VINOKOUROV. «Nibali esalterà il nostro progetto»

PROFESSIONISTI | 06/03/2014 | 08:23
L’Italia è conosciuta nel mon­do per il vino, ma anche grazie a “Vino” Vinokou­rov, campione olimpico in carica e uomo simbolo del Kazakhstan che ha scelto l’Italia e un buon nucleo di italiani per fare grande la sua nazione e, indirettamente, anche la nostra.
In carriera ha vinto tanto, Vinokourov. Ha appassionato il pubblico ma ha an­che sollevato non poche perplessità tra gli osservatori di mezzo mondo per via di qualche incidente di percorso (due anni di stop per trasfusione omologa al Tour del 2007, ndr) che ne hanno macchiato la carriera. Nato il 16 settembre 1973 a Petropavlovsk, a 50 km dal confine russo, ha iniziato a pedalare a die­ci anni (quando era così piccolo che il suo allenatore fu costretto a tagliargli il telaio di una bici usata e a risaldarlo) ri­velandosi un vincente fin dalle categorie giovanili. Passato professionista nel 1998 con la Casinò, nel 2000 si è trasferito alla Telekom di Jan Ullrich, in cui ha militato per sei stagioni. In cerca di nuovi stimoli, si è trasferisce alla Li­ber­ty Seguros nel 2006 e, quando la formazione spagnola si trova invischiata nell’Ope­racion Puerto, è riesce a convincere alcuni influenti personaggi ka­zaki ad investire nel ciclismo. La squadra, chiamata Astana come la capitale del Paese, poté proseguire la stagione, affermandosi in seguito come una delle più im­portanti al mondo. Forte sia in salita che a cronometro, l’atleta più grande della storia kazaka insieme allo sciatore Vladimir Smirnov, in carriera ha saputo vincere sia corse a tappe che gare di un giorno fino, ad aggiudicarsi il titolo olimpico a Londra a 39 anni, alla sua ultima corsa.
Oggi, dopo essere stato nel bene e nel male protagonista degli ultimi quindici anni di questo sport, con una intera nazione sulle spalle sta portando avanti un progetto certamente interessante quan­to proficuo anche per le due ruote di casa nostra. Alla sua Astana, nata e sorretta da un budget tra i primi al mondo (quasi 20 mi­lioni di euro, ndr), grazie alla sua popolarità («in patria sono molto famoso, è difficile andare in giro con me perché ogni due passi qualcuno mi ferma» racconta, ndr) e alla sua in­fluenza politica in Kaza­khstan, Paese grande nove volte l’Italia, si ag­grap­pa­no molte delle speranze degli appassionati del ci­clismo italiano e stipendi di più di venti lavoratori no­stro compatrioti. Nel ro­ster 2014 troviamo infatti dieci corridori azzurri, tan­ti quanti i kazaki, e tredici membri dello staff tra direttori sportivi, meccanici, massaggiatori e segreteria... 

Vino, perché crede negli italiani?
«Perché al momento sono i migliori sulla piazza. Sono i più forti al mon­do. Nel 2010 i numeri uno erano gli spagnoli, magari tra qualche anno emergeranno altre realtà... Fino a quando lavorerò bene con loro, continueremo così, se domani non lavoreranno come chiedo punterò su altri. Il discorso è semplice».

Il Giro d’Italia è escluso al cento per cento nel programma di Nibali?
«Direi di sì, l’obiettivo primario per la nostra formazione quest’anno è conquistare la maglia gialla, quindi Vincenzo deve togliersi dalla testa quella rosa vinta un anno fa. Dopo il debutto in Argentina correrà il nuovo Tour of Dubai, in Oman (nascita della primogenita Emma permettendo, ndr), Parigi-Nizza, Sanremo, Criterium Interna­tional e, sempre in ottica Tour, Fiandre, Amstel Gold Race, Liegi, Romandia e Del­fi­nato. Ci concentreremo totalmente sulla Grande Boucle, dove dovremo vedercela con squadre molto competitive tipo la Sky e con corridori di caratura mondiale. Dal canto no­stro andiamo per vincere. Al fianco di Vin­cen­zo schiereremo Scar­poni, Va­not­ti, Fu­glsang, Kes­siakoff, Kangert, Braj­kovic, We­stra e Grivko o Gruz­dev. Al Gi­ro ad ogni modo po­tremo contare su un team ambizioso con Michele Scar­poni che punta de­ci­so al po­dio fi­nale e Aru che può far sua la ma­­glia bianca di mi­glior giovane e finire tra i primi cinque della generale, accumulando esperienza importante per il futuro. Fa­bio ha tutto il tempo davanti a sé per crescere e non voglio che sen­ta troppa pressione sulle sue spalle. Un giorno però sono convinto potrà vincere la ma­glia rosa».

Perché ha scelto Vincenzo come capitano del suo team?
«Perché mi piace e perché è forte. Lo apprezzo per quanto è rispettoso. Per come si porge con tutti i compagni, gli sponsor e i media... Per questo dopo la vittoria al Giro d’Italia abbiamo prolungato il contratto che lo lega a noi fino al 2016».

In cosa deve migliorare a suo avviso?
«Deve essere più deciso con i gregari, più cattivo, se mi concedete il termine. Lui, essendo il leader del team, deve dettare la linea senza tentennamenti o esitazioni. Se in corsa decide che la squadra deve stare davanti, deve tirare un urlo ai compagni che sono pagati per seguire i suoi ordini. Lo voglio ancora più grintoso».

