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"L'è tutto perfetto, 'un c'è niente da rifare!"
Già, la citazione era un po' diversa. Ma ci piace pensare a un Gino Bartali ben felice di stravolgere quella sua frase leggendaria percorrendo con gambe e occhi i due piani del museo a lui intitolato. A Ponte a Ema, davanti a casa sua, inaugurato nel 2006 quando lui se n'era andato da sei anni. Il creatore, con l'aiuto di tanti volontari e appassionati con l'indispensabile supporto dell'amministrazione fiorentina, fu Andrea Bresci, grande amico del Ginettaccio. Scomparso nel 2020 in un incidente stradale insieme alla moglie Gabriella, è il figlio Maurizio Bresci a dirigere le operazioni museali. E a fare addirittura da cicerone ai visitatori che abbiano l'avvedutezza di contattare la struttura e chiedere la visita guidata con buon anticipo. Per visitare invece senza ciceroni il Museo del Ciclismo, facente parte del circuito dei Musei Civici Fiorentini al pari di un Palazzo Vecchio o una Cappella Brancacci, basta recarsi in via Chiantigiana 177 il venerdì e il sabato dalle 10 alle 13 e la domenica dalle 10 alle 16. Troverete il personale museale ad accogliervi, senza chiedervi nemmeno di pagare alcunché. Già, è pure gratis!
Chi vi scrive ha avuto il piacere di poterlo visitare esattamente una settimana fa, assolata giornata post-ferragostana. L'emozione inizia a brulicare nel momento in cui si percorrono le semi-deserte strade della località al confine con Bagno a Ripoli, in particolare la via tra casa Bartali, l'ufficio postale e il museo, sapendo che lì Gino venne alla luce, crebbe e iniziò ad allenarsi con la mitica società Aquila. Dopodiché c'è solo da immergersi e districarsi nella storia e nell'evoluzione della bicicletta e del ciclismo. Perché sarà pure ispirato, e dunque in parte focalizzato, su Bartali, ma è a tutti gli effetti un museo del ciclismo. Ed ecco allora esemplari di bici di ogni epoca, dai velocipedi ottocenteschi ai primi esemplari "con le ruote uguali tra loro" passando per tante eccellenze italiane (Bianchi onnipresente) ma anche estere, come un'Automoto dei tempi di Pelissier e Bottecchia, passando per l'introduzione del rivoluzionario cambio Campagnolo Gran Sport degli anni Cinquanta e via discorrendo, anzi pedalando, fino alla Wilier dell'ultimo anno di carriera di Nibali. In mezzo a cotanto biciclettame, non mancano dei pezzi davvero singolari, come la folle bici senza manubri dei Guinness record di Giuliano Calore e il Moscondoro, una sorta di bici orizzontale che nelle intenzioni dell'inventore Pietro Moscogiuri sarebbe stata il futuro della pista, pionieristici esemplari di settant'anni fa di bici motorizzate antesignane delle e-bike… Da non perdere inoltre la stanzetta con le bici legate a mestieri più o meno antichi, come quelle dei barbieri o dei calzolai, con tanto di cassette degli attrezzi incorporate, o ancora degli arrotini, con la catena che fungeva anche da "motore" per la mola affilatrice. Geniale.
Ma nel ciclismo non ci sono solo le biciclette. Il museo è un autentico reliquiario ciclistico: tra maglie di campioni del mondo, Nazionale azzurra, maglie gialle del Tour e rosa del Giro d'Italia (tra cui quella indossata dal futuro c.t. Alfredo Martini), scarpe, coppe e trofei, vi perderete nel mito. Anche perché con la conformazione della sala principale, che prevede un percorso circolare senza un vero inizio e una vera fine, con biciclette sia sul pavimento o piedistallo sia appese in alto, l'impressione è proprio quella di una magnifica perdizione.
La storia di Bartali, ma anche di Coppi e dei vincitori italiani del Tour de France (particolarmente celebrato un altro idolo di casa come Gastone Nencini) viene raccontata sui pannelli alle pareti e a centro sala. Dell'epopea bartaliana viene giustamente evidenziato l'eroico aiuto fornito agli ebrei durante la guerra coi celeberrimi documenti nascosti nei tubi. Storia molto meno conosciuta è quella, riportata in basso in uno di tali pannelli, di un uomo che si salvò dal lager grazie anche alla propria conoscenza di Bartali. Ma non spoileriamo oltre!
O voi che amate il ciclismo, fate tappa in questo angolo meridionale di Firenze (e magari, consiglio spassionato, inebriati ancora della potentissima aura ciclistica respirata a pieni polmoni, concedetevi un bel pranzo nella campagna fiorentina). Se lo fate questo weekend o il prossimo, peraltro, oltre alla normale collezione potete gustarvi pure le opere artistiche tra tradizione e avanguardia di Miguel Soro e Latifa Benharara.
Ultimo ma non meno importante: incorniciata al muro in corrispondenza delle scale che portano dal piccolo piano terra all'ampio piano di sopra, trovate anche la frase-fumetto che apre questo articolo. Si tratta di una pubblicità delle Moto Bartali che furono prodotte dopo la sua carriera.
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