
La Milano-Sanremo era il suo primo appuntamento dell’anno 1950, il suo secondo da professionista. Correva per la Bartali, su una Bartali e per Gino Bartali. Professione gregario. Aveva 23 anni. A neppure metà gara, prima di Ovada, al bivio per Strada della Caraffa, andò in fuga: mollò il gruppo, pedalò verso Lerma, entrò in casa e appese la bici al chiodo.
Mario Benso non si chiamava Benso ma Benzo, e per amor di anagrafe, non si chiamava Mario ma Mario Luigi. Un refuso dei quotidiani gli cambiò l’identità sportiva. Era nato il 21 agosto 1926 lì, a Lerma, in via Calderoni 21. Lui alessandrino, dunque coppiano di terra, sarebbe diventato bartaliano di maglia. Ma prima dilettante nella Siof, l’università del ciclismo, Ettore Milano e Sandrino Carrea genuini compagni, Biagio Cavanna lungimirante cieco allenatore, nel 1948 al Gruppo sportivo Lancia di Torino e terzo nel campionato italiano dilettanti a Roma. E così passò al professionismo. Pare che Coppi, e poi anche Carrea e Milano, gli chiesero di entrare nella Bianchi, e pare che Benzo gli rispose che preferiva andare con Bartali, perché Bartali era il suo idolo. Se ne sarebbe pentito. Perché Benzo era solare, estroso, allegro, e invece Bartali era serio, rigoroso, pio. Quella volta che, nella Montecatini-Genova al Giro d’Italia 1949, Benzo fiutò aria di casa, al pronti-via andò in fuga, Bartali, che pretendeva di avere i gregari sempre accanto a sé, lo rimproverò e gli chiese spiegazioni, Benzo rispose che aveva “fame di gloria”. Quella volta che, Cuneo-Pinerolo al Giro d’Italia 1949, quella dei 254 km su e giù da Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere, tra asfalto e sterrato, tra alba e tramonto, tra pioggia e freddo, tra Italia e Francia, tra sacrifici e gloria, quella di – primo – Coppi capace di 192 km in fuga solitaria, quella di – secondo – Bartali a 11’52”, quella di - terzo – Alfredo Martini a 19’46”, e anche quella di – 65° e ultimo, - Mario Benso a 1.34’05”.
Quelle volte che, sempre al Giro d’Italia 1949, Benzo lottava con Carollo e Malabrocca per guadagnarsi la maglia nera, “non tanto per la maglia, ma per i soldi”, senza farcela (“Pensa te – amava ripetere – non sono neanche riuscito ad arrivare ultimo”), e comunque terminò la Corsa Rosa 63° e terzultimo – dunque: podio -, a 7.41’58” da Coppi, davanti a Malabrocca per l’inezia di 5’28”, e a Carollo per il baratro di 2.15’09”. E quella volta che, alla fine del Giro d’Italia 1949, al momento di dividere i premi, Bartali mise sul conto di Benzo tutte le banane – Gino sosteneva che si trattasse di una quantità impressionante – divorate strada facendo (e da quel giorno, con un eufemismo, Benzo avrebbe definito Bartali “stretto”). Quella volta che all’appuntamento per recarsi a una corsa Benzo non si presentò, il suo amico e collega Giovanni Meazzo andò a cercarlo e lo trovò impegnato con una signorina. Perché, vita da corridore, poca. E tutte quelle volte che, come ricordava “Pinella” De Grandi, al Giro d’Italia 1949, a tavola, Bartali e i suoi gregari stavano zitti, quasi cupi, e l’unico a ridere e scherzare, perfino da solo, era lui, Benzo.
Secondo gli archivi dell’anagrafe di Lerma, Benzo si trasferì a Ovada l’11 luglio 1950, si sposò nel 1952 a Tagliolo Monferrato con la signorina Anna Alpa e divorziò dalla stessa con un atto del Tribunale di Sanremo nel 1974, dal loro matrimonio nacque una figlia, Graziella, che abita a Sanremo. Smesso di correre, Benzo acquistò un camion e si specializzò nel trasporto del bestiame, mettendosi in proprio. Sofferente per un mal di gambe, ricoverato nell’Ospedale di Novi Ligure per una flebite, morì un paio di settimane dopo, il 15 ottobre 1994, per un’embolia. Al funerale fu accompagnato anche da Carrea, Milano e Meazzo. Fu, quella, la sua ultima fuga.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.