Come mai non è andata in porto l’operazione Pellizotti?
«È stata una storia molto complessa e delicata. Ne ho parlato a lungo anche con il suo procuratore e sono felice che Gianni Savio ab­bia deciso di tenerlo legato al proprio team (la Androni Venezuela, ndr). La vicenda la conoscete: con noi Franco avrebbe potuto attaccare il numero sulla schiena solo a maggio (in virtù dell’adesione del team kazako al “Movimento Per un Ciclismo Credi­bi­le”, il cui regolamento prevede che un corridore non possa competere nel WorldTour sino a due anni dall’ultimo giorno della sua squalifica e quella di Pellizotti, che si basava su anomalie del suo passaporto biologico, si era esaurita il 2 maggio del 2012, ndr). Non era una situazione semplice. A malincuore ho rinunciato a Franco, ma nel­la situazione in cui eravamo non potevo prendere altra decisione. Ad ogni mo­­do con Scarponi noi siamo più che a posto. Non posso lamentarmi della nostra campagna acquisti».

Crede davvero in movimenti come il MPCC?
«Sai, visto che la mia squadra vi ha aderito sa­rei folle a dirti che non hanno senso... Quello che posso però affermare senza problema alcuno è che il no­stro mondo ha bisogno di una maggiore uniformità di normative, l’UCI do­vrebbe trovare un punto di incontro con questi organismi per creare un progetto uniforme ed efficace, evitando confusione e sovrapposizioni».

Qual è la filosofia della sua squadra?
«Cento per cento vincere (dice letteralmente con il suo italiano dallo spiccato accento russo, ndr). Possiamo migliorarci ancora quindi chiedo a tutti i com­ponenti della squadra di dare il massimo. Sfruttando il progetto del Presi­dential Club, che sta avendo grande eco, dobbiamo collaborare con Payn­e e prendere spunto anche dagli altri sport e riuscire a far fare alla nostra squadra-famiglia un ulteriore sal­to di qualità».

C’è ancora più Italia nell’Astana 2014, che già due anni fa tuttoBICI aveva ri­bat­tezzato KazakItalia.
«Per quanto riguarda lo staff personalmente io ho scelto Martino (il team ma­nager Giuseppe Martinelli, ndr) e lui ha proposto uomini di sua fiducia, anche per una questione di vicinanza e di lingua, che a me stanno bene. Con il vostro Paese abbiamo un legame forte non solo per la nazionalità del nostro capitano ma perché stimiamo la vostra tradizione ciclistica, anche per questo abbiamo scelto di puntare su una formazione femminile italiana come la BePink e presentare la squadra a Rez­zato (Bs). Apriamo una parentesi sul team rosa: abbiamo dato le redini a Zulfia Zabirova, campionessa olimpica e mondiale, che sarà la Vinokourov del­l’Astana Be Pink e punterà a far crescere le giovani cicliste del nostro pae­se che finora, al raggiungimento dei 18 anni, abbandonavano l’attività agonistica. Anche il nuovo presidente UCI mi sembra spinga per la promozione del ciclismo rosa...».

Sa che Stefano Zanini era tra i candidati al ruolo di Commissario Tecnico della Na­zionale Italiana?
«Sapevo che Bettini aveva lasciato il ruolo vacante, ma non ero a conoscenza della nomination azzurra di Stefano... Beh, sono contento che alla fine il presidente Di Rocco abbia scelto Davide perché personalmente non penso ci sia storia tra i due. Non conosco da vicino Cas­sani, ma so molto bene quanto è bravo Stefano, quindi sono felice di vederlo ancora impegnato sulla nostra ammiraglia».

Rimpiange il periodo in cui pedalava?
«Mi divertiva correre quanto mi ap­paga oggi la professione dirigenziale che svolgo da due anni a questa parte. La fatica è uguale anzi, forse è anche maggiore: sicuramente a livello di stress è molto più logorante. Viaggio tanto, sono costretto a stare molti giorni lontano da casa (vive a Montecarlo con la moglie Svetlana e i loro tre figli: Irina, 15 anni, e i gemelli Nicolay e Alexandr di 12, ndr) e gli aspetti a cui devo prestare attenzione sono molteplici. Ho smesso di correre nel momento giusto, non ho rimpianti. In carriera ho vinto tutto quello che volevo. Ho tagliato a braccia alzate il traguardo finale del Tour sugli Champs Elysées, ho vinto una grande cor­sa a tappe co­me la Vuel­ta, sono campione olimpico in carica e il ruolo di general manager è proprio quello che ci voleva in questa fase della mia vita».

Era meglio il ciclismo dei suoi tempi o quello di oggi?
«Mah, non è semplice ri­spondere an­che perché non è passato tanto tempo da quando ho appeso la bici al chiodo. I giudizi sulla mia epoca? Non me ne curo... La vita continua, il ciclismo ha superato tanti scandali e va avanti. Og­gi le gare sono appassionanti, anche se credo si senta un po’ la mancanza di corridori carismatici e istintivi come Bettini o come me, noi attaccavamo sen­za riflettere troppo regalando al pubblico vero spettacolo. Tra i ciclisti del momento Vincenzo è l’eccezione che conferma la regola, il suo estro sarà la nostra carta vincente».

di Giulia De Maio, da tuttoBICI di febbraio
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