
Se negli ultimi 20 anni siete mai stati a una corsa in Spagna o se, molto più probabile, vi è successo di guardarne una in televisione, in partenza o al traguardo sicuramente vi sarà capitato, magari anche senza farci troppo caso, di sentire i nomi dei corridori scanditi in maniera forte e nitida da una voce molto chiara, una voce che, col tempo, è diventata assolutamente inconfondibile e quasi onnipresente in quel genere di contesto.
Ecco quella voce, così riconoscibile da farti comprendere anche senza il supporto delle immagini di essere o di star assistendo a una corsa spagnola, appartiene a colui che, a partire dalla fine degli anni ’90, ha accompagnato tutte le più grandi gesta ciclistiche avvenute sul suolo iberico, ovvero Juan Mari Guajardo.
Classe 1975 di Alsasua, Juan Mari è infatti dal 1997 lo speaker della Vuelta a España e dal 1998 quello di Vuelta Andalucía, Vuelta Comunidad Valenciana, Campionati nazionali e Challenge Mallorca, scandisce dal 2002 le vicende di Giro dei Paesi Baschi e Clasica de San Sebastian e ha commentato sul posto i Mondiali di Madrid 2005 e la tappa del Tour 2005 con arrivo a Pla-de-Beret. Ma non solo. I fatti di Vuelta a Murcia, Vuelta a Castilla y León, Vuelta a Asturias, Vuelta a Burgos, Clàssica Comunitat Valenciana 1969, Gran Premio Miguel Indurain, Clásica Ordizia come anche quelli delle principali competizioni di ciclocross, mountain bike e pista (per fermarci alle due ruote) sono stati tutti narrati, negli ultimi lustri, dall’inimitabile timbro di Guajardo che a suo modo, con una strabordante e coinvolgente dose d’entusiasmo, ha ritmato la storia del movimento ciclistico spagnolo.
In occasione della nostra ultima trasferta in Spagna abbiamo avuto l’opportunità di avvicinarlo per conoscerlo meglio e capire più nel dettaglio come viva al giorno d’oggi la sua professione.
Juan Mari, come è cominciato tutto?
“Ho iniziato ricevendo alcuni inviti per fare delle interviste proprio come questa e così è successo che m’innamorassi delle corse e di questo sport. Poi, a poco a poco, con il tempo ho avuto la fortuna di diventare la voce delle corse in Spagna”.
Quanto è difficile il tuo lavoro, oggi, tra la preparazione che richiede e il tempo che ti porta a stare lontano da casa?
“Molto, perché, per intenderci, dormo fuori casa in media 240 giorni l'anno. Nel 2024 ho passato 195 giorni in giro per seguire gare di ciclismo ma non solo visto che sono stato anche a competizioni di atletica, motociclismo, ginnastica ritmica, eventi di vario genere…di solito, comunque, il 95% del lavoro mi vede impegnato come speaker delle corse di ciclismo spagnole, da quelle dei professionisti a quelle degli Under 23 fino alle corse delle donne e quelle juniores. La preparazione? Mi piace segnarmi i roster delle squadre, i nomi dei corridori, i contratti e anche i loro palmares in modo tale da memorizzarli e ricordarmene più facilmente quando li vedo. Ogni giorno quindi, prima dell'inizio della tappa, preparo sempre i miei appunti su carta ma il momento più difficile è la vigilia della partenza di una corsa perché devo raccogliere le informazioni di tutti i corridori. Penso che il mio lavoro sia quello di dare valore a tutti ciclisti: per me sono tutti ugualmente importanti e, dal primo all'ultimo sulla linea di partenza, meritano di avere i loro dati e il loro spazio, bisogna dire e sapere se sono stati campioni nazionali nel loro paese, in quale categoria…È questo credo che dobbiamo offrire a tutti gli spettatori quando vengono a vedere le corse”.
Quanto è importante il tuo lavoro?
“Non so se il mio lavoro sia importante o meno. So per certo però che ho la fortuna di fare qualcosa che, per me, è una passione, non un lavoro. Amo quello che faccio, è la mia vita stare con i migliori ciclisti del mondo: ho accompagnato Magnus Cort nella sua prima vittoria alla Vuelta a España, ho visto grandi corridori come Alessandro Petacchi, Paolo Bettini, Gianni Bugno, ho visto vincere Mario Cipollini a Valencia, Fabio Aru, Vincenzo Nibali e tutte le stelle del ciclismo. Avere la fortuna di stare e poter intervistare su una linea di partenza campioni del genere per me non è un lavoro, non è un mestiere, è una passione, è vita. Il ciclismo è la mia vita e fare lo speaker non è nient’altro che un privilegio”.
È la passione dunque il tuo segreto?
“Sì, credo di sì. Bisogna averla per stare lontano da casa per molto tempo: è grazie ad essa che, anche con una famiglia e tre figli, andare via diventa un po’ meno pesante”.
C’è un campione, un corridore che porti nel cuore?
“Ce ne sono molti. Io sono della Navarra e la grande stella di questa terra è stata Miguel Indurain anche se non è grazie a lui che mi sono appassionato al ciclismo, perché l'ho conosciuto poco a poco solo dopo, ma con Bernard Hinault. Per me lui è stato un grandissimo come lo è stato anche Francesco Moser: a casa mia conservo una foto che ho fatto con lui quando ero bambino a un criterium. Mi ci aveva portato mio padre e in quell’occasione avevo potuto fare quella foto…quello è un ricordo speciale che porto nel cuore”.
Che rapporto hai con i colleghi che in Italia, in Francia, e in generale all’estero, fanno il tuo stesso lavoro? Vi sentite?
“Quest'anno ho conosciuto di persona Stefano Bertolotti ai Campionati Europei di ciclocross: prima eravamo in contatto attraverso i social, per me è stato un piacere salutarlo. Gli anni scorsi poi ho avuto il piacere di lavorare con gli speaker del Tour de France Michel Gélizé e Daniel Mangeas che per me è stato un grande riferimento: con lui ho fatto fianco a fianco la tappa di Pla-de-Beret al Tour de France nel 2006 vinta da Denis Menchov. Non conosco Paolo Mei ma lo seguo sui social network. Magari quest'anno avremo modo di lavorare assieme alla partenza della Vuelta a España dal Piemonte…vedremo”.
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