Partiamo dall'inizio. Come sei finito a
ricoprire questo ruolo?
«Esaurita la mia esperienza in Italia come responsabile del Centro Sportivo Fiamme Azzurre e come tecnico della Nazionale ho preso al volo questa opportunità. Ho scoperto l'Argentina venendoci a correre con la Nazionale Italiana e mi è sempre piaciuta. È stato un azzardo, ho lasciato tutto e sono partito. Da quando ho ricevuto questa offerta vivo a Buenos Aires, torno a casa ogni due e tre mesi dalla mia famiglia».
Che ciclismo hai conosciuto in questi
anni?
«Chi sale dall'Italia (vorrebbe dire parte, ma ormai è talmente abituato a parlare in spagnolo che qualche parola gli sfugge, ndr), non può pensare di trovare un movimento sviluppato come quello di casa nostra. I numeri sono schiaccianti, In Italia ci sono 1500 junior con 12 corse a settimana, qui ci sono 98 tesserati e 4 carreras, pardon gare, l'anno. La differenza è enorme, detto questo in Argentina ho trovato un ciclismo dal potenziale enorme e in forte sviluppo. C'è Max Richeze in un team World Tour come la Quick Step che è un riferimento per i tanti ragazzi che stanno crescendo in team Continental e Professional».
Stai lavorando molto con i giovani.
«Sì, concluso il ciclo olimpico stiamo già lavorando in vista di Tokyo 2020. Per lo meno fino al 2019 starò qui, l'obiettivo più grande prima della prossima sfida a cinque cerchi per noi sono i Giochi Panamericani. Porterò a termine l'incarico che mi è stato affidato per 7 anni, poi vedremo, stiamo ristrutturando il sistema di lavoro e cercando di far correre di più i nostri ragazzi».
Cosa ti sta dando questa esperienza?
«Mi ha fatto crescere moltissimo perchè mi ha insegnato ad ingegnarmi. Con risorse che sono un decimo rispetto a quelle che hanno a disposizione i paesi primattori come Italia e Germania riusciamo a svolgere un'attività di tutto rispetto, se analizziamo costi/risultati qualche valutazione bisognerebbe farla... Con l'esperienza accumulata in queste stagioni ho capito che il fattore economico non è il principale. In Italia sembrava che senza soldi non si potesse fare nulla, noi piste di legno qua non ne abbiamo ma il quartetto ha fermato il tempo a 3'56". Certo, non è il massimo confrontarsi con un colosso come l'Inghilterra che spende ogni 6 giorni il budget che noi abbiamo per un anno, ma questa lotta impari ci stimola a sviluppare le risorse umane al di là di quelle economiche».
Ti senti un cervello in fuga o comunque
un emigrante del pedale?
«No, il ciclismo ormai è globale. L'Italia ha ancora tanti tecnici nel World Tour perchè negli anni '80-'90 eravamo i numeri 1, anche come corridori. Tra 20 anni temo non ce ne saranno più, il ciclismo italiano sta scomparendo».
Ci trasferiremo tutti in Argentina...
«Non sarà facile cancellare la storia del nostro ciclismo, per fortuna, ma è in dubbio che siamo in difficoltà. Il numero di tecnici inglesi e australiani sta proliferando in tempi rapidissimi, solo per fare un esempio. Non dobbiamo scordarci le nostre origini, dobbiamo puntare su quelle per riprenderci lo spazio che meritiamo. Parlo da italiano legatissimo al tricolore, che tifa Italia e ha festeggiato per l'oro olimpico di Viviani e per gli ottimi risultati ottenuti dalla pista azzurra. Il futuro del ciclismo italiano dipende da noi».
da San Juan, Giulia De Maio