Alla fine, non è sempre il più forte a vincere. Certamente non nel ciclismo, e sicuramente non nella Parigi-Roubaix. Sulle strade dell'Inferno del Nord, i "più forti" possono arrivare primi nel leggendario velodromo con la stessa facilità con cui si impantanano nella Foresta di Arenberg. O quelli che sono costretti ad arrendersi a Mons-en-Pévèle o crollano nel Carrefour de l'Arbre. Su queste strade uniche, un aspirante alla gloria deve essere forte, ma anche coraggioso e fortunato. La Parigi-Roubaix sorride agli audaci, anche a quelli che fuori dai pronostici, quelli che arrivano al traguardo quasi come ospiti inattesi, quello che riescono a dominare quel caos che è sempre all'ordine del giorno. È proprio a loro - imprevedibili conquistatori dell'Inferno del Nord - di raccontarci la loro giornata indimeticabile sul pavè, il loro viaggio verso il paradiso della gloria.
O'Grady: "È stato come avere un'esperienza extracorporea"
Stuart O'Grady sapeva tutto su come si vince in un velodromo quando si è schierato alla partenza della Parigi-Roubaix 2007. La sua ultima vittoria prima di quel giorno era arrivata proprio nel Velodromo Olimpico di Atene, ai Giochi Olimpici del 2004 quando aveva conquistato l’oro nella Madison in coppia con Graeme Brown. A 33 anni, l’esperto australiano era alla nona partecipazione all'Inferno del Nord e ci arrivava una settimana dopo aver concluso al 10° posto nella Ronde van Vlaanderen
Un buon risultato che comunque non faceva certo di O’Grady uno dei favoriti: tutti gli occhi erano puntati infatti su Fabian Cancellara - compagno di squadra di O’Grady - e Tom Boonen, capaci di vincere in due ben sette delle nove edizioni disputate tra il 2005 e il 2013.
Nel suo giorno speciale, "Stuey" ha incontrato temperature eccezionalmente elevate nel nord della Francia ed è entrato nella fuga iniziale, superando anche una foratura e una caduta prima di arrivare al trionfo.
Km 0. «Tutti a tutto gas nei primi 15 chilometri»
«Fabian era il campione che dovevamo proteggere, anche perché era campione in carica. Io ero più un piano B, insieme a Lars Michaelsen e Matti Breschel. Il mio obiettivo era quello di andare in fuga con un paio di compagni di squadra, per essere in testa alla gara farmi trovare pronto ad aiutare Fabian nel finale. Entrare nella fuga giusta è probabilmente una delle cose più difficili da raggiungere. Ogni direttore sportivo dice ai suoi corridori che ne vuole uno o due in fuga, per cui l’inizio è sempre molto veloce e combattuto. Ci vuole molta esperienza, tutti vanno a tutto gas nei primi 15 chilometri, non è certo il modo migliore per andare all’attacco. Si tratta più che altro di cogliere le opportunità a partire dai 16-17 km, quando la strada inizia ad incontrare qualche piccola salita, che diventa un buon trampolino di lancio».
Km 19. «Dai, è una buona opportunità!»
«Quando la fuga è andata, c'erano Luke Roberts e Matti Breschel. Pensavo che fosse un bel gruppo, ma ho anche pensato che dovevo farne parte anch’io. Ho sfruttato la mia esperienza per rientrare e così ci siamo trovati in tre davanti. È stato un vero e proprio momento decisivo: era molto importante per noi avere più corridori in fuga. Ovviamente, non sapevamo che ci saremmo trovati in 30 e questo poi ha giocato a nostro favore. Ricordo di aver urlato ai miei compagni di fuga: «Dai, è una buona opportunità, più andiamo avanti meglio è».
