BASSO. «Io, al servizio di Alberto»

PROFESSIONISTI | 01/04/2015 | 07:13
È uno dei corridori più seguiti sui social, con oltre 230 mila follower su twitter. La tecnologia gli è sempre piaciuta e non ne ha mai fatto mistero. Ora, però, il nuovo Ivan Basso, 38 anni a novembre, va alla ricerca di nuove sensazioni.
Va sempre spedito per la sua strada, Ivan. Ma oltre alla velocità, che è il suo mestiere da più di venticinque anni, ha scelto di riscoprire anche la lentezza.
«Non ne faccio l’elogio e nemmeno una filosofia, ma per me è una necessità. Si matura, si incontrano persone im­portanti che ti fanno notare certe cose, o semplicemente sei predisposto a notarle. Persone importanti, grandi sport­ivi o capitani d’industria che usa­no sì il computer, i tablet o il telefonino. E magari twittano anche, ma con metodo, non in maniera compulsiva. Ecco, dopo anni a tutta velocità, dove le mie mani erano sempre occupa­te da una protesi elettronica, ora ho riscoperto il piacere di stare a braccia conserte. Con le mani sgombre e la mente occupata da pensieri e riflessioni. Meglio leggere un libro, o ascoltare le persone che ti parlano. Dico cose banali, ma di questi tempi, almeno per me, le cose semplici hanno il valore di una rivoluzione copernicana».

Sei già pronto per fare il “mental-coach”.
«No, sono ancora corridore e per due anni lo voglio fare al meglio, fin quando correrà Alberto (Contador, ndr), che alla fine della prossima stagione appenderà la bicicletta al chiodo. Però nel nostro team, che è certamente una delle più forti formazioni del mondo (la Tinkoff Saxo Bank, ndr) e tra le più attrezzate anche a livello tecnologico, stiamo riscoprendo il gusto del dialogo, della parola. Conoscersi è la scoperta più bella che un uomo possa fare. E non esiste squadra, senza dialogo».

Con la Vuelta Andalucia (cinque tappe, ndr) è iniziata una stagione molto importante: cosa ti aspetti?
«In queste settimane, voglio mettere a pun­to una preparazione che deve dare i suoi frutti per il Giro. Dalla stagione, un Giro da protagonista in aiuto di Al­b­erto, che a maggio viene sulle nostre strade per vincere e poi puntare a vincere anche in Francia e forse anche in Spagna…».

Dovrà fare i conti anche con il nostro Fabio Aru, il vice Nibali che studia da campione.
«Fabio è giovane e ha tutto per diventare un grande: sarà certamente un os­so duro, come tutta la sua Astana. Ma non sarà il solo. Bisognerà stare attenti anche a gente come Rigoberto Uran. Io cosa mi aspetto? Di stare lì con Al­berto: più ci sto, meglio è per tutti».

Tu che hai cresciuto in Liquigas il giovane Nibali, pensi che abbia fatto bene a puntare tutto e solo sul Tour?
«Queste sono decisioni che si prendono solo al termine di riflessioni importanti e profonde. Vinokourov, Mar­ti­nel­li, Slongo, lo stesso Vincenzo, avranno messo sul tavolo tutto e sono arrivati a prendere questa decisione. Come posso dire io se è giusto o sbagliato? Sarei un presuntuoso. Di una cosa sono sicuro, conoscendo Vin­cen­zo lui avrebbe corso tutto: Giro, Tour e Vuelta».

Ti saresti immaginato che Vincenzo arrivasse a vincere quello che ha vinto in questi ultimi anni?
«Era un predestinato, su questo non c’erano dubbi. Era un po’ “naif”, ma anche dotato di una classe purissima. Ora so che ha fatto tesoro di tante esperienze ed è un professionista con i fiocchi. Lui, Al­berto e Froome sono gli uomini più forti del pianeta per quanto riguarda di Grandi Giri».

Cosa differenzia e cosa ac­comuna Nibali a Con­ta­dor?
«Entrambi sono imprevedibili. Com­bat­tivi co­me pochi. Estro allo stato pu­ro. Alberto è molto me­todico, il Vin­cenzo che ri­cordo io molto più istintivo. Ma non so se è ancora così».

Può puntare al bis al Tour?
«Dal 2010 ad oggi, quando ha corso un Grande Giro Vin­cenzo l’ha vinto o è finito sul podio. Fa parte della categoria dei fuoriclasse: può fare e ottenere qualsiasi cosa».

Come è iniziato il tuo anno?
«Con una lunga riflessione. Dopo la Vuelta 2013, quella della gelata, non sono stato più lo stesso. L’ultimo periodo per me è stato davvero frustrante. Non ero più abituato a pedalare in quelle posizioni del gruppo. Però ho avuto una grandissima fortuna, quella di essere aiutato da persone eccezionali come Roberto Amadio, Stefano Za­natta e Alberto Volpi, con i quali io ho lavorato per sette stagioni, prima in Liquigas e poi in Can­non­dale. Ab­bia­mo chiuso un rapporto importante, nel migliore dei modi. Con Roberto, Ste­fano e Alberto ci sentiamo molto spesso come amici, ma anche come persone che hanno condiviso stagioni importanti della nostra vita. Un corridore, generalmente corre da professionista dieci, dodici, quattordici anni e vi­vere sette di questi con la stessa squadra è cosa da poco. Per me è stato un matrimonio felicissimo. E per ritrovare me stesso, per fare un punto sugli errori commessi, sulle scelte giuste da fare per il mio futuro, queste persone sono state ancora una volta fondamentali, come del resto il presidente  Paolo Dal Lago e patron Paolo Zani  che non ho mai smesso di sentire, perché su di lo­ro io ho sempre potuto contare».

