PROFESSIONISTI | 23/12/2015 | 07:09 Jacopo Guarnieri è uno dei corridori italiani più interessanti in circolazione, ma di lui si parla poco e si scrive anche meno. Questo mese vogliamo sopperire a questa mancanza raccontandovi la sua storia. Partiamo da Melegnano, alla porta est di Milano, dove è nato. Proseguiamo per Caselle Landi, fuori, in campagna, vicino a Sant’Angelo Lodigiano, dove è cresciuto da zero a quattro anni. E poi ancora a Melegnano, dove è tornato, subito dopo.
«Di quell’età ho ricordi sì e no. Confusi fra immagini e racconti. La mia famiglia arrivava da Milano, mio nonno Luigi aveva una lavanderia dalle parti di piazzale Corvetto, poi un bar a Caselle Landi. C’erano solo il bar e l’oratorio. Il mio mondo finiva lì. Ricordo qualche giretto in bici con il nonno. La mia era una biciclettina tipo bmx, con le ruote blu. Quando siamo andati ad abitare in un condominio, il mio mondo da orizzontale diventò quasi verticale perché, sempre con lo stesso mezzo, facevo avanti e indietro sulla rampa del garage: salita e discesa» ricorda questo ragazzone di 189 cm per 78 kg, che dopo anni a Fiorenzuola d’Arda, da un anno ha trovato la sua stabilità a Castell’Arquato, nel Piacentino, con la fidanzata Costanza.
«La prima vera bici l’ho ricevuta quando ormai abitavamo a Castelvetro, che è in provincia di Piacenza, perché si trova al di là del Po, ma che è più vicina - 5 km - a Cremona. Da giovanissimo fino ad allievo, nella Cremonese. Fu un caso: un compagno di classe di mio padre dirigeva questa squadra giovanile, io avevo voglia di cominciare a praticare uno sport, entrai lì e dal ciclismo non mi sono più allontanato».
Classe 1987, tra la categoria G1 e G6 conquista circa 130 vittorie, nelle successive stagioni brilla come una delle più luminose promesse del panorama nazionale, nel 2005 vince anche il nostro Oscar tuttoBICI riservato al miglior junior dell’anno. Sbarca nel professionismo nel 2009, dopo 3 anni in Liquigas e 3 in Astana, il 2016 sarà il suo secondo anno in Katusha. Nel team russo si è ritagliato un ruolo importante come ultimo uomo di Alexander Kristoff, il corridore più vincente della stagione da poco conclusa. Per parlare del suo presente e futuro passiamo la parola al protagonista di questa storia.
Come è stato il tuo 2015? «Un anno più che positivo, per cui sono molto contento. Quando il tuo capitano è il ciclista più vittorioso della stagione vuol dire che sei stato bravo, quindi posso essere soddisfatto del mio lavoro. Ci è mancata solo una vittoria al Tour per una serie di fattori, in primis lui non era in palla come di solito, ma non possiamo lamentarci. Conclusa la stagione, mi sono concesso un po’ di vacanza. Al termine del Criterium di Saitama mi sono trattenuto in Giappone con un amico, poi sono stato in Portogallo e infine in Spagna per il matrimonio del mio amico Quinziato. Essendomi ammalato quando dovevo correre l’Abu Dhabi Tour, sono praticamente stato fermo 5 settimane ma sentendomi in debito per aver saltato l’ultima corsa, senza stress, ho sempre pedalicchiato. Da metà novembre ho iniziato la preparazione».
Da dilettante eri considerato una grande promessa: ti aspettavi qualcosa di più per la tua carriera? «Nei primi anni nella massima categoria sinceramente credevo di poter diventare il leader di una grande squadra, ma bisogna essere intelligenti e nel tempo capire i propri limiti e i punti di forza. Sono felice del ruolo che mi sono ritagliato, non è niente male. In questo ambiente, se sai renderti utile puoi campare per tanti anni, altrimenti ti remi contro da solo. Non si può essere tutti dei numeri uno, bisogna sapersi reinventare e trovare la giusta collocazione. Non ho rimpianti, sono molto contento del lavoro che svolgo e mi sto togliendo grandi soddisfazioni».
