Oggi Mansueto Semenzato avrebbe compiuto novantotto anni. Me lo ricorda, con una telefonata, Moreno, uno dei suoi sette figli. Lo avevo conosciuto a un incontro con le vecchie glorie del Triveneto, ne avevo scritto per Tuttobiciweb e per il mio “I diavoli di Bartali” (Ediciclo, del 2016). Perché Mansueto aveva corso ai tempi di Gino, professionista negli anni Cinquanta, e perché lo aveva conosciuto in corsa e frequentato fuori corsa, “il postino della pace” abitava e viveva nel ciclismo, e perché lo raccontava con il rispetto dovuto non solo alla maggiore età (dodici anni), ma soprattutto al superiore livello. Lo descriveva “buono e brontolone”, ammetteva “con lui avevo sempre paura di sbagliare”, confidava “mi metteva soggezione, però mi voleva bene e mi stimava”. E tanto bastava.
Veneziano di Spinea, Semenzato aveva cominciato a pedalare sognando Toni Bevilacqua. Sogni a occhi aperti, perché fra casa Bevilacqua, a Santa Maria di Sala, e casa Semenzato, a Spinea, c’è una decina di chilometri. Sognando, e pedalando, Semenzato conquistò la prima corsa in cui si attaccò il dorsale: “Riservata ai dilettanti, anche quelli di prima categoria, io ero soltanto un allievo, però andai in fuga e vinsi con tre minuti di vantaggio”. Era nata una stella? Macché: un gregario. “Trovai un accordo con l’Arbos: niente stipendio, ma spese pagate e maglia assicurata. Una mezza fortuna”. Per chi si accontenta.
Poi Semenzato emigrò in Francia e trovò squadra nella Gregoire. Il suo capitano, Jean Stablinski, “forse per incoraggiarmi o forse per prendermi in giro, mi chiamava ‘Coppi’. Ma quale Coppi, gli rispondevo, Coppi non portava borracce, non viveva da emigrato, non soffriva di nostalgia, magari non sentiva dentro di sé neppure quella voglia di dimostrare di essere un vero corridore e meritare uno stipendio”. Mansueto conquistò una Parigi-Lille. Ma partecipare a un Giro d’Italia o a un Tour de France rimase un sogno. Fu da amatore che Semenzato si scatenò. A forza di pedali, anche di ricordi e parole. Quegli anni vissuti di corsa, in corsa, così avventurosi e imprevedibili, sono indimenticabili.
Avrei dovuto ricordarmi di Semenzato. Ci proverò per il centenario. Ma è bello che a ricordarsi di noi sia stata la famiglia. E’ il segno di un legame, quello che si radica nel mondo del ciclismo, così affettuoso, duraturo, pulito, ricco di reciproca gratitudine. Uno di quei cognomi – Semenzato, come Farisato e Gonzato, ma anche come Parecchini e Gualazzini – indelebili.
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