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“Guarda, mamma! So andare in bicicletta senza poggiare i piedi sui pedali”.
“Bada, Albertino! Sii prudente!”.
“Guarda, mamma, so andare senza mani!”.
“Attento, Albertino, è pericoloso!”.
“Ahi, mamma, fenfa denti!”.
Non è mai troppo tardi, Albertino. Alberto. Alberto Manzi. Docente, pedagogista, scrittore, il conduttore di quel programma – “Non è mai troppo tardi” -, che in tv tra 1960 e 1968, una sorta di scuola elementare aperta a tutti e con metodi diversi da quelli tradizionali. Un maestro paziente, buono, illuminato. Che invece della lavagna usava un grande blocco di fogli di carta, e che invece del gesso si serviva di un carboncino.
Dal 22 febbraio fino all’8 marzo gli studenti del liceo Ignazio Vian di Bracciano, Cultura Movens e il Centro Alberto Manzi propongono una mostra negli spazi dell’Archivio comunale di piazza Mazzini a Bracciano, una serie di pannelli sulla vita e l’attività dell’antico maestro nel centenario della nascita, con la presentazione del libro della figlia Giulia Manzi (28 febbraio) e un convegno con Beatrice Boggi, Patrizia D’Antonio, Roberto Farnè e Renata Puleo (1° marzo). L’ingresso è libero.
Il 12 gennaio 1962, per insegnare la lettera B, Manzi invitò in studio due giganti della B: il baritono Gino Bechi, che intonò la cavatina di Figaro dalla B come “Barbiere di Siviglia”, e Gino Bartali, che ricordava la B della bicicletta. In un estratto della trasmissione dalla Teche della Rai, intorno al minuto 17’30”, Manzi annunciò la presenza di un ospite speciale. E Bartali prese in mano la situazione (https://www.teche.rai.it/2024/11/non-e-mai-troppo-tardi/).
Dopo immagini di repertorio e altre tratte dal Giro dell’Emilia che Gino vinse nel 1953, Bartali era già al blocco dei fogli di carta per scrivere il proprio cognome. “Lei mi sta rubando il mestiere”, gli disse affettuosamente Manzi. Gino annunciò che avrebbe fatto “un discorsetto” mai fatto prima a tutti i suoi amici “che chissà quante volte sulle strade d’Italia ci siamo visti”: “Voi avete visto quanta fatica e quanti sacrifici dobbiamo fare per raggiungere un traguardo”, “io nella mia carriera di traguardi ne ho raggiunti tanti”, “però credo che più importante per voi è il traguardo dello studio, che non finisce mai, dura tutta la vita”, “mentre nello sport un traguardo, una vittoria, dura pochi giorni, può durare un anno, ma poi viene dimenticato”. Infine una raccomandazione: “Cercate di imparare bene”, “i sacrifici che voi dovete fare sono più forti di quelli che facevo io in bicicletta”, “impegnatevi a fondo”, “fatelo con tanta volontà”. “E così l’autografo, la prossima volta – si congedò Bartali dai suoi telespettatori – quando ci incontriamo su tutte le strade d’Italia, lo farete voi a me”.
Nei pannelli della mostra a Bracciano c’è un altro riferimento ciclistico: su un pannello dedicato all’alfabetizzare, fra tanti bambine e bambini, donne e uomini chini sui banchi, fra cani e gatti incuriositi, un paio di asinelli e qualche mucca, due barchette e – in cima a tutto, all’altezza delle Alpi - una lavagna con le lettere maiuscole A B C, in cima a tutto, c’è un uomo col cappello in bicicletta. L’italiano.