Ci sono immagini che valgono più di molte parole. E questa dimostra che se tanto è stato fatto per la sicurezza dei ciclisti, ancora più strada bisogna percorrere per sperare che comportamenti responsabili vengano adottati innanzitutto da chi li invoca.
Sono stato per anni tra gli sponsor della Nazionale italiana di ciclismo e da sempre un grande appassionato di uno sport sano che coinvolge più persone perché unisce alla buona abitudine di praticare attività fisica all’aria aperta una sensazione unica di libertà. Ma con dei limiti. Perché se la libertà viene percepita come uno stato di autonomia essenzialmente sentito come un diritto, sulla strada ci sono dei doveri a cui i ciclisti non si possono sottrarre.
Capita di trovarli in mezzo alla carreggiata per proteggersi dalle buche che riempiono purtroppo le nostre strade. Ma è l’unica eccezione a un comportamento tanto pericoloso quanto quello di non indossare il casco. Vale la pena continuare a sostenere il ciclismo amatoriale e agonistico quando certi atteggiamenti lascerebbero supporre che tanta attenzione non è meritata? La risposta è pleonastica, perché il comportamento di pochi non può nascondere le buone abitudini dei tanti con un’educazione stradale corretta. Ma il rispetto delle norme non deve mai diventare marginale rispetto a ciò che è precipuo. L’articolo 3 del Nuovo codice della strada inserisce i ciclisti tra gli utenti deboli in quanto meritevoli di una tutela particolare. Questo non deve però sottrarli da adottare comportamenti responsabili, con la consapevolezza che loro stessi possono diventare un pericolo per chi li incrocia lungo il percorso. Proteggere se stessi per proteggere gli altri: è questa l’unica regola che conta sulla strada.