Km 163. Sopravvivere ad Arenberg: «Pensavo che la mia gara fosse finita»
«Speravamo di arrivare ad Arenberg e alla fine la fuga è andata molto oltre... Ma per me non è stato semplice. Entravo sempre nei settori di pavé in prima o seconda ruota, per poter scegliere la mia traiettoria e cercare di evitare stupide cadute o incidenti. Mi sentivo davvero bene. Tutto stava andando secondo i piani, ma ho forato ad Arenberg. Ero devastato, pensavo che la mia gara fosse finita. Ma è qui che l’esperienza delle precedenti Parigi-Roubaix mi ha aiutato. Il giovane Stuart avrebbe provato a fare una cronometro per rientrare sul gruppo e probabilmente sarebbe saltato nei settori successivi. Il più esperto Stuart si è detto: "Sai una cosa, arriviamo alla fine della Foresta, prendiamoci una musette e vediamo..." Era una giornata molto calda e polverosa, che rendeva davvero difficile mangiare e bere. Quella foratura è stata probabilmente una benedizione sotto mentite spoglie».
Km 215. L’approvazione di Cancellara: «Se puoi, vai»
"Una volta che sono stato allo scoperto, ho parlato con Fabian. Abbiamo condiviso la camera la sera prima ed eravamo molto amici. Mi ha detto di attaccare nel settore successivo... E sono caduto in curva, il che è stato insolito. Di solito ero abbastanza bravo sul pavé ma penso che, con la pressione di dover attaccare per Fabian, ho avuto un piccolo calo di concentrazione e sono caduto. Ero davvero arrabbiato con me stesso. Pensavo di aver deluso Fabian e con quella rabbia, sono tornato al gruppo. Ed è stato allora che Fabian ha detto: «Non sono in una buona giornata, ovviamente tu lo sei. Se puoi, vai».
Km 234. «Ma che cosa ho fatto?»
«Seguii Steffen Wesemann e Roger Hammond, che avevano appena attaccato. Mi hanno portato in testa alla gara. In quel momento, qualcosa nella mia testa mi ha detto: 'Vai'. Non sapevo quanti chilometri mancassero, non sapevo niente... Appena ho visto il momento in cui tutti erano davvero stanchi e tutti si sono seduti, la mia testa mi ha detto 'attacca, vai'. Ho visto un'opportunità e poi ho visto il cartello che diceva 25 chilometri all'arrivo... Porca miseria, cosa ho fatto? Ma mi sentivo davvero bene sul Carrefour. Il mio obiettivo era quello di ottenere un minuto di vantaggio. Poi, per fortuna, i corridori dietro di me iniziavano a guardarsi l'un l'altro e a pensare di lottare per il secondo e il terzo posto».
Km 259,5. «Ma sta succedendo davvero?»
«Era come avere un'esperienza extracorporea. Stai correndo, sei in testa alla Parigi-Roubaix e ti chiedi: 'Sta succedendo davvero?' Le tue gambe sono sull'orlo dei crampi. Le tue braccia sono assolutamente distrutte. Ti fa male il collo, tutto fa male, ogni muscolo. Ma quel desiderio, quella voglia di vincere, ti urla dentro: 'Continua ad andare lì, questo è il tuo giorno!' Non succede molto spesso in una carriera, almeno non è successo molto spesso nella mia carriera! Quindi ho spinto più forte che potevo e ha funzionato. Il pavé del vincitore è l'unico trofeo che ho in mostra a casa mia, in Australia. È all'ingresso e lo tocco ancora quasi tutti i giorni. Mi riporta alla mente un sacco di ricordi incredibili».
ORDINE D'ARRIVO
1. Stuart O'Grady (Team CSC) in 6h09'07"
2. Juan Antonio Flecha (Rabobank) a 52"
3. Steffen Wesemann (Wiesenhof-Felt) s.t.
4. Björn Leukemans (Predictor) a 53"
5. Roberto Petito (Liquigas) a 55"
6. Tom Boonen (Quick Step) s.t.
7. Roger Hammond (T-Mobile Team) s.t.
8. Enrico Franzoi (Lampre) a 56"
9. Kevin Van Impe (Quick Step) a 1'24"
10. Fabio Baldato (Lampre) a 2'27"
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