Folgorato sulla strada per Montecoronaro. Corsa per juniores. Va a visionare due friulani da far passare nella sua Giacobazzi. A due chilometri dall’arrivo uno dei due friulani scatta. Ma c’è un ragazzino, magro come un chiodo, che insegue il friulano, lo tallona, lo guarda obliquo come per dire “adès at mètt a pòst mè”, adesso ti sistemo io, e infatti lo sistema, e vince. Quel ragazzino si chiama Marco Pantani. Ci vogliono altri due anni perché quel ragazzino passi alla Giacobazzi. Poi Pino Roncucci diventa finalmente il suo direttore sportivo. Tre anni. Lo fa correre poco. Lui, i suoi corridori, non li spreme. Gli ultimi a cominciare la stagione delle corse, i primi a chiuderla. Comunque: Pantani terzo al Giro d’Italia dei dilettanti il primo anno, secondo il secondo anno, primo il terzo anno.
A pranzo con Pino Roncucci. Domenica 10 novembre. A pranzo con lui, che viaggia oltre i 90 anni, e con Enea Sambinello, cresciuto nella Pantani Corse e prossimo alla Uae Emirates. Un’idea di Gino Garoia, presidio umano dalle parti di Forlì, per rinsaldare l’amicizia, per fortificare il legame, per ribadire la gratitudine. Amici, compagni, colleghi, corridori. Quel mondo a due ruote cui Pino ha dato tanto, quasi tutto. Con passione e saggezza.
Ho conosciuto Roncucci per il mio “Pantani era un dio” (66thand2nd). Gli domandai di quella prima volta. Ricordava tutto, raccontava bene, se chiudevi gli occhi vedevi un film. “Lo contattai solo quando mi dissero che voleva andare via dalla Rinascita di Ravenna. Era accompagnato dal papà, dalla mamma e da Vittorio Savini. Gli chiesi perché volesse venire alla Giacobazzi. Mi rispose che era una squadra ben organizzata e che voleva vincere il Giro d’Italia dilettanti”. Per Pino bastava e avanzava.
Roncucci voleva bene a Pantani. Ma veramente. Da direttore sportivo, non da padre o da zio o da amico. Da direttore sportivo. Che può essere paterno e familiare e amichevole, ma con una distanza fatta di rispetto, stima, considerazione, riconoscimento di esperienza, autorità, età. Senza farle pesare. Ma da tenere sempre presenti.
“Tre anni splendidi”, mi disse Roncucci ripensando a Pantani. “Mi avevano detto che avesse un carattere difficile, ma a me non sembrava. Bisognava solo saperlo prendere”. Tutto lì. “Gli dicevo: che ne pensi se facessimo così? Insomma, non imponevo, ma proponevo”.
Roncucci – in Pino veritas - mi aprì lo scrigno della sua memoria, del suo cuore: “Al Giro d’Italia dilettanti del 1990 cadde alla prima tappa, il medico gli disse di abbandonare, lui tenne duro, ogni giorno si faceva fasciare la spalla e alla fine fu terzo. Al Giro del Friuli del 1991 andò via su una salitella, fece più di cento chilometri da solo, in fuga, poi mi spiegò ‘am fag la gamba par’ e Zir d’Italia’, mi faccio la gamba per il Giro d’Italia. E la Cronoscalata della Futa, nel 1991, primo fra i dilettanti ma secondo nella generale, si arrabbiò perché un professionista aveva fatto meglio di lui, di 10 secondi. Un certo Gianni Bugno, che una settimana prima aveva soltanto vinto i Mondiali di Stoccarda”.
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