Nel 2015 l'incredibile vittoria nella Vuelta a España, un bel punto esclamativo nel pieno della carriera. Poi il ritiro giovanissimo, a 31 anni, dopo il calvario dovuto alla costrizione dell'arteria iliaca della gamba sinistra, un problema che ti fa «andare al 50%», una percentuale che non puoi permetterti se sei un leader come Fabio Aru.
Ma nessun pentimento per l'ex Astana ma soprattutto UAE Emirates, squadra in cui ha visto nascere e crescere il fenomeno Tadej Pogačar. La Vuelta vinta a 25 anni, un successo incredibile.
Che momento è stato?
«È arrivata dopo una serie di buone prestazioni, diciamo che dal 2014 avevo iniziato a fare classifica nei grandi giri perché arrivai terzo al Giro, quinto alla Vuelta nello stesso anno con un parterre di altissimo livello, battagliavo con Contador, Rodriguez, Valverde, Froome... dieci anni fa a quell'età (24 anni, ndr) aver risultati così non era una cosa usuale, adesso si vedono ragazzi come Evenepoel e Pogačar che vanno forte già a 20 anni. È stato un successo molto importante perché nello stesso anno arrivai secondo al Giro, entrambi i risultati erano stati la conferma di una crescita costante soprattutto nelle gare a tappe».
Le grandi corse a tappe ti sfibrano anche dal punto di vista mentale. Quando ha capito di aver vinto quella Vuelta?
«È stata molto combattuta. Sino alla penultima tappa avevo sei secondi di svantaggio da Dumoulin, poi l'intenzione di tutto il team era quella di rendere la penultima tappa più dura rispetto a quello che poteva sembrare sulla carta. Sulla Morcuera abbiamo fatto un ritmo forte, Dumoulin ha preso qualche metro. È stato sicuramente un ottimo lavoro di squadra reso possibile dal fatto che tutti avessimo una buona condizione. È stato un connubio di cose che ha reso possibile il risultato, l'Astana era una squadra forte, c'erano Landa, Nibali, c'erano tanti atleti di un livello buono, questo rendeva possibile questi risultati».
Secondo lei cosa è cambiato nel ciclismo?
«Ti dico la verità, mi sarebbe piaciuto, nei miei primi anni, avere le nozioni e le informazioni tecniche che hanno gli atleti adesso, sono già seguiti sin da giovani in maniera molto specifica. Prima non è che non si facessero queste cose, non è che si mangiavano patatine fritte tutti i giorni, però c'era un po' più di leggerezza, si mangiava un po' a sensazione, adesso gli atleti sono seguiti tutto l'anno sotto questo punto di vista. La ricerca dei materiali, dell'aerodinamica fa si che il livello si sia alzato parecchio, mi sarebbe piaciuto avere queste nozioni, ma il ciclismo andava così, è logico che anno dopo anno ci siano dei cambiamenti, mi auguro che questo possa far sì che gli atleti non perdano già da giovanissimi, io mi sono ritirato a 31 anni relativamente giovane, ci sono dei ragazzi che magari non vorrei si stancassero un po’ prima».
Si è pentito di aver smesso?
«No assolutamente, non mi sono pentito, ho vissuto gli ultimi anni un po' travagliati, ho avuto un problema fisico molto importante, un'ostruzione a un'arteria fa sì che la tua gamba non lavori al 100% ma sotto sforzo hai un 50% di forza in meno. Quando un atleta ha un ruolo da leader e deve rendere al massimo anche col 10% in meno rischi di avere dei problemi. Assolutamente non mi pento, poi manca un po' d'informazione per quanto riguarda la vita post carriera, viviamo un po' in una bolla, non possiamo sapere cosa prevederà il futuro. Io mi sono messo subito in pista, mi do da fare, meglio essere preparati».
Cosa sta facendo in questo momento?
«Sono molto più al pc rispetto a prima, questo è un po' un lato negativo nel senso che mi piace stare all'aria aperta (ride, ndr). Tra email e video call un po' tutti siamo abituati a questi ritmi. Collaboro con varie aziende del settore come Specialized, Enervit, Forte Village, faccio la parte degli eventi. Seguo con grande impegno la mia Fabio Aru Academy basata in Sardegna, ho una cinquantina di ragazzi, siamo una decina di persone dello staff: il mio sogno è rivedere un giovane atleta sardo ai massimi livelli. Comunque mi tengo molto impegnato, non sono una persona che riesce a stare ferma. Cerco di fare anche sport».
Tornando a Pogačar, lei lo ha visto nascere e crescere. Che tipo di corridore è? Può raccontarci qualche aneddoto?
«Tadej è un gran corridore, quello che sta dimostrando fa capire un po' la caratura dell'atleta che abbiamo di fronte. L'ho visto da vicino, ricordo il suo primo anno da professionista nel 2019, nella prima gara in Australia arrivò nei primi 20. Al Tour dell'Algarve eravamo compagni di stanza, vinse la sua prima tappa e la classifica. Arrivò terzo alla Vuelta, sicuramente non si conosce oggi, è in continua crescita, penso che sia l'unico atleta in attività in grado di poter vincere Sanremo e Roubaix, gli manca la Vuelta ma non sarà difficile portarla a casa per lui. A mio modo di vedere, in generale, credo sia il più forte di sempre. Complimenti a lui. Poi è rimasto un ragazzo umile».
Evenepoel può essere il vero antagonista di Pogačar?
«Remco è fortissimo nelle crono e non solo, sta crescendo bene, Tadej lo vedo un pelino più completo. Mi auguro che possa avvicinarsi sempre più al livello di Tadej in modo tale che ci possa essere sempre questa rivalità tra loro due».
Come vede invece Tiberi?
«Ha fatto un buonissimo Giro d'Italia quest'anno, mi auguro che possa far bene anche per i colori italiani. C'è anche Pellizzari, ha fatto anche lui un buon Giro».
Cosa è successo al ciclismo italiano?
«Ma sai, ci sono delle epoche, non basta solo la preparazione, il talento è importante. L'Italia ha avuto dei corridori molto talentuosi come Nibali, Basso, ma anche tanti altri. Ora abbiamo Ganna per le cronometro, per le corse a tappe non abbiamo ancora nessuno, speriamo in Tiberi o in qualcun altro».