Cosa hai capito dalla stagione fallimentare targata 2014?
«Ho compreso quanto possa fare male la sfiducia. Puoi fare lo stesso 440 watt alla soglia e non arrivare nei primi cinquanta e farne 425 e arrivare con i pri­mi. I corridori sono lì che si arrovellano per migliorare la produzione dei pro­pri watt ma spesso c’è da allenare la testa. Per questo il nuovo Basso, che può anche essere l’ultimo, ha un entusiasmo incredibile: sono passato da una delle più belle squadre del mondo a quella che vuole a tutti i costi diventare la più forte e la più bel­la di tutte. Quando sei circondato da grandi campioni e da un entusiasmo particolare vieni a tua volta contaminato. Ho ri­messo al centro di tutto il mio progetto la testa, il fisico viene di conseguenza».

Come vedi Alberto?
«Alberto ha una grandissima considerazione per la mia persona, mi ha fortemente voluto per quello che si aspetta che io possa dare per lui. Ha bisogno di un uomo che deve spendere qualcosa in più, in modo che lui possa risparmiare e avere le energie essenziali per poter fare la differenza al momento giusto. Alberto non deve imparare a vincere, perché quello lo sa fare perfettamente da solo, anzi può solo insegnare a tutti come si fa, ma ha bisogno di persone capaci di proteggerlo e fargli risparmiare quelle energie che possono risultargli utili più avanti».

Va già forte?
«Non l’ho mai visto andare piano. Con­­­tador va forte sempre, come Vin­cenzo (Nibali, ndr) e Froome. Quando questi tre si incontrano è spettacolo assicurato. È come Juve-Milan: nonostante i venti punti che li separa è sempre un match di cartello. Questi tre non sanno nemmeno cosa significhi cor­rere per trovare il giusto colpo di pedale. Loro una volta che si mettono il numero sulla schiena danno battaglia, anche se la condizione non è ottimale. È nel loro DNA».

A sentirti parlare Alberto ha già vinto il Giro.
«Nel ciclismo non c’è mai nulla di scontato. È ovvio che lui parte per vincere e Alberto, assieme a Vincenzo e Froome sono i più forti del pianeta in materia di Grandi Giri».

Quintana non lo metti con questi tre?
«Giusta osservazione. Però io ragiono guardando l’ultimo quadriennio e questi tre sono una garanzia. Sì, possiamo aggiungere Nairo, però anche Uran e Aru, come ti ho già detto, non sono da meno».

Come va con i quattro bimbi a carico?
«Io sono un uomo fortunato, perché ho Micaela al mio fianco che fa un la­voro eccezionale. Il segreto è molto semplice: coinvolgere la tua famiglia in quello che fai. Ora ho Tilla e Santiago che sono complici. Mi seguono, aiutano un pochino Micaela che è la vera team manager della squadra e io il tattico. È una famiglia ben collaudata. Tornando indietro al periodo della mia squalifica, io dico sempre che quei due anni sono stati terribili, ma mi hanno do­nato comunque qualcosa di estremamente prezioso. La sofferenza e la ca­pa­cità di stare uniti anche in un mo­mento difficile come quello ha cementato il nostro rapporto. Molti sarebbero saltati per aria, noi siamo diventati a tutti gli effetti una famiglia. Una grande famiglia, visto l’arrivo di Tai dopo Tilla, Santiago e Levante».

Stagione numero 15 togliendo le due in panchina…
«Sono passato nel ’98 con la maglia dell’Asics. Sono cambiato? Sono inevitabilmente cresciuto. Non sono più un ragazzino, ho quasi quarant’anni. Se non vedi la vita con gli occhi diversi sei un imbecille. Imbeccato da un allenatore di calcio di primordine di serie A, di cui non voglio fare il nome, sono arrivato ad alcune conclusioni importanti. Questo amico, conosciuto a Moena, una volta nel vedermi intento a smanettare con il mio iPhone e tablet a tutta velocità mi ha detto. “Ivan, impara a in­terfacciarti con la testa di quelle persone, non con le loro protesi elettroniche”. Aveva perfettamente ragione. Quan­do vado al Teide rinasco: là non prende internet, non prende il cellulare e il mondo non finisce. La testa si ri­mette in moto. La frenesia si trasforma in lentezza e io, che della velocità ho fatto una professione, ho imparato anche a sublimare la lentezza con un li­bro, con una passeggiata nei boschi, con una chiacchierata con i compagni di squadra. Si parla sempre di preparazione e allenamenti, ma ormai quasi tutti sanno cosa si deve fare e l’allenamento è quattro/sei ore della nostra giornata. Mi sono detto: e del resto del tempo cosa fai, smanetti con il cellulare? Meglio ritrovare il piacere del dialogo e dell’ascolto».
Musica per le nostre orecchie.

Pier AugustoStagi, da tuttoBICI di marzo
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