STORIA | 14/04/2016 | 07:17 E’ negozio ed emporio. E’ officina e laboratorio. E’ casa e chiesa. E’ anche grotta e antro. E’, nel suo piccolo, tempio storico e centro sociale. E’ perfino galleria se non addirittura museo. E’ la bottega da ciclista di Tonino Giogli, a Città di Castello, a due passi dal Palazzo dei Priori. E siccome era un’osteria, battezzata (invocazione? preghiera? assistenza? sinergia?) Dio Nostro, adesso si capisce la natura di questo luogo che, con la scusa delle biciclette, sembra poter accogliere l’intero mondo.
L’osteria apparteneva a un certo Stefano, uomo burbero ma - appunto - divino, o almeno di vino: ingresso, pianale (in marmo), calici e botti, cucina e cantina, nonché camera da letto, dove si servivano robuste colazioni a base di acciughe e uova, per muratori, meccanici e agricoltori. Bastava accontentarsi, non solo del mangiare e del bere, ma anche del respirare, aria di sigari e sigarette, aria di lavoro e dopolavoro. Fino a quando, nel 1951, papà Gilberto, con lo zio Nazareno, trasformarono, ma neanche poi tanto, la bottega.
In quella via, via XI Settembre (omaggio all’ingresso della città nello Stato italiano nel 1860, non memoria dell’attentato terroristico alle Torri Gemelle di New York nel 2001), con otto negozi specializzati si era stabilito il record mondiale di densità ciclistica al mondo. Qui sono passati Learco Guerra, Gino Bartali e Marino Basso. E poi un viavai di cerchioni e camere d’aria, un andirivieni di selle e manubri, un movimento di movimenti centrali. Finché, a una a una, le saracinesche si sono abbassate, e l’unica che ogni mattina viene ancora tirata energicamente e ottimisticamente su, è proprio quella di Giogli.
Tonino è un tifernato, cioè di Castello, cioè di Città di Castello. Chissà che cosa gli avranno detto a casa quando dette un calcio agli studi. Perché per amore del pallone abbandonò l’Isef. Centrocampista, nel senso del mediano, dal Città di Castello all’Agliana, dall’Elpidiense al Siena. Le speranze di fare carriera, più o meno, morirono lì. Intanto la bottega era passata dal papà Gilberto a Mariettina, sua moglie, e a Nino, un altro zio, che alla bellezza di 93 anni combatte ancora. Tonino se ne assunse la responsabilità nel 1981. E l’anima popolare è rimasta: le bici da fornaio e da arrotino e da lattaio sono diventate quelle di tutti i giorni, per andare al lavoro e al mercato, a scuola o in gita, ciascuna con la sua personalità, e con una storia che aspetta solo di essere raccontata e scritta. Il viavai di cerchioni e camere d’aria, l’andirivieni di selle e manubri, perfino il movimento dei movimenti centrali non si è fermato. Riparazioni e vendite, ma anche consigli e confidenze, chiacchiere e ricordi. E tutti sempre rotondi.
Perché Tonino, nel frattempo, non si è dimezzato, ma si è sdoppiato anzi, raddoppiato. Calcio, la sua passione, e ciclismo, la sua professione. Calcio: da allenatore della prima squadra a Città di Castello, da responsabile del settore giovanile, da c.t. dell’Umbria categoria allievi. E ciclismo: mountain bike, allargandosi e democratizzandosi dalla gente veloce alla gente in movimento. Se gli chiedete quale sia il bello del pallone, Giogli risponderà che “è un gioco che, per quanto se ne possa dire e scrivere, non cambia mai”. E quanto al bello della bici, è che “ti accompagna lungo tutto il percorso della vita”. Perché di una cosa Giogli è strasicuro: “La bici è vita”.
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