Che clima si respira in Katusha? «È un bell’ambiente. Nel gruppo con cui corro più spesso ci sono molti giovani e non c’è una nazione prevalente, avere a che fare con un mix di culture e punti di vista è davvero stimolante. Nel roster è cambiato qualcosa rispetto all’anno passato ma sono fiducioso che anche nel 2016 ci troveremo bene. Dal 1° dicembre tutti al lavoro a Calpe per stilare i programmi e a gennaio ci aspetta il primo vero e proprio ritiro. Da quello che mi ha detto Alex, in linea di massima vorrebbe replicare il calendario fatto l’anno scorso. Con lo spostamento ad agosto delle gare in Norvegia, c’è l’eventualità di inserire il Giro d’Italia nel nostro programma, io ci spero ma dipende da lui. Questa volta sono io a seguirlo a ruota, la traiettoria che prenderà la nostra stagione sarà lui a sceglierla».
La prima cosa che ti colpisce di una bici? «La grafica. Poi il colore. Il resto lo capisco quando ci salgo sopra: una bici si sente. La bici per me è musica, altra mia grande passione. La bici insegna anche ad ascoltare se stessi. Molti dicono: guarda quello, va in bici, va per il mondo, ed è pure pagato. Molti pensano: bella la vita del corridore. Bella sì, ma bisognerebbe guardare anche che cosa c’è dietro. Se si è arrivati qui, è perché ti alleni, perché dopo l’allenamento devi recuperare e cioè riposare, perché sei lontano da casa, famiglia, donna, amici, perché sulla strada rischi, perché c’è sempre qualcuno pronto a prendere il tuo posto magari rischiando di più e chiedendo di meno».
Chi ti è stato vicino in questi anni? «Tante persone: non faccio nomi perché ne scorderei senz’altro qualcuno. A chi sono riconoscente non serve un’apparizione sul giornale. Certamente devo ringraziare la mia famiglia. I miei genitori e i miei fratelli: Alessio dell’83 e Francesco del ’94. Entrambi hanno fatto i ciclisti per un breve periodo ma oggi lavorano. La mia non è una famiglia di ciclisti, io ho iniziato a pedalare per caso, come vi ho detto. Mamma Magda e papà Vinicio mi hanno portato a tesserarmi alla prima squadra, ma è sempre stata una mia scelta continuare e sono felice sia andata così. Quando le cose mi vengono imposte non lo gradisco, il ciclismo è uno sport davvero impegnativo ma l’ho sempre voluto fare».
Ricordi la tua prima gara? «Benissimo. Eravamo a Lodivecchio, papà mi aveva promesso un paio di occhiali nel caso avessi vinto, ci riuscii ma arrivai molto arrabbiato perché non avevo ripreso la moto (ride, ndr). Ero G1 e non sapevo nulla di come funzionasse una corsa, quando mi spiegarono che la moto apripista non serviva superarla per arrivare primo e ricevetti il mio premio, fui molto più felice».
Con chi ti alleni solitamente? «Generalmente da solo, qualche volta con il biker Marco Aurelio Fontana visto che abitiamo davvero vicino, ma in bici facciamo fatica ad andare d’accordo. Lui deve fare allenamenti più brevi dei miei, così capita che mi tira il collo per 3 ore andando a tutta, quando io poi da solo devo arrivare a 6, quindi è più facile che ci troviamo per un giretto o al bar con gli amici».
La prima cosa che fai al mattino quando ti svegli? «Lavo la faccia e mi preparo un caffè, ho bisogno di svegliare il cervello».
L’ultima cosa che fai prima di andare a letto? «Faccio il punto su ciò che ho da fare il giorno dopo. Quando sono a casa penso a tutte le faccende che devo sbrigare, dal commercialista al meccanico. Niente di drammatico per l’amor del cielo, ma quando siamo in ritro manco ci dobbiamo lavare i panni, quindi la differenza si sente».
L’aspetto più bello del ciclismo? «Ci dà l’opportunità di vedere posti bellissimi. Far diventare una passione il proprio lavoro è un privilegio: mi permette di avere un’indipendenza economica divertendomi, guardando i miei coetanei mi sento fortunato».
Il peggiore? «In generale è uno sport un po’ bistrattato, la gente comune non ci vede di buon occhio. Al di là di questo, i ritmi che abbiamo rendono complicato avere una vita sociale, le relazioni con parenti, morosa e amici sono messe alla prova. Non sempre è facile, ma il segreto è circondarsi delle persone giuste. A Costanza, per esempio, del ciclismo non frega molto ed è perfetto così almeno quando sto con lei stacco davvero dal mio lavoro».
