CASSANI. «A metà luglio i convocati»

INTERVISTA | 21/06/2016 | 08:13
Non è per nulla facile il ruolo di commissario tecnico, nel ciclismo così come in altri sport. Eppure Davide Cassani, dal 2014 al timone degli azzurri di ciclismo, ha accettato con entusiasmo l'incarico dopo il forfait di Paolo Bettini e, nonostante i problemi e le inevitabili critiche che si è trovato a dover affrontare lungo un insidioso percorso, sta proseguendo nell'interessante e benemerito lavoro di ristrutturazione delle squadre nazionali di ciclismo italiane, riservando un occhio di riguardo ai giovani più promettenti.
Il 6 agosto sarà il giorno della gara su strada alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, un appuntamento cerchiato in rosso nell'agenda di Cassani e che ci fornisce lo spunto adatto per questa intervista.

Si può affermare che tu sia già entrato nel clima olimpico?

«E' vero, quest'anno non ci sono soltanto i campionati mondiali e le Olimpiadi hanno un valore simbolico eccezionale. In pratica è dall'inizio del 2016 che sono concentrato sull'appuntamento brasiliano e a questo punto ho già individuato una rosa di 7/8 atleti dalla quale dovranno uscire i cinque titolari per Rio».

Possiamo conoscere i nomi dei preselezionati?

«E' presto detto, oltre a Nibali ed Aru, sto tenendo in considerazione Ulissi, De Marchi, Rosa, Scarponi e Visconti, ma a questa lista potrebbero aggiungersi un paio di nomi dopo il campionato italiano di Darfo Boario Terme».

Manca il nome di Brambilla, reduce da un ottimo Giro d'Italia, come mai?

«In effetti non so se Gianluca, date le sue caratteristiche, sarebbe in grado di svolgere quel lavoro che a Rio ritengo essenziale. Per ora non mi pronuncio in modo definitivo su di lui».

Tu hai visionato a inizio anno il circuito di Rio de Janeiro: ce ne puoi ricordare le caratteristiche?
«Un aggettivo soltanto: durissimo, per atleti di fondo e che eccellono in salita. C'è chi ha paragonato il percorso brasiliano a quello di una Classica su strada, ma non è così, qui siamo a livelli di difficoltà molto più elevati. Inoltre un problema ulteriore è costituito dal fatto che le squadre partecipanti saranno composte da un massimo di cinque corridori ciascuna, per un totale di 144 concorrenti che si presenteranno al via. Com'è facilmente comprensibile il controllo della corsa diventerà problematico per chiunque, perciò serviranno forza, freddezza e anche molta inventiva».

Ci puoi parlare dell'eventuale tattica che potrà essere adottata dalla nazionale italiana?
«La studieremo tutti insieme, tecnici e atleti, anche in base agli ultimi test e valutando la condizione fisica di ognuno degli azzurri. C'è il rischio che la prova olimpica si tramuti in una gara ad eliminazione e tutto si potrebbe decidere addirittura sull'ultima salita».

Tra gli italiani, a chi si adatta maggiormente questo tracciato?

«Nibali può essere considerato come il faro della nostra squadra, ha dimostrato di essere un atleta in grado di vincere grandi Giri ma anche di poter risultare molto competitivo nelle Classiche più impegnative, come il Giro di Lombardia e la Liegi-Bastogne-Liegi. Per il suo palmarès merita rispetto e sarà perciò guardato a vista degli avversari più pericolosi».

A chi ti riferisci?

«Valverde sarà la consueta punta di diamante di una nazionale spagnola molto temibile, composta da atleti esperti e che sono specialisti delle salite; stesso discorso per Quintana e per la Colombia, questi ragazzi corrono dalle parti di casa e perciò saranno ancora più motivati; anche Froome deve essere inserito di diritto tra gli avversari più pericolosi, mentre non sono da sottovalutare due atleti che - a seconda di come si metterà la corsa - prediligono i percorsi duri e che riescono spesso a sfruttare al meglio eventuali situazioni favorevoli: mi riferisco all'irlandese Daniel Martin e all'ex-iridato Kwiatkowski».

Per la prova a cronometro nessuna illusione?

«Purtroppo Malori è ancora ko, comunque quello olimpico è un tracciato molto esigente e non particolarmente adatto agli specialisti del tic-tac».

A questo punto ci puoi ricordare la marcia di avvicinamento a Rio 2016?

«Mercoledì 22 giugno presenzieremo alla cerimonia al Quirinale con la delegazione del CONI  per le Olimpiadi. Poi, in questa settimana, assisterò ai campionati italiani della crono e della strada che potrebbero risultare assai utili in proiezione olimpica».

Come valuti il percorso della gara tricolore su strada?

«Insidioso. Sulla carta sembrerebbe una manna per i velocisti ma a circa quattromila metri dal traguardo c'è uno strappo di quasi un chilometro con delle pendenze attorno al 15%. Su quella secca rampa i velocisti potrebbero rimanere indietro e lasciare il successo a un finisseur dotato di una ragguardevole sparata».

Poi sarà tempo di Tour de France...

«Ovviamente andrò al Tour e infine, verso metà luglio renderò noti i nomi dei convocati per Rio de Janeiro».

Quando partirete per il Brasile?

«Il 27 ci sarà l'ultimo raduno collegiale a Fiuggi e  il 30 luglio raggiungeremo Rio de Janeiro».

