Vuelta apertissima: mai come stavolta un vero favorito non c’è. Ad allargare il pronostico è l’assenza delle grandi firme: da Pogacar a Vingegaard fino a Evenepoel, hanno tutti altri obiettivi. C’è invece Roglic, vincitore di tre edizioni in fila, ma dopo la caduta al Tour con frattura di una vertebra è un’incognita. A chi cerca gloria, la corsa propone il solito spartito zeppo di salite: tredici le tappe di montagna, media o dura che sia, con nove arrivi in quota, mai sopra i duemila (punta massima il Cuitu Nigro a 1843 metri). Non ci sono le cime storiche, il tappone chiave è il penultimo giorno, sette gran premi della montagna con l’arrivo sul Picon Blanco. Due le crono, il primo giorno a Lisbona e l’ultimo a Madrid, in totale 36 chilometri: laddove Giro e Tour aumentano, la Vuelta resta al minimo sindacale. Meno spazio ancora ai velocisti: un’occasione certa, le altre da inventare. Dopo la doppietta Giro-Tour di Pogacar, la Uae punta a imitare la Visma, che un anno fa si impose in tutti e tre i grandi giri. Sedici in tutto gli italiani al via di una prova che non vinciamo dal 2015, anno di grazia di Fabio Aru. Ecco le dieci (e più) facce candidate all’albo d’oro.
Sepp Kuss. Vince perché lo ha già fatto lo scorso anno con una concorrenza più alta, perché si è ripreso da una primavera con problemi di salute, perché rispetto a tanti avversari è quello che quest’anno si è consumato meno. Non vince perché ha un motore diesel e aver corso poco in questa stagione qualcosa gli ha tolto.
Primoz Roglic. Vince perché se ha deciso di presentarsi al via vuol dire che è competitivo, perché questo è il grande giro che gli riesce meglio, perché in assenza degli altri tre fenomeni le sue chance di successo si impennano. Non vince perché dopo la caduta al Tour ha rallentato i ritmi e nel ciclismo attuale è una cosa che si paga.
Joao Almeida. Vince perché è tutto l’anno che va fortissimo, perché può contare su una squadra tosta e sul talento del debuttante Del Toro, perché dopo il quinto posto al Tour e il secondo in Svizzera da gregario tocca a lui il ruolo di leader. Non vince perché le crono corte non gli consentono di rimediare a ciò che rischia di perdere in salita.
Adam Yates. Vince perché è perfetto per questo genere di tracciato, perché il sesto posto al Tour non gli ha vuotato il serbatoio, perché al giro di Svizzera ha già dimostrato di esser vincente quando non deve aiutare Pogacar. Non vince perché controllare una corsa di tre settimane non è come farlo in una di otto giorni.
Carlos Rodriguez. Vince perché è un altro di quelli che hanno confidenza con le montagne, perché vuole riscattare un Tour chiuso nei dieci senza mai essere protagonista, perché senza i fenomeni in circolazione ha una grande occasione. Non vince perché dividere la leadership con Arensman potrebbe costringerlo ad aiutarlo.
Antonio Tiberi. Vince perché ha già dimostrato al Giro di essere d’alta classifica, perché la Vuelta l’ha già corsa due volte e la conosce bene, perché la concorrenza non è di quelle impossibili. Non vince perché fare il Giro puntando al podio ti toglie energie mentali e a 23 anni non è facile ritrovarle.
Richard Carapaz. Vince perché è tra i pochi al via ad aver vinto un grande giro, perché ama le montagne e su quelle del Tour ha dato spettacolo, perché ha ancora da sfogare la rabbia per l’esclusione dai Giochi olimpici. Non vince perché dopo aver chiuso il Tour con la maglia a pois ha pensato soprattutto a riposarsi.
Nairo Quintana. Vince perché la squadra crede più in lui che in Enric Mas, perché al Giro ha mostrato timidi segnali di risveglio, perché quando c’è tanta salita lui migliora col passare dei giorni. Non vince perché non sale su un podio da sette anni e la concorrenza interna con Mas, tre volte secondo in questa corsa, potrebbe logorarlo.
Mikel Landa. Vince perché è di quelli che invecchiando migliora, perché sta disputando una delle migliori stagioni per regolarità, perché è uno che quando si tratta di montagne è sempre bene tener d’occhio. Non vince perché un conto è andar forte quando si deve aiutare un leader, un altro riuscirci quando si ha la responsabilità della corsa.
Mattias Skjelmose. Vince perché è l’unico grande giro che affronta in stagione, perché le gare a tappe disputate quest’anno le ha chiuse tutte nei primi quattro, perché è tra i corridori che in stagione si sono spremuti meno. Non vince perché strada facendo i suoi compagni Ciccone e Geoghegan Hart potrebbero andar meglio di lui.