
Andava in fuga. E mandava in fuga. Non in corsa, ma nella vita. Non solo sulla strada, ma anche sotto la strada. Harry Seidel, tedesco di Berlino, del 1938, campione nazionale di ciclismo su pista nell’americana e intanto elettricista poi corriere di giornali: dopo la Seconda guerra mondiale, quando si trovò nella parte est, diviso da un muro dalla parte ovest, andò in fuga. La prima volta da solo, lo stesso giorno – il 13 agosto 1961 – in cui il Muro di Berlino venne eretto. La seconda volta tornando a est e ritornando a ovest ma con moglie e figlio. La terza volta organizzando una fuga di gruppo: 34 persone. La quarta volta – arrestato ed evaso - ancora da solo. Da quella volta in poi in un tunnel sotto terra, gruppi da 30, 50, 70 persone, comunque un totale superiore tra 100 e 200, fino a un nuovo arresto, una nuova condanna, stavolta all’ergastolo, una nuova detenzione. Dopo quattro anni di prigionia, l’irresistibile Seidel fu riscattato dal governo della Repubblica federale tedesca e liberato. E ricominciò a gareggiare. E perfino a vincere: a 35 anni campione nazionale nel quartetto dell’inseguimento su pista.
Le straordinarie fughe di Harry Seidel, “Il ciclista del Muro di Berlino”, sono raccontate da Giacomo Corbellini e pubblicate fra le “Storie dei Giusti dello sport” (Mimesis, 448 pagine, 22 euro, a cura di Gino Cervi, premessa di Gabriele Nissim, https://www.tuttobiciweb.it/article/2025/03/07/1741282006/ciclismo-sport-diritti-umani-gino-bartali). Il suo bisogno di fuga, e la sua ostinazione nel tentarla per sé e per famigliari, amici, conoscenti e concittadini, nasce probabilmente da un’ingiustizia: la mancata convocazione per le Olimpiadi di Roma. Aveva 22 anni e i titoli per partecipare ai Giochi, ma non fu considerato e scelto forse per il suo rifiuto a sottoporsi al doping (steroidi anabolizzanti), o forse per la sua dichiarata avversione al regime della Ddr.
L’11 marzo scorso Seidel è stato ricordato a Milano e accolto nel Giardino dei Giusti, “come un orologio che misura il tempo morale del mondo”, alla Montagnetta. Sei nuove targhe: oltre alla sua, anche quelle per lo sciatore polacco Bronislaw Czech, il mezzofondista e maratoneta cecoslovacco Emil Zatopek, sua moglie giavellottista Dana, il padre del movimento paralimpico in Italia Antonio Maglio e la calciatrice afghana Khalida Popal, in occasione delle Olimpiadi invernali del 2026, “un palcoscenico in cui lo sport si confonde con la vita e il destino”.
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