Come trascorri il tempo libero? «Senza musica non potrei vivere. Ho un sacco di cd. Non suono alcuno strumento, mi piace la batteria ma è impegnativa fisicamente e per imparare a suonarla ci vuole tempo per seguire dei corsi. Il mio migliore amico Francesco è un chitarrista e mi spinge ad approfondire questo interesse, magari quando sarò più libero... Mi piace molto anche leggere, la musica e i libri tra l’altro sono le due cose più semplici da portarsi in viaggio e per un giramondo come me sono l’ideale. Mi piacciono le moto e stare all’aria aperta, specialmente sui colli vicino a casa che offrono scenari davvero speciali».
Ultimo libro letto? «Gli Innamoramenti di Javier Marías».
Ultimo film visto? «In ambito cinematografico non sono aggiornato, in genere arrivo con un anno di ritardo, ad ogni modo ultimamente in aereo ho visto Inside Out, un cartone che mi è piaciuto molto».
Canzone preferita? «Che domandone, non riesco a scegliere (sorride, ndr). Sparo un gruppo però: gli Eels mi piacciono un sacco perché sono imprevedibili, una volta sono in tournée con l’orchestra, la volta successiva suonano rock and roll... Sanno sempre lasciarti a bocca aperta».
Il tuo punto di forza e il tuo punto debole? «La fiducia, se intorno a me ho un ambiente che me ne dà tiro fuori il meglio di me, se al contrario chi mi sta attorno nella vita come in squadra non crede in me, tendo a chiudermi e a perdere confidenza in me stesso e nei miei mezzi. Ci sto lavorando perché ho visto che questo influenza molto il mio rendimento».
Ambizioni per il tuo futuro ciclistico? «A breve termine spero di ripetere la stagione scorsa dimostrandomi una valida spalla per Kristoff, di cadere meno e di far bene nelle classiche in cui la scorsa stagione non sono riuscito a dare il meglio di me. Finito il lavoro per Alex al Tour, il mio obiettivo personale è di entrare nella nazionale per il campionato del mondo in Qatar. Voglio indossare la maglia azzurra. Pensando più in grande e ai prossimi anni, il mio sogno sarà sempre vincere una Roubaix, la gara in assoluto più bella di tutte. Magari una volta avrò l’occasione di correrla da leader...».
Jacopo Guarnieri quand’era U23 era indicato dai tecnici come un più che probabile erede di Mario Cipollini per la sua potenza e per la sua capacità di sprintare molto lungo senza perdere velocità, poi però, passato professionista, si è dovuto ridimensionare al cospetto di avversari nettamente più forti, determinati e preparati rispetto a quelli che aveva incontrato nelle categorie giovanili.
Poche vittorie (per uno sprinter come lui) e qualche piazzamento di troppo lo hanno forse convinto che era il caso di volare più basso rispetto ai sogni che le sue pur tantissime vittorie da ragazzino gli avevano fatto legittimamente coltivare e così, con intelligenza, Jacopo ha pensato fosse meglio mettere le sue qualità a disposizione di qualche capitano più vincente di lui.
Se i tecnici di Katusha vedono però in lui in “gregario di lusso” non si può che dargli ragione visto il più che ottimo lavoro che questo ragazzo riesce a svolgere per Kristoff, ma sono sicuro che, recuperando un po’ di fiducia nei suoi grandi mezzi atletici e con un pizzico di fortuna in più, Jacopo Guarnieri possa tranquillamente regalare ai suoi tifosi tante vittorie, e che forse un domani nemmeno crederà di aver conquistato.
Per il momento il Mondiale in Qatar gli strizza l’occhio, per questo dico che la Maglia Azzurra può essere benissimo alla sua portata e con la quale può fare molto (ma molto) bene.
DAI JACOPOOO!!!
Bartoli64
24 dicembre 2015 01:01IngZanatta
Ho visto Guarnieri fare alcune volate davvero impressionanti. Condivido la sua scelta di mettersi al servizio di Kristoff, ma comunque speriamo che la katusha riesca in qualche occasione a schierare Guarnieri capitano. Chissà se riuscirò ad imbattermi in Jacopo in allenamento sulle salite della valdarda, da Morfasso al monte santa franca al parco provinciale...
Jacopo il Biringhello
25 dicembre 2015 17:14pagnonce
Jacopo il Biringhello sei sempre quello.Scaltro a non farti scappare l'attimo fuggente perché sei lucido di mente ,in questa occasione speciale ti auguro Buon Natale.Tuo sempre tifoso Angelo
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