverso dai precedenti per il ciclismo di casa nostra. La qualità di atleti, tecnici e staff c’è. Il movimento italiano è vivo e vegeto, presente ad alto livello. La diaspora in squadre straniere è dovuta solo a motivi economici, all’estero c’è la possibilità di mantenere alti i costi della professionalità. Sarà che il mio ultimo anno in un gruppo italiano risale al 2002, ma per me la situazione attuale è normale. Dal canto nostro dobbiamo mantenere alto il livello e impegnarci per far tornare le aziende ad investire. In questo senso servirebbe un aiuto governativo per far sì che sponsorizzare per un’azienda sia un vantaggio a livello fiscale e non uno svantaggio. Il CONI con le federazioni e gli organi competenti dovrebbe studiare un modo per promuovere sia l’attività giovanile che quella professionale» aggiunge Guercilena.
Cosa aspettarci dai team stranieri che hanno tanti italiani al loro interno? I nostri opinionisti si esprimono sulle loro squadre. «Per quanto riguarda la Quick Step siamo partiti bene e vogliamo continuare così. Il nostro obiettivo per questa prima parte di stagione è portare a casa una grande classica, che nel 2016 ci è mancata. Gli uomini per confermarci tra i top team mondiali non ci mancano, sarà un gran 2017» chiosa Bramati.
«Come più volte detto, la Trek Segafredo ha vissuto un cambio importante di organizzazione interna e di obiettivi. Avendo aumentato la qualità degli atleti sotto contratto, le aspettative sono alte. Vogliamo ben figurare a livello di gare World Tour come squadra, essere protagonisti nei grandi giri e confermarci come riferimento nelle classiche. Il potenziale c’è, ora sarà la strada a dare i suoi responsi. Speriamo e crediamo sarà all’altezza delle nostre aspettative» è l’augurio di Guercilena.
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