Centrotrenta anni fa, oggi, nasceva il Touring Club Italiano. E nasceva più determinato, più specifico, più ciclistico. Nasceva come Touring Club Ciclistico Italiano.
Erano in 57, probabilmente anche giovani e forti. Si riunirono a Milano, in un salone dell’Albergo degli Angioli, che si trovava all’angolo di via Santa Margherita con via San Protaso, attaccato al Teatro alla Scala. “L’Assemblea, riconosciuta l’utilità di un’Associazione nazionale la quale si occupi degli interessi dei ciclisti viaggiatori, delega a una Commissione lo studio dello Statuto e le trattative con l’UVI, e ciò perché l’iniziativa si svolga nell’accordo e con l’appoggio delle forze ciclistiche italiane già associate, e dichiara costituito il Touring Club Ciclistico Italiano”.
Erano borghesi e aristocratici, imprenditori e commercianti, impiegati e liberi professionisti. Fra loro un editore di musica, come Giulio Ricordi, e soprattutto due industriali, come Federico Johnson e Luigi Vittorio Bertarelli, sportivissimi, il primo era presidente del Veloce Club Milano, il secondo socio della Pro Patria, tutti e due corridori, Johnson più agonista, Bertarelli più esploratore. Il profilo: “Voi velocipedisti, che avete veduto nella vostra macchina non soltanto un elemento di sport, ma ne avete fatto il vostro mezzo di trasporto preferito…”. La premessa: “…avete tutti notato quante difficoltà ancora si oppongono a un uso più generale della bicicletta…”. L’accusa: “…dal modo in cui le strade sono tenute a quello in cui le ferrovie vi trattano, dalla mancanza di guide e di carte apposite, che vi facilitano i viaggi, alla ciclofobia che domina nei municipi e nei tribunali…”. Sembra ieri, anzi, oggi.
Cento gli articoli dello statuto. Il secondo enuncia gli obiettivi del TCCI: “Incoraggiare, proteggere e facilitare l’uso del velocipede sulle pubbliche strade; procurare assistenza legale a tutti i suoi Soci nella rivendicazione dei loro diritti per la circolazione sugli stradali del Regno; assicurare con ogni sforzo e con tutta la potenza dei suoi mezzi la sicurezza per i suoi Soci durante i loro viaggi, gite, passeggiate…”.
Probabilmente 130 anni fa il TCCI era all’avanguardia. Ma certamente oggi le associazioni lottano ancora per le stesse finalità. Come nello statuto del TCCI, “ottenere speciali facilitazioni e tariffe uniche ridottissime negli alberghi più raccomandabili, nonché presso i meccanici, fabbri riparatori…”, “trattare con le Società ferroviarie e di navigazione, onde ottenere le maggiori possibili facilitazioni sui prezzi e le maggiori sicurezze nel trasporto dei cicli” e “per un sentiero per i ciclisti”. Già, le attuali piste ciclabili e ciclovie.
Johnson, Bertarelli e soci avrebbero capito in fretta che sarebbe stata dura. Prima all’esterno, per la scissione con l’UVI, l’Unione Velocipedistica Italiana, antenata della Federazione ciclistica italiana: all’UVI lo sport, al TCCI il turismo. Poi anche all’interno, nel 1900, con l’apparente semplificazione da TCCI a TCI, Touring Club Italiano, non più solo ciclistico, ma anche automobilistico e motoristico, quindi non più solo velocipedisti ma anche automobilisti, viaggiatori ed escursionisti.
Le iniziative si incrementarono. Come la “Passeggiata Milano-Roma” del maggio 1895, una settantina divisi in due categorie in base all’età e alla preparazione fisica, il primo gruppo guidato da Johnson avrebbe percorso i 600 km in quattro giorni, il secondo diretto da Bertarelli in sette giorni. Due anni dopo la “Passeggiata” sarebbe stata ripetuta, ma da Roma a Milano, in sei giorni, seguiti da altri tre dedicati a feste, tavolate, convegni e gite ai laghi. Le idee si moltiplicavano. Come la proposta di istituire speciali borse di soccorso medico e cassette di pronto intervento contenenti attrezzi e materiali per le riparazioni sul posto (e Johnson acquistò, a proprie spese, le prime cento cassette). E le lotte si rafforzarono. Come quella per annullare o almeno ridurre le tasse sui “bicicletti”, parificati alle vetture a un cavallo e a due ruote.
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