MILANI. «Obiettivo professionismo»

DILETTANTI | 31/03/2016 | 08:19
Uomo d’esperienza della Zalf Euromo­bil Désirée Fior, ormai pronto al grande salto verso il professionismo, insieme agli elementi più maturi del gruppo del­la Marca, Gianluca Milani è chiamato a fare da punto di riferimento in corsa per i tanti talenti emergenti che compongono il gruppo forgiato dal sapiente lavoro dello staff tecnico guidato da Gianni Faresin e Lu­ciano Rui. Conosciamolo.

Per chi non sa chi sei, come ti presenteresti?
«Sono nato il 6 luglio 1991 a Castel­franco Veneto (TV). Vivo a Vallà di Rie­se Pio X in provincia di Treviso con pa­pà Gino, muratore, mamma Adriana, infermiera in una casa di riposo, e i miei due fratelli, il maggiore Andrea che la­vora e viaggia, e il minore Paolo che è studente. Sono l’unico sportivo di casa. I miei numeri? Sono alto 170 cm per 62 chili, battiti a riposo tra i 38 e 40».

A che età hai iniziato a gareggiare in bici?
«Ho cominciato da G4, quindi ormai sono 13 anni che pedalo. Prima giocavo a calcio, me la cavavo ma ero mingherlino rispetto agli altri, poi per caso ho provato la bici e me ne sono innamorato. Mi sono iscritto alla squadra del pae­se, il Postumia, con cui ho corso fino a juniores. Da piccolo non andavo forte per cui ricordo la prima corsa che vinsi: era una gara di ciclocross, fu una bella emozione».

Un campione da imitare?
«Il mio riferimento è sempre stato Mat­teo Tosatto che abita vicino a casa mia. Quando ho iniziato, lui era già professionista e ora ogni tanto esco in allenamento con lui, raramente per la ve­ri­tà perché è sempre in giro, o lo trovo al bar del paese, quando capita l’occasione mi faccio sempre dare qualche consiglio».

Come valuti il tuo 2015?
«Due infortuni mi hanno limitato non poco: dopo la prima corsa, una tendinite al ginocchio mi ha costretto a 25 giorni di stop e a 2 mesi per ritrovare la forma dei giorni migliori, a luglio ho rotto la clavicola giusto un mese prima del Cam­pionato Italiano che mi ha fi­nalmente fatto ritrovare il sorriso. Il bi­lancio dice che ho raccolto 3 vittorie e tanti piazzamenti. Conquistare la maglia tricolore è stato il coronamento di un sogno, portarla è un onore, attaccarci il numero per gareggiare ogni volta è un’emozione indescrivibile».

E cosa ha rappresentato l’Oscar tutto­BI­CI per te?
«Un gran bel riconoscimento. Sono sempre venuto alla premiazione con la squadra e mi dicevo “prima o dopo ne voglio uno anche io”. Questa volta, do­po l’italiano, ho visto che c’era la possibilità di raggiungere questo traguardo così ho cercato di raccogliere punti nel­le ultime prove valide per la classifica. Ci tenevo e sono felice di averlo conquistato. Custodirò gelosamente il premio che mi avete consegnato e i ricordi della bellissima serata vissuta al Principe di Savoia a Milano».

Interessi extraciclistici?
«Amo la caccia, è la mia prima passione, me l’ha trasmessa papà da quando ero bambino. Nel periodo invernale, quando sono in vacanza, vado per bo­schi tutti i giorni. Non ho altri hobby particolari. Sono diplomato perito agrario, ho abbandonato gli studi al termine delle superiori per dedicarmi alla bici. Il ciclismo per me è una scuola di vita, mi scandisce le giornate, mi ha insegnato che la costanza è fondamentale per raggiunge un obiettivo, che i sacrifici prima o poi vengono ripagati. Spesso gli amici mi chiedono chi me lo fa fare di non uscire il sabato sera e stare perennemente a dieta, ma io credo profondamente in quello che faccio».

Nonostante il tricolore, non è arrivato an­cora il momento per il grande salto.
«Già, è un problema... Il movimento italiano non funziona bene in questo momento: passa gente che ha non fatto nulla o quasi, non si sa come, e chi co­munque ha dimostrato di essere un buon atleta fatica a trovare uno straccio di ingaggio. Ci devono essere interessi e logiche che è meglio non conoscere. Tra ragazzi ne parliamo: c’è qualcosa che non va. In più, fino a 12 anni fa avevamo tante squadre professionistiche a casa nostra mentre oggi ne abbiamo 3-4. Diciamo che non è un periodo brillante per il nostro movimento. Uno dovrebbe andare all’estero ma anche per passare in un team straniero devi avere qualche conoscenza e non è semplice. Ho parlato con alcune squadre per fare uno stage nel corso di questa stagione, che sarà la mia settima in ma­glia Zalf Euromobil Désirée Fior. Speriamo in bene... Quanto tempo mi do? Alla fine dell’anno scorso sinceramente ero titubante se continuare o me­no, ma il titolo italiano è stato un grande stimolo. Non sono stanco, ho 24 an­ni, vediamo come andrà quest’anno».

Cosa ti aspetti da quest’anno?
«Voglio mettermi in mo­stra nelle corse adatte a me, vale a dire quelle lunghe e mosse, e guadagnarmi un contratto per passare professionista. Da Mon­tecassiano in poi e in tutte le classiche di primavera che potrò disputare, essendo Elite non posso essere schierato al via delle corse riservate agli Under 23, voglio lasciare il segno».

Quali credi saranno i corridori italiani con cui dovrai vedertela?
«Visto la tipologia della nostra categoria, ogni anno salta fuori qualche sorpresa. Tra gli italiani emergerà senz’altro Si­mo­ne Consonni che ha dimostrato di ave­re già un bel fisico e di essere ma­turo per fare il grande salto. Tra i miei compagni di squadra segnatevi i nomi di Andrea Vendrame, Nicola Bagioli e Marco Maronese che in ritiro ho visto molto bene. Ogni anno è a sè, l’importante è dimostrare continuità».

Se non diventerai professionista...?
«Mi piacerebbe restare nell’ambiente, altrimenti coglierò qualsiasi altra occasione mi capiterà, sono uno portato all’adattamento. L’importante per me è provarci fino in fondo, se poi sarò co­stretto ad appendere la bici al chiodo e abbandonare il mio sogno, lo farò senza rimpianti».

Cosa ti auguri per il tuo futuro?
«Spero di vincere altre corse con la maglia tricolore e in generale di vincerne tante perché in fin dei conti è l’unico modo per essere notato e avere una chance nel professionismo. L’importan­te è non avere intoppi fisici: se starò bene so­no sicuro che arriveranno belle cose anche per me».

Perché ami il ciclismo?
«Perché ce l’ho dentro. Mi piace troppo, nonostante imponga tanti sacrifici.  Bisogna limitarsi nell’uscire alla se­ra, raramente si può far festa e bisogna controllarsi nell’alimentazione, ma queste rinunce per me non sono un peso, ma il “prezzo da pagare” per poter go­de­re come matti. Quando hai la passione, tutto questo serve per arrivare dove hai in mente. L’aspetto che preferisco di questo sport è che siamo sempre in giro. A me piace viaggiare e fare la vita da ciclista. Non è semplice da spiegare, deve piacere, se la affronti malvolentieri non vai da nessuna parte».

Alla fine del 2016 sarai contento se...?
«Se riuscirò a fare il grande salto nella massima categoria. Il mio obiettivo è trovare posto in una Professional o al limite in una buona Continental estera per provare a confrontarmi con i professionisti».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di marzo
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