Servirà qualche giorno per acclimatarsi?

«Non credo, il clima dovrebbe essere abbastanza simile al nostro e perciò non dovremmo avere problemi. Mi risulta invece che gli spagnoli arriveranno il Brasile prima di noi, subito dopo lo svolgimento della Classica di San Sebastian».

Tu hai mai partecipato ai Giochi Olimpici?

«No, nelle categorie minori non c'è mai stato l'anno giusto per un'eventuale convocazione e da professionista, almeno negli anni in cui ho gareggiato, la prova olimpica di ciclismo era riservata soltanto ai dilettanti».

Quando hai iniziato l'attività ciclistica?

«A 15 anni, da Allievo, con la Solarolese; a 21 anni sono diventato professionista, nel 1982 e nella massima categoria sono rimasto per 15 anni, totalizzando una trentina di vittorie e nove convocazioni ai mondiali».

Sempre con Alfredo Martini come CT?

«Sì, con Alfredo avevo un rapporto bellissimo e ricordo quando nel 1988 mi volle affidare il ruolo di un vero e proprio regista in gara. Fu a Renaix e il mondiale si concluse con il trionfo di Fondriest, una giornata indimenticabile».

E ora sei tu il CT della nazionale italiana, da due anni ma ancora alla caccia della prima medaglia.
«Non è esatto. Il mio ruolo è quello di coordinatore generale delle squadre italiane di ciclismo  e nel 2015 di medaglie ne abbiamo conquistate due, entrambe d'argento: con Adriano Malori nella crono professionisti e con Simone Consonni nel mondiale su strada degli Under 23».

Resta però il bilancio negativo nella gara iridata su strada dei professionisti.

«Non sono affatto contento dei risultati fin qui ottenuti e non è una scusante affermare che il nostro ciclismo, ormai da anni, non possiede atleti in grado di brillare nelle classiche in linea. Io credo nel lavoro duro e pianificato, bisogna continuare a rimboccarsi le maniche e guardare avanti. Certo è che non c'è più in giro un Paolo Bettini, anche se credo molto in alcuni giovani emergenti come Gianni Moscon o come Filippo Ganna».

Di questo Ganna si dice un gran bene...

«Lasciamolo maturare senza stressarlo troppo, ha delle qualità davvero interessanti che gli hanno permesso di trionfare nel mondiale dell'inseguimento e nella Roubaix dilettantistica, questa è classe».

Si provano maggiori gioie a vincere da da CT o da corridore?

«Sono sensazioni uguali. Quando vince un atleta che dirigo assaporo la stessa gioia che ho provato vincendo una gara. Non riesco a immaginare cosa mi succederebbe se uno dei ragazzi che dirigo vincesse a Rio o al mondiale».

Un giudizio circa il mondiale in Qatar?

«Altra sfida rischiosa, in un ambiente difficile con temperature alte e l'incognita costituita dal vento e dalla sabbia. La composizione della nazionale italiana sarà agli antipodi rispetto a Rio, ma comporla potrebbe risultare un rebus…».

Il tuo commento sul Giro 2016?

«Non pensavo che Nibali ce la facesse a ribaltare una situazione talmente compromessa, ma Vincenzo è stato eccezionale. Non bisogna compiangere troppo Kruijswijk, ha sbagliato da solo e Nibali è stato bravo a metterlo sotto stress con la sua azione in discesa».

Chaves ha commosso tutti.

«Ecco  l'immagine più toccante, lo spot più bello per il ciclismo, insieme all'abbraccio di Nibali ai genitori del giovane ciclista colombiano. In definitiva è stato un bel Giro, gratificato dalla presenza di tanto pubblico e da tappe altamente spettacolari».

Ma il calcio degli Europei continua a farla da padrone sui media

«Anch'io seguo il calcio, mi piace, è difficile fare paragoni ma mi sembra che il ciclismo stia recuperando popolarità. Certo, servirebbe qualche campione che entrasse nell'immaginario collettivo, come ad esempio fece a suo tempo Marco Pantani con le sue imprese».

Cosa dici dei troppi incidenti che hanno funestato la primavera del ciclismo?

«Bisogna mettere sulle moto e sulle macchine che seguono le corse ciclistiche delle persone competenti e preparate, con tanto di patentino. Questi incidenti così gravi accadono soprattutto all'estero, mentre in Italia abbiamo degli addetti ai lavori molto professionali e attenti, che tutti ci invidiano».

Da parecchi anni tu sei il curatore del famoso Almanacco del Ciclismo: che valore dai alle statistiche?
«Le statistiche possono dirti molte cose di un atleta o di una gara e servono parecchio agli addetti ai lavori. Personalmente le ho utilizzate sempre, prima come commentatore e opinionista e ora anche come CT».

I tuoi ricordi più belli da ciclista?

«Le tre vittorie al giro dell'Emilia e le nove maglie azzurre indossate con l'indimenticabile Alfredo Martini».

E' scomparso Loretto Petrucci: un tuo ricordo?

«Un grande del ciclismo, un uomo che godeva della mia stima e che ho sempre avuto ben presente nella memoria, poiché sul traguardo delle due Milano-Sanremo da lui vinte precedette in entrambe le occasioni un mio concittadino,  Giuseppe “Pipazza” Minardi, originario come me di Solarolo, nel Ravennate».   

Stefano Fiori, da Il Tirreno
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